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Il messaggio del Vescovo Adriano per la Santa Pasqua 2008

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LA PASQUA TRA MEMORIA E PROFEZIA

È tradizione popolare in Russia salutarsi il giorno di Pasqua, dicendosi l’un l’altro: Anastasis tou Xristou, cioè Cristo è risorto! Lo era anche quando il regime era ostile ad ogni forma di religiosità pubblica, quando l’idea stessa di risurrezione doveva essere combattuta e la fede veniva custodita nelle vecchie isbe contadine davanti alle icone.

Credere nella Risurrezione significava inculcare nella gente speranze ultraterrene, immaginarie e inevidenti, distraendole dalle speranze terrene, concrete e praticabili. E così alla fede nella risurrezione bisognava sostituire la fede nel progresso, nella riforma, nella rivoluzione. Se alla fede nella risurrezione veniva attribuito un carattere alienante, alla fede nel progresso si accordava un immediato carattere promettente.

La fede nella risurrezione era ritenuta una fede, oltre che ultraterrena nei suoi connotati ultimi, già sin d’ora individualista, meritocratica, mistica, festiva per non dire rinunciataria, pigra, gretta. E, viceversa, la fede nel progresso era subito qualificata come sociale, razionale, feriale e quindi attiva, libera e altruista. Come si vede le due forme del credere tendevano a configurare due tipi di uomo, due volti dell’umanesimo, di fronte a cui più spesso le vicende contemporanee e la nostra stessa personale vicenda invitano a interrogarsi e a fare delle scelte.

Quarant’anni fa, quando nessuno immaginava gli attuali sviluppi, Paolo VI aveva scritto l’enciclica Populorum progressio sullo sviluppo dei popoli, non a caso pubblicandola il 26 marzo 1967, giorno stesso della Pasqua di Risurrezione. Voleva dire che, lungi dall’estraniare i credenti cristiani dalla storia, dal compito etico e dall’impegno sociale, l’evento della Pasqua di Cristo ancora di più doveva impegnare i cristiani a farsi carico dei problemi del mondo, della società, del territorio in cui si vive.

C’è la tendenza oggi — c’è sempre stata nei momenti di crisi — a ordinare e far funzionare le cose del mondo, incominciando da capo, azzerando le questioni. È la tendenza al cambiamento, senza però una memoria. Il nuovo, solo perché nuovo, dovrebbe imporsi come tale e pretendere un immediato consenso.

L’invito che viene dalla fede nella risurrezione è a non perdere la memoria. Pur proiettata verso un futuro di libertà e di giustizia, non perde però la memoria di quella libertà e giustizia già data nella singolare storia di Gesù e del suo Vangelo. Occorre proporsi di conservare sempre una coscienza lucida e vigile, capace di cogliere gli elementi di sviluppo e di degrado, e sapere intuire gli uni e smascherare gli altri.

È perciò da mettere in particolare rilievo il peso sociale che assume la vita complessiva delle comunità cristiane. All’interno di una società civile caratterizzata dalla frammentazione e dai particolarismi, le comunità cristiane — si dovrebbero dire “cattoliche” nel senso più alto del termine, cioè universale — sono chiamate ad essere quasi segno profetico di quella convivenza umana e fraterna, che costituisce il termine ideale di ogni società umana.

Ovviamente resta essenziale rendersi conto che le comunità cristiane, anche se in minoranza, potranno svolgere in maniera efficace e duratura un simile ruolo pubblico, solo se la fede cristiana non si riduce ad una eredità culturale del passato, ma è attualmente creduta e vissuta dalle persone concrete, nella sua verità e autenticità.
Non diamo per scontato il nostro essere cristiani!

BUONA PASQUA!

+ Adriano VESCOVO