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Voglia di riconciliazione

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La commemorazione per l'eccidio di Cernaieto per il secondo anno consecutivo si è svolta alla presenza di diverse persone, circa una quarantina.

“Il numero, così elevato di persone - afferma il Consigliere Pdl Filippi - che domenica hanno preso parte alla commemorazione è la testimonianza più significativa della necessità di non dimenticare e della volontà di dimostrare quella che è stata la cruda realtà del II dopoguerra. E' quindi doveroso che anche le istituzioni si adoperino affinchè tutti i martiri abbiano pari dignità, anche nel ricordo, indipendentemente dal colore politico e affinchè la verità storica sia ricostruita e diffusa senza strumentalizzazione alcuna. Credo, con queste parole di interpretare un pensiero diffuso al quale anche l'esito della manifestazione di domenica abbia dato un importante sostegno”.

A Cernaieto erano presenti i parenti delle vittime: tra i quali Alberta Bigliardi figlia del Sergente Maggiore Alberto, nata poche settimane dopo la morte del padre; Paolo Viappiani, visibilmente commosso, figlio dell'allora ventunenne Paolina, uccisa anche lei a Cernaieto dal comando partigiano.

2 COMMENTS

  1. Congelamento storico cerebrale
    Purtroppo, e sottolineo purtroppo credo che il giorno della “memoria condivisa” o della “riappacificazione” sia ancora molto lontano. Udire quanto proferito da Massimo Storchi nel corso dell’ultima puntata del programma televisivo locale “CONFRONTI”, attesta che non esiste la volontà di ricercare una comune pacificazione. Se non quella “imposta” da ANPI e ISTORECO con una “verità” spesso distorta o quanto meno inesatta. “Verità” dove esistono i morti di serie A e quelli di serie B, dove i “giusti” sono solo da un lato mentre dall’altro solo criminali e assassini, dove da una parte si è “lottato” per far vincere la giustizia e dall’altra si è imposto il “peggio”. Nessuno mette in dubbio la professionalità di storico e ricercatore di Storchi, ma la pervicacia con cui prosegue questa sua enunciazione “gesuitica” della verità è a dir poco sconcertante. Tanto che anche l’On. Otello Montanari, sempre a proposito della trasmissione di cui sopra, ha risposto davvero per le rime e a mezzo stampa a Storchi. Ma voglio andare oltre questa polemica riguardante i pur drammatici episodi accaduti a Reggio e Provincia dopo l’otto di Settembre e fin a tutto il ’46. Episodi assimilabili ad una vera e propria guerra civile che ha visto contrapposti su ambo i fronti splendide figure e canaglie, idealisti e opportunisti dell’ulima ora. Credo che il discorso sia molto più complesso e affondi le sue radici nell’imprescindibile assunto che siamo nel 21.mo secolo, e ben 65 (!!) anni sono passati dagli eventi che causarono la terribile e lacerante frattura della nostra nazione. In tutto questo fu assolutamente determinante l’infame ruolo assunto in quei giorni da casa Savoia, a cui peraltro va ascritta indubitabilmente anche tutta la responsabilità dell’ignobile e indegno disfacimento dell’Esercito, della Marina e dell’Areonautica. Non posso certamente esimermi dall’associarmi a quel coro, vociante, querulo, peraltro sempre più spesso tendente allo stridulo, che, soprattutto negli ultimi tempi, chiama ed invoca il rispetto di tutti i caduti di guerra. Come fa Storchi, ad esempio, negando però la Croce al Cavon di Campagnola o a Cernaieto o a Vetto per il Capitano dott. Azzolini a favore di un generico cenotaffio. Mi permetto tuttavia di osservare che Germania, Spagna, Francia e altre nazioni hanno avuto la maturità di discernere tra certa feccia di partito e i combattenti spinti da motivazioni universali. Ma purtroppo in Italia, per qualche motivo mai da me totalmente compreso, dopo quasi sette decenni si dà ancora più credito ad un ex-partigiano comunista, fors’anche aggregatosi ai “liberatori” il 26 aprile del 1945, che ad un ufficiale dell’Esercito, Marina o Aviazione della Repubblica Sociale Italiana che scelse, comunque, di adempiere pure lui ad un dovere. Al di sopra delle legittime motivazioni personali di ognuno, quando mai dimostreremo la maturità e la volontà di riconoscere la realtà storica e soprattutto la capacità di una sana ed intelligente autocritica a 360 gradi? Ciò che preoccupa non è di per sè il fatto che una parte porti rancore all’altra; ciò che inquieta ed atterrisce è questa sorta di congelamento storico cerebrale di cui sembriamo soffrire. In Germania, tutti i reduci, ad eccezione di piccoli gruppi di ex miliziani e SS non combattenti, peraltro una davvero esigua e sparuta minoranza, percepiscono le pensioni di guerra; nessuno, sottolineo nessuno, si è mai sognato di protestare. In Spagna esiste un luogo, la Valle des los Caidos, dove sono sepolte e ricordate tutte, sottolineo tutte, le vittime della guerra civile. Di più. Qualcuno ha mai visto ex internati protestare perchè un ufficiale della Lutfwaffe o della Wermacht viene onorato per aver dato la vita per il suo paese? No. Mi domando allora quando saremo in grado di spostare la mira al di là di quel pur tragico e lacerante 8 settembre 1943 per ammettere finalmente che tantissimi dei così detti eroi della Resistenza erano, come minimo, davvero ben più che disposti a svendere il nostro paese al compagno Stalin. Se siamo incapaci di andare oltre ai ruvidi rancori, riconosciamo allora la realtà storica che attesta inequivocabilmente che il comunismo ne ha fatte e combinate di molto, ma molto peggiori; e che sarebbe quanto mai opportuno, finalmente, indirizzare le “gite scolastiche” non solo nei lager nazisti, ma anche nei gulag staliniani, dove sono state fatte ignobilmente crepare dal compagno Josif Vissarionovic Dzugasvili, comunemente noto come Stalin, non meno di 11 milioni di persone. Mi chiedo dunque: chi dobbiamo onorare? Il Maggiore pilota Adriano Visconti e il S. Ten. pilota Valerio Stefanini, ad esempio e tanto per citarne tra le migliaia, assassinati vigliaccamente alle spalle nel cortile della caserma del “Savoia Cavalleria” a Milano o il partigiano comunista che li ha ammazzati colpendoli alle spalle? Il Palmiro che se ne stava a Mosca comodamente alloggiato all’hotel Lux quando i nostri morivano nelle steppe russe e che dopo, ben peggio, ha lasciato scientemente morire nei campi di prigionia migliaia e migliaia di soldati italiani prigionieri o quegli alpini che si fecero 1200 drammatici km a piedi nel terribile inverno russo? Il Paracadutista della Folgore morto ad El-Alamein perseguendo i suoi ideali di onore seppur (come qualcuno continua a dire) in una guerra sbagliata o qualche liberatore che ha combattuto la guerra in Vaticano? Quando il nemico stesso riconosce il valore di un combattente (é il caso del sopra menzionato Maggiore Visconti, peraltro ricordato al Museo dell’Aria negli USA, e non mi sembra necessario citare in questo luogo il giudizio del nemico sulla condotta, ad esempio, della Folgore ad El-Alamein) allora ci deve essere per forza qualcosa di sbagliato, profondamente sbagliato, in chi si ostina alle classificazioni di massa a distanza di tanti, troppi anni. Arrivando persino a ricorrere, quando le “ragioni” inesorabilmente si sciolgono al sole dell’ottusità e peggio della malafede, alla “scientificità storica” tanto invocata da Storchi e da Istoreco. Alludo a quanto accaduto a Reggio Emilia in occasione della Giornata del Ricordo, quando tale Nevenkha Troha, sedicente storica iugoslava, pardon slovena, invitata per offrire – questo il “nobile” intendimento degli organizzatori – un ulteriore contributo alla verità sulle foibe, ha affermato e ribadito coram populo che: A- le foibe sono ascrivibili ad una sola e mera contabilità di non più di 1.400 “scomparsi”; B- l’esodo di decine e decine di migliaia di italiani dalmato/istriani non è riconducibile ad alcuna decisione di sequestro di beni e proprietà, men che meno a nessun fenomeno di pulizia etnica; C- che gli italiani nel corso della loro occupazione di Slovenia e Croazia si sono macchiati di azioni ben “peggiori” e peraltro tutte assimilabili con il nome di crimini. Sì, sono trascorsi 65 anni, ma ad ottenere credibilità è ancora solo il vigliacco assassino del Maggiore pilota Adriano Visconti e del S.Ten. pilota Valerio Stefanini. E anche Reggio Emilia, davvero purtroppo, non “sfugge” a questa impostazione.

    (Paolo Comastri)