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Il Tassobbio confine di Stato

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passaporto

Lo sappiamo che i confini di stato sono spesso aleatori, tracciati in base ad interessi particolari, e non seguono le logiche del territorio. Il che mi ricorda la situazione comica in un film con Fabrizi e Totò, ma anche quelle tragiche degli abitanti di Gorizia, ove il confine taglia in due una casa. Oggi siamo abituati ad avere l’Enza come confine tra la nostra provincia e quella di Parma, e questa divisione è stata concepita in base ai bacini idrografici. Meno di duecento anni fa le cose erano ben diverse. In una specie di puzzle gigantesco le tessere del ducato di Parma arrivavano fino a inglobare Gombio, mentre quelle di Modena comprendevano Scurano.

 Cartina Ciano

 Il tratto marcato della cartina riproduce la situazione dei confini tra Modena e Parma lungo l’Enza, da S. Polo e Compiano.  Particolare da Contrabbandieri e dogane tra Emilia e Toscana di A. Cenci, pag. 10.

Quello che oggi corrisponde, pressappoco, al Comune di Canossa un tempo era sotto Parma. Ad un cittadino del territorio a sinistra del Tassobio che doveva recarsi a San Polo poteva capitare di pagare dogana all’andata e al ritorno. Oppure doveva aggirare il territorio del ducato di Parma allungando enormemente il percorso. A chi giovava? Certamente non alla povera gente che, magari, era costretta a recarsi dal notaio di S. Polo. Di sicuro serviva ai contrabbandieri pratici dei sentieri del territorio e astuti nell’eludere i posti di dogana. (1)

Di queste situazioni comico-tragiche ne parlava ancora mio nonno un secolo dopo. Mi raccontava che se uno veniva ricercato dai gendarmi perché sospettato di contrabbando o altro reato, bastava che corresse più veloce di loro e oltrepassasse il Tassobbio. Cosa non difficile se immaginiamo i gendarmi costretti nelle divise poco pratiche e appesantiti dal tascapane e dal lungo fucile. Di là dal torrente il fuggiasco era già all’estero e i gendarmi non potevano più fare nulla. Magari ne ricevevano anche qualche sberleffo.

Era il tempo dei così detti suldâ dal bèch ad lègn (soldati dal becco di legno). Espressione questa che mi lasciava perplesso in gioventù fino a quando ho trovato la spiegazione: ”Erano così indicati i soldati del piccolo esercito del duca di Modena, che recavano sul copricapo una piccola coccarda di legno fatta a forma di becco” [Sandro Bellei]. Al resto ha pensato il popolo individuando nell’oggetto non un fregio, simbolo di distinzione e di onore, ma un becco d’oca.

Resta da decifrare invece perché a Legoreccio esistesse una dogana, edificio tuttora presente come casa Terzi. O il discorso si riferisce a particolari categorie di mercanti, come i commercianti di sale, oppure si può pensare che, per coloro che salivano dal Tassobbio per dirigersi verso Castelnovo il primo centro abitato era Legoreccio e, quindi, dovevano passare per forza da lì.

Che il Tassobbio fosse importante lo lascia immaginare un documento che ho trovato fra quelli di famiglia. Si tratta di un lasciapassare, (definito carta di sicurezza), un passaporto del tempo per un mio antenato che viveva a Castellaro: Prospero Rabotti. (Foto all'inizio dell'articolo). Con questo documento poteva circolare per le provincie di Modena e Reggio, ma anche in territorio di Parma (leggi Vedriano - Gombio, raggiungibili in mezz’ora a piedi). Non solo. Dato il periodo storico (anche se siamo a soli sette anni dall’unità d’Italia) Prospero poteva circolare nei due stati senza un accompagnatore, un garante. Il che significa che non era inviso alle autorità, né sospettato di far parte di società segrete.   La dagherrotipia esisteva dal 1839, ma la foto sui documenti non era ancora stata imposta dalle leggi. Per cui sul passaporto occorreva fare la descrizione della persona. Quella di Prospero ci informa che era “di statura giusta, capelli castani, fronte alta, ciglia castane, occhi castani, naso sottile, bocca piccola, barba castana, mento corto, viso quadrato, colorito naturale”. E di professione veniva definito possidente.

  • Cfr.: Alberto Cenci – Contrabbandieri e dogane tra Emilia e Toscana, nei documenti 1803-1859, Antiche porte, 2002, ove, a pag. 49/51, si descrivono minutamente i confini nella zona di Gombio.