Estraiamo dall'ultimo numero, datato 24 maggio, ora in edicola, del settimanale diocesano reggiano-guastallese "La Libertà" (vedi sito internet), un pezzo, firmato dal giovane direttore Edoardo Tincani, che riteniamo di sicuro interesse per coloro che seguono il dibattito sul modo di fare informazione oggi in Italia, partendo naturalmente dal personaggio che, bene o male, lo ha portato all'attenzione generale, Beppe Grillo.
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Non è passato senza colpo ferire il V-Day 2 promosso un mese fa dagli amici di Beppe Grillo sotto lo slogan populista "Libera informazione in libero Stato". La raccolta di sottoscrizioni per i tre referendum abrogativi concepiti dal tribuno genovese - per l'abolizione dei finanziamenti pubblici ai giornali, dell'Ordine dei Giornalisti e della legge Gasparri - sta procedendo un po' in tutt'Italia con l'obiettivo di consegnare le firme in luglio alla Corte di Cassazione. E fra qualche giorno, annuncia l'ex comico dal suo sito web, partirà la proposta di disdetta nazionale del canone Rai. Al di là dei frutti politici che queste iniziative potranno eventualmente cogliere, il dato oggettivo da soppesare è la fiducia calante che l'opinione pubblica italiana nutre nei confronti dei mass media, e per riflesso di chi ci lavora. Come dimostrano le propaggini reggiane dei meet-up di Grillo, il dissenso riscuote adepti soprattutto tra le nuove generezioni digitali, proprio quelle a cui mancano gli anni per valutare in progress la "serietà" dell'informazione, e che magari oggi neppure si sognano di sfogliare un quotidiano generalista, men che meno di acquistarlo in edicola.
A tal riguardo va dato atto che l'analisi dell'ex-comico è rozza e impietosa, però realistica in molti punti, a cominciare dall'evidenza più amareggiante, ossia le commistioni sempre più smaccate dei salotti finanziari e politici con la proprietà dei giornali. Se la diagnosi è in gran parte condivisibile, la prognosi è ingenerosa e, a mio avviso, viziata da pesanti errori di prospettiva.
È ingiusto, anzitutto, definire l'eterogenea categoria dei giornalisti come un branco di "camerieri" e "servi", con una generalizzazione a dir poco squallida. Squallida perché non tiene conto delle diverse competenze che occorrono per essere pubblicisti piuttosto che free lance, professionisti, redattori, blogger. Ma, prima ancora, della sporca e a volte interminabile gavetta che tanti giovanissimi accettano per imparare i rudimenti del mestiere, senza retribuzioni adeguate né garanzie per il futuro.
Riporto testualmente il passaggio meno convincente del Grillo-pensiero da un suo comunicato dell'11 maggio: "Il 25 aprile tra qualche anno sarà ricordato come l'inizio della fine dell'informazione di regime, controllata da partiti, Confindustria, banche. L'informazione si sta spostando in Rete, tutti siamo giornalisti, tutti siamo editori, tutti siamo registi. È solo una questione di tempo. In Rete chi mente è perduto, le vecchie regole dell'informazione non valgono più".
A parte lo spirito distruttivo, questo atto di fede nella "verità" della Rete è un vaneggiamento. In tutto il pianeta, Internet è il luogo in cui circolano più mistificazioni, traffici sporchi e panzane! Nemmeno la libertà di informazione è già realizzata, basta vedere com'è conciato il povero Google cinese, stravolto con "filtri" da Grande Muraglia.
L’idea che "tutti siamo giornalisti" elude domande imprescindibili: chi verifica le fonti? Chi seleziona le notizie? Chi sceglie l'evidenza da dare ai fatti che accadono? Chi li commenta e a che titolo? Chi ne risponde legalmente e a chi? Chi vigila sul rispetto della deontologia?
Quelle che Grillo liquida come "vecchie regole dell'informazione" servono ancora, eccome. Semmai c'è bisogno di aggiornarle. E in questo senso l'Ordine dei Giornalisti va certamente riformato, come peraltro chiedono i giornalisti stessi, anche per renderlo più rappresentativo di un lavoro che dal 1963 (anno di promulgazione della legge istitutiva) si è evoluto con stressante velocità. Limitarsi ad azzerare l'Ordine farebbe ancor più il gioco dei padroni dell'informazione che purtroppo in Italia non sono più gli editori puri (cioè imprenditori esclusivi dell'editoria), ma affaristi che considerano il giornale come la voce passiva di un bilancio attivo e la free press come il coronamento di un sogno che accarezzano da tempo: fare il giornale senza giornalisti, intesi come teste pensanti e autonome.
Sacrosanta, in questa linea, la proposta di spezzare il legame proporzionale tra il rimborso statale agli editori e la tiratura dei loro giornali, quando è noto - e realmente scandaloso - come in Italia si stampino milioni di copie utili solo a spuntare indennizzi maggiori, sapendo in partenza che andranno al macero, con quel che costa la carta.
Ma una forma pubblica di finanziamento o di "incoraggiamento" alle iniziative editoriali serve, altrimenti potrà pubblicare solo chi ha molto denaro da investire o vanta i contatti giusti. Questa sarebbe una contraddizione per Grillo, un ostacolo ai giovani che abbiano idee e talento da "vendere" come reporter e scrittori. La deregulation nuda e cruda, infatti, finirebbe per fare proprio il gioco dei grandi controllori del mercato. In questa linea, più che abolire la legge Gasparri è necessario limitare lo strapotere della pubblicità e disciplinare una volta per tutte il macro conflitto d'interessi mediatico nei confronti del quale la politica italiana, con governi di ambo i colori, si è finora mostrata inetta. Ma questo richiederebbe un lungo capitolo.
Concludo invece con un altro appunto ancora su quel "siamo tutti giornalisti", con il pensiero rivolto al popolo giovane della Rete che rischia di rimanerne ammaliato. Più preoccupante della faciloneria con cui Grillo propaga questi concetti è l'emergenza educativa che vi sta a monte.
Teorizzare il fai-da-te informativo apre un'altra autostrada alla cultura di chi pensa che in fondo, con le tecnologie oggi disponibili, si riesca a fare a meno degli altri. A che servono i giornalisti, se con un clic so già "tutto", in tempo reale? Non possiamo imparare a curarci da soli, dato che i medici non "ci capiscono"? E perché pagare gli avvocati, se avremo modo di attuare una giustizia "nostra"? La tentazione dell'autosufficienza risorge, spocchiosa, nel vuoto di maestri che un po' c'è davvero e un po' ci viene dipinto.
Con tutti i loro limiti, i giornalisti offrono un esercizio di comunità alla gente, che è ancora libera - fino a prova contraria - di leggerli se li apprezza o di scartarli se non li trova credibili. Anche questa è una "vecchia regola dell'informazione". Da non abolire.
(Edoardo Tincani)
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Pezzi correlati:
- "Libera informazione in libero stato” (23 aprile 2008)
Diagnosi perfetta è prognosi ingenerosa…
Quanto prende questo giornalino di soldi nostri? Magari nulla, ma molti sono i giornali della “CHIESA” che attingono dalle nostre tasse. Vero, direttore? Evidenzio ciò per il semplice fatto che il direttore de “La LIBERTA'” per dichiarare che per alcuni versi la diagnosi del V2-Day è giusta ma la prognosi è INGENEROSA, caro mio direttore, lei nasconde qualcosina. Se un giornale non riesce ad ESISTERE senza soldini pubblici, beh, allora vuol dire che non riscuote molto interesse da parte dell’opinione pubblica. Non toccate i nostri soldi. Milioni gli ITALIANI (me compreso) arrivano a malapena alla fine del mese. Un miliardo di euro a questi giornali/partito e non… proprio non li reggo. Saluti.
(Vito)
Libertà di espressione
Non sono più un estimatore di Beppe Grillo come lo ero quando vestiva i panni, che gli andavano alla perfezione, di attore comico. Ora, invece, si è messo a fare il predicatore dallo stesso pulpito sul quale si era elevato, e con merito, nella sua precedente vita. Troppo facile. Tuttavia non sarò certamente io a negargli il diritto a tale riconversione. Io mi limito ad ascoltarlo (quando mi capita) e a disapprovarne la predica (quasi sempre). Per quanto riguarda il settimanale diocesano “La Libertà”, al quale sono da molto tempo abbonato, non è certamente fra quelli che campano di soldi pubblici: è la voce di un mondo cattolico reggiano che vuole essere presente, ovviamente a modo suo, dove e quando esistano argomenti su cui ritenga di potersi liberamente esprimere.
(Corrado Giansoldati)
Lettori da non influenzare scrivendo commenti
Egregio direttore, leggo in conclusione al suo articolo che: “La gente è ancora libera di leggerli se li apprezza o di scartarli se non li trova credibili”. In realtà questo non è possibile dato che vengono copiosamente finanziati (cavolo!!!! 1 milione di euro) con denaro pubblico e sopravvivono anche se non vendono. In questo caso il lettore non ha la possibilità di eliminare tali testate con il proprio potere d’acquisto in quanto già finanziate a monte con il denaro dei contribuenti (e poi stampano giornali non venduti, consumano carta, consumano energia, consumano acqua etc… diamine! che spreco!). Un giornalista in linea di massima dovrebbe astenersi da qualsiasi commento di sorta per non influenzare il lettore, limitandosi a riportare i fatti così come accaduti. Nella realtà attuale non succede (e mi domando come mai). Vede, caro direttore, la verità è che la nuova generazione di “ADEPTI”, come lei li ha simpaticamnte chiamati (che sa tanto di setta e che non è – e qua una scelta sbagliata, a mio modesto parere, di una parola che già implica un’etichetta), legge anche i quotidiani, se no come farebbero gli ADEPTI a smentire quanto scritto sulle più famose testate giornalistiche? Se i giornali non vendono più non è perchè il popolino è ignorante e analfabeta ma perchè sui giornali vengono riportate le notizie dette dai telegiornali la sera prima e piene di pubblicità nonostante siano finanziati. Non pecchiamo sempre di superbia pensando che il popolo sia così facilmente influenzabile. Fortunatamente la maggior parte è istruita e la conoscenza (anche storica) è ben radicata nella memoria di tutti. Concludo augurando buona giornata a tutti.
(Commento firmato)
Non ci capiamo
Ancora una volta si inquadrano i “grillini” come un movimento che ha come guru spirituale Beppe Grillo. Niente di più sbagliato. Parlando in prima persona mi sento di dire che le notizie apprese sul blog di Beppe Grillo hanno fatto in modo che cambiasse il mio punto di vista rispetto alle notizie date da telegiornali e quotidiani ma non avrei problemi, in caso di disappunto, a mandare al mittente il famoso VAF… ,cosa che faccio quotidianamente con i politici che vedo alla tele. Sono dell’idea che per farsi un’idea su di una notizia bisognerebbe sentire tutti i tipi di “campane”, in questo periodo, in cui non esistono più partiti (ormai stanno diventando una sorta di multinazionali, delle S.P.A), e dove l’opposizione è quasi assente, il blog di Beppe Grillo è una campana, nessuno è obbligato ad andarci ed è gratuito. Se le sue notizie danno tanto fastidio vuole dire che qualcuno ha la coda di paglia. Concludo dicendo che: pagare all’anno un miliardo di euro per finanziare giornali, alcuni dei quali non abbiamo nemmeno mai letto, è una follia solo italiana. L’Europa ha etichettato la legge Gasparri come una legge ad personam (indovinate per chi) che non permette una libera informazione e che ci costerà (per ora) solamente 350 milioni di euro all’anno retroattive al 2006 (quelli che vi dicono che non è vero vi prendono in giro); se avete la possibilità andatevi a leggere la sentenza dell’Unione Europea su internet. Riguardo all’ordine dei giornalisti… che dire, lo abbiamo solo noi, forse insieme a Togo e Burundi. Saluti a tutti dalle Cinque Terre!
(Mattia Rontevroli)
“La Libertà”, il cui proprietario è una s.r.l., “P. Tito Brandsma s.r.l.”, ha ricevuto, nel 2006, 43.788,00 euro di contributi statali, come è possibile verificare dagli ultimi dati pubblicati sul sito del governo: @Lhttp://www.governo.it/Presidenza/DIE/dossier/contributi_editoria_2006/allegati/8_%20comma_3_2006.pdf@=www.governo.it#L.
Poi ognuno, compreso il direttore Tincani, può pensarla come vuole (o come può) e usare le pagine a disposizione come vuole (o come può: le tematiche di cui parlare, vedi il rapporto di amnesty del 2008 sui diritti umani @Lhttp://www.amnesty.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/953@=www.amnesty.it#L non mancherebbero); certo dovrebbe ricordare che, al contrario di Grillo, sta usando anche fondi pubblici.
(Commento firmato)
Grillo straparlante
L’articolo su “La Libertà” non era un attacco personale a Grillo o ai grillini, ma un contrappunto ad alcune sue tesi. In particolare, ho voluto tentare una difesa non d’ufficio del lavoro del giornalista che, Ordine o non Ordine, ha le sue regole deontologiche, pone molti condizionamenti spazio-temporali e richiede una certa capacità di distacco dal potere (lo dico dopo aver liberamente scelto questa professione tra altre strade economicamente più promettenti). Qui ci tengo a controbattere al signor “Commento firmato” n. 1, che statuisce che “un giornalista in linea di massima dovrebbe astenersi da qualsiasi commento di sorta per non influenzare il lettore”. Questo è un “profilo basso” della professione, può darsi che a qualche collega piaccia. Invece il giornalista è proprio uno che, dopo essersi documentato, fa informazione & opinione. Vogliamo lasciare i commenti solo a Grillo, che di sicuro “fa” il giornalista più che il comico (anche se non mi pare che accetti molto il contraddittorio, né nel blog né altrove)? L’altra cosa che mi stava a cuore colpire è quello che ho chiamato atto di fede nella “verità” della Rete, aggiungendo che secondo me è un vaneggiamento. Nel suo piccolo questo angolo di web, con il numero di visite che ha ricevuto e i commenti che ha provocato, sintetizza la valida interattività della Rete e insieme la sua “confusione” di oggetti e destinatari, con frequenti “fuori tema” e la difficoltà a capirsi segnalata anche da Mattia. Delle mie povere critiche ai temi del V-Day 2 sta rimanendo poco, mentre si affaccia l’idea dell’ennesimo giornalista che si riempie la bocca foraggiato da soldi pubblici… (“La Libertà”, caro Vito, è una realtà talmente piccola che sopravviverebbe anche se la legge sul finanziamento ai giornali fosse abrogata). Ma evidentemente l’interesse c’era. Ringrazio gli amici di Redacon per l’ospitalità e tutti coloro che sono passati di qui.
(Edoardo Tincani)