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“Vetto, per l’esame del Psc serve più tempo”

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Riceviamo e pubblichiamo una lettera scritta dai consiglieri di minoranza del Comune di Vetto Giovanni Ferrari (capogruppo) e della Comunità montana Paolo Bolognesi, anch'esso vettese, indirizzata al sindaco Sara Garofani e, per conoscenza, al presidente della Comunità Nilce Montemerli.

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In occasione del Consiglio comunale di due settimane fa (era il 19 settembre) la nostra componente è rimasta ai suoi posti nonostante la maggioranza non avesse i numeri per insediare la seduta consiliare.

Come abbiamo dichiarato all’inizio dei nostri interventi, a farci restare in sala consiliare è valso anche il fatto che il testo del PSC approdava per la prima volta in Consiglio comunale, e ciò avrebbe permesso a noi consiglieri di esporre in modo ufficiale le nostre rispettive opinioni al riguardo, in attesa che il medesimo PSC vi ritornasse per essere adottato, cioè messo in votazione.

E proprio i tempi del voto sono stati da noi contestati, dal momento che Ella si propone di far adottare il PSC dal nostro Consiglio comunale entro il corrente mese di ottobre.

Disponiamo dunque di soli trenta giorni, o all’incirca, per approfondire una materia così complessa, e arrivare a deliberarla, quando la legge regionale che ha introdotto il PSC quale nuovo strumento urbanistico risale al marzo 2000.

Essendo trascorsi da allora otto anni, ci si poteva muovere con il giusto anticipo (atteso che la maggioranza in carica è in diretta continuità con la precedente), senza dover ricorrere oggi ad innaturali accelerazioni, anche per dar tempo ai nostri concittadini e a chi ne ha interesse e titolo di capire meglio come è stata concepita la pianificazione del territorio vettese per i prossimi anni e i meccanismi che la regoleranno.

Abbiamo anche espresso insoddisfazione per il criterio fin qui seguito nella publicizzazione degli atti (in riferimento a quanto prescrive al riguardo la norma regionale) e abbiamo altresì obiettato che una maggioranza ormai a fine mandato non dovrebbe assumere decisioni di questa portata, che andranno ad incidere non poco sull'attività della prossima Amministrazione, di qualunque composizione essa sarà. E' un’ipoteca sul futuro che non si riesce francamente a comprendere.

Abbiamo inoltre ribadito una nostra convinzione: i vincoli riguardanti un’area territoriale antropizzata, ancorché non siano da respingere in via pregiudiziale, andrebbero di prassi accompagnati e compensati da un sistema di opportunità per chi risiede ed opera in quei luoghi o intende andarvi ad abitare; sistema che nella fattispecie non siamo riusciti a scorgere.

In quella seduta del 19 settembre la nostra richiesta di decelerare il percorso di approvazione del PSC, per le ragioni qui riassunte, è però caduta nel vuoto, con nostro grande disappunto; ma nel frattempo si sono succedute alcune evenienze che non ci paiono irrilevanti e che meritano di essere riprese.

Appena due giorni dopo si è letto sui giornali che in un comune della nostra pianura è stato addirittura il partito che sostiene quel sindaco a consigliare che le scelte del PSC vengano ormai rinviate all'Amministrazione che subentrerà, per una disamina “più completa e sistematica” delle problematiche.

Il 25 settembre si è poi tenuto a Carpineti il terzo evento della Conferenza economica della montagna, che ha messo in luce visioni differenziate sul modello di sviluppo da perseguire; e anche lì qualcuno ha parlato dei vincoli che interessano la montagna, fino ad ingessarla, e della necessità di ridiscuterli, anche per attrarre nuovi insediamenti.

Un punto di vista che si è guadagnato una pronta replica, all’interno della quale lo spopolamento del crinale viene piuttosto attribuito al processo di industrializzazione di questi decenni (che ne ha assorbito la mano d’opera portando a trasferirsi altrove le famiglie che vi abitavano).

Tutti sanno che, in ambedue i casi, si tratta di tesi non isolate e ne facciamo qui menzione per comprovare che vi sono posizioni ancora distanti, che dovrebbero possibilmente trovare punti di incontro per il bene della montagna, ma questo avvicinamento non è verosimilmente dietro l’angolo (nel senso che avrà oggettivamente bisogno di un qualche tempo).

Sono tesi che citiamo anche perché ciascuno di noi è consapevole che queste linee di pensiero improntano in qualche modo la pianificazione territoriale (vedi appunto il PSC e il PTCP, ossia il Piano territoriale di coordinamento provinciale), pianificazione che dovrebbe a sua volta intrecciarsi con altri dispositivi, quali quelli su scala regionale rivolti alle attività che si vorrebbero sostenere oppure promuovere.

Sempre nei giorni immediatamente successivi a quella nostra seduta consiliare, un professionista-tecnico del settore ha affidato alla stampa il suo appassionato allarme, che è anche un appello, per la crisi in cui versa la nostra agricoltura. In proposito gli strumenti di cui si è testé detto non sono di certo risolutivi, ma forse un qualche aiuto possono darlo; e andrebbero dunque valutati e raccordati anche nell’ottica di supportare la ripresa di questo comparto produttivo, la cui importanza economica è fuori discussione e che funziona nel contempo da prezioso serbatoio di valori e tradizioni.

Riprendendo la cronaca degli accadimenti più politici, nel pomeriggio del 26 settembre anche il Consiglio della Comunità montana ha potuto avviare la sua seduta solo grazie alla presenza delle minoranze, che hanno assicurato il numero legale; mentre, come poi riferito dagli organi di informazione, un Consiglio comunale convocato per quella stessa serata non si è svolto causa l’assenza dei rappresentanti della forza di maggioranza (il Pd). Trattasi fra l’altro di comune che condivide con Vetto il PSC in forma associata.

La somma di questi elementi porta ad una duplice constatazione:
• le maggioranze montane dell’attuale centrosinistra, o della sinistra come qualcuno preferisce dire, mostrano segni evidenti di difficoltà (anche nella seduta del 24 giugno la maggioranza della Comunità Montana non riuscì a garantire il numero legale);
• persistono divergenze, o quantomeno non assonanze, sul modello di sviluppo praticabile in montagna, e sulle relative strategie.

Una siffatta situazione dovrebbe indurre le forze politiche che governano la nostra montagna ad “una pausa di riflessione”, in modo da approfondire il confronto, sia per quanto attiene gli strumenti della pianificazione territoriale, sia in ordine a quelli che con i primi vanno raccordati e armonizzati. A meno di impellenze, che tuttavia dal nostro osservatorio non intravediamo, e salvo scadenze normative, che non ci risultano o di cui non abbiamo perlomeno notizia.

Andando a concludere, confidiamo che Ella, sig. sindaco, possa cambiare idea, quanto al PSC, nei termini da noi prospettati, ed auspichiamo altresì che per i motivi qui esposti ne convenga anche il presidente della Comunità montana, cui pure ci rivolgiamom atteso che l’Ente comunitario figura essere il soggetto capofila nell'attuazione del PSC in forma associata concernente cinque comuni montani, tra cui appunto quello nostro.

Del resto, allargando il discorso, c’è chi non da adesso conta sul ruolo di “regia” e di proposta che l’istituzione Comunità montana può fruttuosamente svolgere in più di un campo, anche come risposta all’ipotesi di una sua abolizione.

(Giovanni Ferrari, capogruppo di minoranza del Comune di Vetto, e Paolo Bolognesi, rappresentante di minoranza consiliare in Comunità montana)