Le origini in Oriente
La più antica farmacopea conosciuta - il Pên-t’sao Ching cinese, che si fa tradizionalmente risalire al terzo millennio a.C., ma che ci è pervenuto in versioni del I-II secolo d.C. - già raccomanda la canapa per "disordini femminili, gotta, reumatismo, malaria, stipsi e debolezza mentale". E già avverte che una dose eccessiva “fa vedere demoni” (1).
In India, già nel II millennio a.C., la cannabis è citata nell’Atharvaveda come “pianta che libera dall’ansia”. Successivamente fu usata in diversi sistemi della medicina tradizionale (Ayurveda, Unani, Tibbi), fino ai nostri giorni. Come riassumerà J.M. Campbell, la bhang (2) cura in primo luogo la febbre agendo “non direttamente ovvero fisicamente come un farmaco ordinario, ma indirettamente ovvero spiritualmente calmando gli spiriti rabbiosi a cui la febbre è dovuta”; e inoltre “raffredda il sangue caldo, provoca il sonno negli ipereccitati, dona bellezza e assicura lunga vita. Cura la dissenteria e i colpi di calore, purifica il flegma, accelera la digestione, stimola l'appetito, corregge la pronuncia nella blesità, rinfresca l'intelletto, dona vivacità al corpo e gaiezza alla mente.” Ma “la ganja in eccesso provoca ascessi, o anche pazzia” (3).
Il viaggio verso l’Europa
La cannabis è citata in antichi testi egizi e assiri ed è ben conosciuta anche dalla medicina greco-romana (4). Dioscoride (I sec. d.C.) la raccomanda per mal d’orecchi, edemi, itterizia e altri disturbi. Secondo Galeno (II sec. d.C.) può servire contro le flatulenze, il mal d'orecchi e il dolore in genere. Però, se presa in dose eccessiva “colpisce la testa, immettendovi vapori caldi e intossicanti”.
In Europa, prima della sua riscoperta nella prima metà del XIX secolo, di cui diremo in dettaglio più sotto, troviamo solo segnalazioni isolate del suo uso come farmaco. Per esempio, Garcia da Orta, medico portoghese in servizio presso il vicerè a Goa, in India, la cita nel suo “Colloqui sui semplici e sulle droghe dell’India” (1563) come stimolante dell’appetito, sonnifero, tranquillante, afrodisiaco e euforizzante. E Robert Burton, nel famoso “The anatomy of melancholy” (1621), ne suggerisce l’utilità in quella che oggi chiameremmo “depressione”.
La cannabis sarà d’ora in poi regolarmente citata nei testi medici e farmaceutici. Nel 1794 l’Edinburgh New Dispensary oltre a dare un’ampia panoramica sui suoi usi - prova che l’interesse dei medici sta cominciando a crescere - chiude la trattazione con parole lungimiranti: “Benché solo i semi siano stati finora prevalentemente in uso, altre parti della pianta sembrano essere più attive, e possono essere considerate come meritevoli di ulteriore attenzione.” E vent’anni dopo, Nicolas Culpeper, il più importante studioso di piante medicinali del suo tempo, nel suo “Complete Herbal” (1814), dà un quadro completo dei possibili usi medici della Cannabis, a partire da quelli indicati da Galeno.
Ma dovranno passare ancora alcuni anni perché la canapa abbandoni le ricette più o meno fantasiose della medicina popolare e risvegli invece l’interesse dei medici più qualificati.
Agli albori della medicina moderna
Si può dire che tre opere più di tutte contribuiscono ai nuovi sviluppi. Un importante articolo pubblicato nel 1838 nelle Transactions of the Medical and Physical Society of Bengal (5) da W. O’Shaughnessy, medico irlandese trapiantato in India. E due libri pubblicati in Francia, “De la peste ou typhus d'orient suivi d'un essai sur le hachisch” (1843) di L. Aubert-Roche, e “Du hachisch et de l'aliénation mentale” (1845) di J.J. Moreau de Tours.
L’articolo di O’Shaughnessy, che attinge alla vastissima esperienza indiana, resta ancor oggi interessante. L’autore riferisce dettagliatamente sull’uso di cannabis in diverse condizioni: reumatismo acuto e cronico, idrofobia, colera, tetano e convulsioni infantili. Accenna al “delirio” causato dall’intossicazione cronica, e riporta i metodi di preparazione e i dosaggi consigliati nei vari casi. Invece, i due testi francesi sono di interesse più specialistico. Aubert-Roche si interessa soprattutto all'uso dell'hashisch contro la peste, oltre che all’uso voluttuario; e Moreau lo considera sia uno strumento di indagine della mente, sia un farmaco efficace in varie malattie mentali (melancolia, ipomania, e malattie mentali croniche in genere).
Risalgono a questi anni anche le prime esperienze e pubblicazioni scientifiche italiane sulla cannabis, scrupolosamente ripercorse da Giorgio Samorini nell’interessantissimo “L’erba di Carlo Erba” (1996).
Solo a partire da questo periodo si può dire che l'uso medico della cannabis conosce una certa diffusione anche in occidente. Estratti e tinture a base di cannabis compaiono sugli scaffali delle farmacie in Europa come negli USA, e vi rimarranno fino alla seconda guerra mondiale e oltre.
Un grande interesse
Fra il 1840 e il 1900, secondo il documentatissimo testo di Walton (1938), furono pubblicati più di 100 articoli sugli usi medici della cannabis (6). Nel 1854 la cannabis viene inclusa nello U.S. Dispensatory: “L’estratto di canapa è un potente narcotico (...) Si dice che agisca anche come deciso afrodisiaco, che stimoli l'appetito e che occasionalmente induca uno stato di catalessi (...) [La canapa] produce il sonno, allevia gli spasmi, calma l'irrequietezza nervosa, allevia il dolore. (...) [Come analgesico] differisce dall'oppio perché non diminuisce l'appetito, non riduce le secrezioni e non provoca stitichezza. I disturbi per i quali è stata specialmente raccomandata sono le nevralgie, la gotta, il tetano, l'idrofobia, il colera epidemico, le convulsioni, la corea, l'isteria, la depressione mentale, la pazzia, e le emorragie uterine” (7). Secondo H.A. Hare (8), la cannabis è paragonabile all'oppio per efficacia analgesica, ed è particolarmente utile nell'emicrania, in cui agisce anche come profilattico, nelle nevralgie, nella tosse irritativa e nella tisi. Anche William Osler, uno dei padri della medicina moderna, la ritiene “probabilmente il rimedio più soddisfacente” per l'emicrania (9).
Nel 1890, J.R. Reynolds riassume sul Lancet 30 anni di esperienza con la cannabis. La giudica “incomparabile” nell'insonnia senile; utile come analgesico nelle nevralgie, inclusa la nevralgia del trigemino, nonché nella tabe, nell'emicrania e nella dismenorrea; molto efficace negli spasmi muscolari di natura sia epilettoide che coreica - ma non nella vera epilessia; e, invece, di incerto valore nell'asma, nella depressione e nel delirio alcolico (10).
In Italia erano previsti dalla Farmacopea Ufficiale sia l'estratto che la tintura di cannabis indica. Secondo P.E. Alessandri (11) la canapa "usasi nel tetano, nelle nevralgie, isterismo, emicrania, reumatismo, corea, asma, e in molte altre malattie non escluso il cholera, dando però quasi sempre resultati contraddittori". P. Mascherpa (12) afferma che essenzialmente si tratta di "un medicamento cerebrale e precisamente un analgesico analogo all'oppio e alla morfina", che può avere più o meno gli stessi usi di questi. Mascherpa riconosce però che la farmacologia della cannabis è "poco conosciuta", e il suo uso per varie ragioni "piuttosto limitato". Egli riporta anche i dosaggi massimi per l'estratto di canapa indiana F.U.: 0,05 g per dose e 0,15 g per giorno.
L’oscuramento della cannabis
Nel 1937, negli Stati Uniti,la cannabis - nella sua veste di marijuana - raggiunse l’oppio, la morfina e la cocaina nella lista delle “droghe proibite”. Le nuove norme americane - a cui presto si adeguarono gli altri paesi - resero estremamente complicata e onerosa per i medici la prescrizione di farmaci a base di cannabis, e in pochi anni essa cadde in disuso e fu cancellata dalla maggior parte delle farmacopee. Non si può negare che questa mossa, in questo momento storico, condizionò tutta la storia seguente della cannabis, impedendone di fatto non solo l’uso, ma anche lo studio con i moderni metodi scientifici, prima ancora che essa fosse veramente conosciuta.
Il silenzio e l’acquiescenza dei medici non fu generale. Lo stesso Walton, che pure appoggiò la proibizione dell’uso voluttuario della marihuana, scrisse: “Più stretti controlli che rendessero la droga non disponibile per scopi medici e scientifici non sarebbero saggi, dal momento che per essa possono essere sviluppati altri utilizzi, tali da superarne completamente gli svantaggi. La sostanza ha diverse notevoli proprietà e se la sua struttura chimica fosse definita, e varianti sintetiche fossero sviluppate, alcune di esse potrebbero dimostrarsi particolarmente utili, sia come agenti terapeutici che come strumenti per indagini sperimentali” (13).
Ma a partire dal 1937 diventano assai rari i lavori che prendono in considerazione l’uso medico della cannabis, ed è solo con la fine degli anni '70 che un timido interesse si risveglierà e che fra mille difficoltà - legate alla classificazione a tutt’oggi in vigore della cannabis come sostanza “priva di valore terapeutico” - cominceranno a riapparire studi scientifici sulla cannabis e i cannabinoidi.
Epilogo
Il 30 gennaio 1997, a seguito della violenta presa di posizione del governo federale USA contro l'approvazione popolare via referendum degli usi medici della marijuana in California e in Arizona (novembre 1996), Jerome P. Kassirer scrisse: “Gli stadi avanzati di molte malattie e i loro trattamenti sono spesso accompagnati da nausea, vomito o dolore intrattabili. Migliaia di pazienti affetti da cancro, AIDS e altre malattie riferiscono di aver ottenuto notevole sollievo da tali sintomi devastanti fumando marijuana (...) Io credo che una politica federale che proibisce ai medici di alleviare le sofferenze prescrivendo marijuana a pazienti seriamente ammalati è male impostata, impositiva e inumana (...) [N]on vi è rischio di morte fumando marijuana. Domandare le prove di un'efficacia terapeutica è (...) ipocrita. Le sensazioni nocive provate da questi pazienti sono estremamente difficili da quantificare in esperimenti controllati. Ciò che realmente conta in una terapia dotata di un così alto margine di sicurezza è se un paziente gravemente ammalato prova sollievo come risultato dell'intervento, non se uno studio controllato ne “dimostra” l'efficacia” (14).
Ci sembra che queste parole limpide e inequivocabili dell’editor-in-chief della più autorevole rivista medica americana, siano il miglior stimolo, per tutti, a lasciar da parte ogni pregiudizio e a vedere nella sua giusta luce, e in tutte le sue promesse, l’attuale battaglia per la reintroduzione della cannabis in medicina.
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Tabella 1
PROSPETTO DEI POSSIBILI USI MEDICI DELLA CANNABIS E DEI CANNABINOIDI
Effetti consolidati
Anoressia e cachessia
Nausea e vomito
Effetti relativamente ben confermati
Asma
Disturbi del movimento
Dolore, in particolare dolore neuropatico
Glaucoma
Spasticità
Effetti con minori conferme
Allergie
Depressione, malattia bipolare, sindromi ansiose
Dipendenza e sindrome da astinenza
Epilessia
Infiammazioni e infezioni
Ricerche in fase iniziale
Febbre
Alterazioni della pressione arteriosa
Malattie autoimmuni
Cancro
Neuroprotezione
(da Grotenhermen F. - Russo E. (eds) 2002, p. 124-5)
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NOTE
(1) Per la storia antica, si vedano soprattutto Walton (1938) e Abel (1982). La canapa, originaria probabilmente dell’Asia centro-meridionale, fu coltivata in Cina fin dai tempi più remoti. Sembra che i primi reperti, da un sito archeologico dell’isola di Taiwan, siano addirittura databili a 8000 anni a. C. La canapa arrivò in Europa almeno 2500 anni fa.
(2) In India, le principali preparazioni di Cannabis sono tre: ganja, le infiorescenze femminili mature, con resina e semi, fatte seccare; charas, la resina concentrata; bhang, preparazione di ganja e spezie come bevanda (o pillole) secondo varie ricette. Le prime due si fumano, la terza è quella generalmente usata in medicina.
(3) In: Report of the Indian Hemp Drugs Commission 1893-1894 (App. III) Simla, Government Printing Office 1894 (reprint: Silver Spring, Thomas Jefferson 1969, p. 490-1).
(4) Le principali fonti per tutto questo paragrafo sono Walton (1938) e Abel (1982).
(5) On the preparations of the Indian Hemp, or Gunjah (volume 8, p. 421-61). L’articolo è stato ristampato in Mikuriya 1972, p. 3-30
(6) Walton 1938, p. 152.
(7) Wood G.B. - Bache F. The dispensatory of the United States Philadelphia, Lippincott, Brambo & Co. 1854 (citato da Abel 1982, p. 182-3).
(8) Clinical and physiological notes on the action of Cannabis indica. The Therapeutic Gazette 11:225-8, 1887 (ristampato in Mikuriya 1972, p. 293-300).
(9) Osler W. - McCrae T. The principles and practice of medicine (8th ed.) New York, D. Appleton & Co. 1916. In una successiva edizione (1935) tuttavia, l'efficacia appare agli Autori più dubbia (cit. da Walton 1938, p. 154).
(10) Reynolds J.R. Therapeutic uses and toxic effects of Cannabis indica. Lancet 1:637-8, 1890 (March 22) (ristampato in Mikuriya 1972, p. 145-9).
(11) In: Droghe e piante medicinali (2a ed.) Milano: Ulrico Hoepli 1915, p. 144.
(12) In: Trattato di farmacologia e farmacognosia Milano: Ulrico Hoepli 1949, p. 425-6.
(13) Walton 1938, p. 151.
(14) Kassirer JP. Federal foolishness and marijuana. N Engl J Med 336:366, 1997.
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Articolo tratto da “Medicina delle tossicodipendenze” n. 35, giugno 2002
Risorsa
Un articolo completo per informare sugli usi curativi di questa bellissima pianta. Bravissimo.
(m.r.)
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@C …naturalmente, poi, come in tutte le cose, occorre usare il giusto criterio. Il coltello serve sia per tagliare la carne che per sgozzare qualcuno. L’energia nucleare si usa sia per produrre energia che per fare bombe. E via dicendo…
(red – gd)#C
Non giusto criterio ma informazione!
Se fosse una questione di buon senso allora sarebbe tutto davvero più semplice e naturale. Però: l’utilizzo psicotropo (fumando la cannabis) è l’uso più limitato che si è sperimentato. Ribadisco, come già in un commento precedente ad articolo precedente, che la canapa (da cui deriverebbe la cannabis) si può coltivare in Italia, legalmente, usufruendo di apposite burocrazie e acquistando dalle apposite agenzie semi che non consentono la produzione del THC nella pianta (si veda l’articolo sul @Lhttp://redacon.radionova.it/leggi_news.php?id=4408&origin=N&ogg=notizie&categoria=15&pag_prox=2@=THC di Chiara Roni#L) e quindi non risultano droga a nessun effetto ed uso. Però voglio provocare! Avete idea di quante sostanze che possediamo in casa con tanto semplicismo diventano psicotrope 100 volte più della cannabis e 100 volte più dannose? Dai comuni farmaci a moltissime altre sostanze chimiche come cole, ecc. se fumate o ad usi alternativi sono peggio delle droghe in commercio… Quelle però sono legali, e legale è tenerle in casa, ma pochi sanno che gli effetti all’uso combinato o nel fumarsele sono devastanti (e gravi all’organismo). Sta qui l’assurdità dell’illegalità di questo principio attivo (THC o cannabinoide). Che è più dovuto a fattori di business che di sicurezza sociale.
(Agostino)
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@COk, basta che non facciamo passare il concetto che c’è sempre qualcosa che potrebbe essere peggio, perchè allora tutto può potenzialmente essere accettato e non ne usciamo più. Si parla in generale. Tutto diventa legale. Perchè, come noto, al peggio non c’è mai fine.
(red – gd)#C
Mi sento di aggiungere una cosa a quanto detto sopra: il problema non sta tanto nel trovare delle “giustificazioni” per la cannabis o nell’intestardirsi sul perchè sia stata più limitata di altre sostanze (cosa certa); sta piuttosto nell’utilizzare l’esempio della cannabis per riflettere sulla legalità/illegalità di certe sostanze, che nonostante in alcuni casi siano autorizzate dalla legge per uso medico sono molto pericolose (come l’eroina, per esempio, che trova impiego come analgesico in alcuni paesi). Tutte le sostanze ad attività farmacologica sono e rimangono per l’uomo potenzialmente pericolose e tossiche, tutto sta nel valutare il reale rapporto rischio/beneficio per i pazienti che ne farebbero uso, e questo non può prescindere da studi clinici seri che portino a dei risultati certi. Quello che non vorrei accadesse è che l’autorizzazione ad utilizzare la cannabis come farmaco portasse ad un abbassamento di guardia da parte delle persone sui suoi effetti collaterali, che rimangono pur presenti, così come lo sono per tutti gli altri farmaci.
(c.r.)
Domanda
Cortesemente vorrei sapere da C.R. cosa intende per effetti collaterali della cannabis. Il mio pensiero consiste nel capire perchè questa pianta e i suoi mille usi, tra i quali la possibilità di lenire i dolori dovuti a malattie come cancro, AIDS, leucemia, ecc. ecc., venga sostituita da farmaci “a doppio taglio”, cioè che ti fanno passare il dolore ma ad esempio ti distruggono il fegato! E’ un dato di fatto che in quasi tutti i paesi d’Europa e in America le proprietà di questa PIANTA sono già un’alternativa ad alcuni farmaci. Ricordo a tutti che per 100 anni in Italia la canapa era una risorsa di lavoro E CHE ERAVAMO I SECONDI PRODUTTORI ED ESPORTATORI AL MONDO DOPO LA RUSSIA; non penso che a quei tempi erano tutti drogati!! RICORDO CHE CON LA CANAPA SI RIESCONO AD OTTENERE LE STESSE COSE CHE SI RICAVANO DAL PETROLIO!! PLASTICHE, COMBUSTIBILI, MATERIALI, P.E.T., ALIMENTI, COSMETICI, VESTITI, CARTE ECOLOGICHE, ecc ecc. La mia domanda è questa: non è che questa pianta sia stata demonizzata per poter dare il monopolio alle industrie farmaceutiche ed ai petrolieri? Non è che hanno ritenuto troppo pericoloso lasciare una pianta dalla quale ognuno poteva essere in grado di produrre materiali per se stesso?
(Mattia Rontevroli)
Siamo troppo arretrati
Prendi la stragrande maggioranza dei nostri politici, aggiungi gli stra-cattolici, mescolali con i finti perbenisti e vedrai che ne esce una sostanza che la CANNABIS è vapore acqueo in confronto. Vergogna. Vietare la canapa sia per usi terapeutici che come energia pulita e non solo. Siamo nel 2008 si, ma AVANTI CRISTO.
(Vito Cerullo)
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@CMah… Che dire delle sue #Cshakerate@C affermazioni? Vogliono forse dimostrare, con un teorema di notevole spessore, il “filo rosso” che lega il problema della canapa e, alla fin fine (passando per i politici: è a loro che dice vergogna?), il sempre più vituperato (stra)cattolicesimo? Può darsi, magari qualcuno non c’aveva ancora pensato… Scusi, rispettiamo le sue opinioni, ma speriamo che il tema venga trattato con qualche #Ccicinin@C di oggettività in più.
(red)#C
Oggettivo è che non si sa nulla
I commenti continuano a sommarsi, spesso le precisazioni della redazione (red) sono necessarie (ma credo che a volte non colgano, travisando invece il nesso di alcuni commenti), ma l’oggettività in contesto di ignoranza è difficile da ottenere (mancanza di conoscenza globale). La cannabis, la canapa, come altre situazioni sono mosse nel senso comune da pre-concetti impacchettati dei quali spesso no si sa nulla. E’ un difetto del pre-concetto: si aderisce senza nemmeno sapere bene ‘a cosa’ si aderisce.
Oggettivamente il gran numero degli stati del mondo ci guarda stupito per il perpetuarsi di questo (e similari) proibizionismi; come fu per l’alcol è ora per la canapa e derivati, un proibizionismo assurdo quanto fatto di ipocrisie e di ignoranza, ma insolitamente lungo. Ogni proibizionismo ha un limite temporale, soprattutto se arreca più danni che benefici, e il mondo (e il mondo scientifico) si stupisce nel vedere come l’Italia riesca a proseguire su questa linea senza porvi una cosciente e adeguata modifica. Oggettivo è che l’errore è sia legislativo che di informazione sociale. Molte convinzioni errate vanno corrette, ma l’approccio all’argomento deve essere (da parte di tutti) più delicato e più aperto.
(Agostino)
Effetti collaterali e cannabis
Gentile Mattia, per effetti collaterali della cannabis intendo per esempio alterazioni all’apparato cardiovascolare come la tachicardia (che può aumentare il rischio di infarto in soggetti sensibili) e l’ipotensione marcata, senso di torpore, spossatezza, giramenti di testa, ansia fino alla depersonalizzazione in soggetti sensibili. Cronicamente, depressione del sistema immunitario ed endocrino e in persone vulnerabili, facilitazione della comparsa di psicosi, compromissione della memoria e “disintegrazione temporale”, apatia, tristezza, compromissione del giudizio e della concentrazione. Come potrai notare (ti dò del tu, spero non ti dispiaccia) per la maggior parte gli effetti collaterali sono legati direttamente e indirettamente al sistema nervoso centrale, cosa che ne rende MOLTO difficile la quantificazione. Se è vero che oggi identificare un danno a livello per esempio del fegato o dei reni è diventato piuttosto semplice, rimane invece ancora molto da capire sul sistema nervoso, prima di poter quantificare un danno a quel livello. Questo credo sia uno dei “problemi” maggiori per la cannabis, indipendentemente da preconcetti e passato che sicuramente l’hanno penalizzata. Con questo non intendo schierarmi a favore di altri farmaci antidolorifici (come morfina e suoi derivati o i ben noti antiinfiammatori non steroidei come la nimesulide o i coxib), i cui effetti collaterali sono decisamente pesanti, ma intendo fermarmi a riflettere sul concetto di rapporto rischio/beneficio, in generale per questo tipo di farmaci. Pur di non sentire dolore l’uomo è disposto ad assumere tutto o quasi? In questo tipo di pazienti, soprattutto terminali o per i quali altri farmaci hanno fallito, diventa difficile trovare un’obiettività e capire dove porre il limite tra rischio e beneficio… il mio timore è semplicemente che, pur di dare un antidolorifico che riduca almeno un po’ la sofferenza di certe persone, si arrivi a diffondere eccessivamente l’utilizzo di troppe sostanze, rendendole assumibili anche in casi in cui non siano realmente necessarie. Timore eccessivo, forse, ma visto come è andata per esempio per la nimesulide e i coxib mi viene naturale… La panacea di tutti i mali e il farmaco perfetto non esistono e sarebbe sbagliato far credere il contrario. Sicuramente, come dice Agostino, serve un approccio aperto e delicato, e questo è possibile solo se ci affidiamo ai risultati scientifici e a dati reali, lasciando da parte preconcetti da un lato e sentimenti tout cour antiproibizionisti dall’altro.
(Chiara Roni)
Risposta a Chiara
Ciao Chiara, ho letto con molto interesse la tua risposta che trovo sensata anche se osservata da un punto di vista differente. Quasi tutti gli effetti collaterali sono riconducibili anche ad un abuso di alcol e tabacco; anzi con l’alcol e la nicotina i disturbi sono maggiori. Allora ti chiedo: ti sembrerebbe giusto mettere fuori legge “la vigna” perchè un abuso del vino provoca danni?? Ecco… con la canapa è lo stesso concetto… Lo Stato mette il monopolio su tabacco e alcolici, la canapa è considerata DROGA e nel momento in cui chiami qualcosa DROGA lasci terra bruciata attorno ad essa anche se potrebbe essere una fonte di lavoro e produzione di tante materie prime. Noi a Felina tutti gli anni coltiviamo canapa “in regola con tutte le normative” e produciamo a livello dimostrativo bevande e tisane prive di THC. La domanda non è spinello sì o spinello no; la domanda è perchè si è fatta sparire una pianta con la quale si faceva di tutto!!
Ciao.
(Mattia Rontevroli)
Colgo il senso generale di ogni commento e noto quanto si marca sul discorso dell’illegalità. La legalità e l’illegalità sono concetti relativi, dettati spesso dal periodo che corre nel nostro Paese. Mi spiego meglio: fino all’inizio del secolo scorso la coltivazione della canapa come fonte alternativa era legale. Finchè nuovi concetti e pregiudizi – insinuati perlopiù dalla Chiesa dell’epoca e dal consumo sempre più presente del petrolio – hanno proibito ogni possibilità di utilizzo alternativo di quest’ultima. E così fu marchiata con lo pseudonimo di “erba del diavolo” e “droga”. Che dire? Cche noto che spesso questo fantasma del “peccato” aleggia ancora sulle coscienze. Non giudico per questo. Ma mi chiedo perchè ancora molte persone non si informano prima di puntare il dito. E’ vero, abusare crea danni, ma questo vale anche per il cibo, lo sport, l’alcol, il tabacco, i farmaci. E si è già detto. Ma non si può’ negare il libero arbitrio. Però si può capire, responsabilizzare, informare. Entrarci dentro. La canapa, come fonte di energia alternativa, può aiutare a salvare il nostro pianeta. La droga e la salvezza di madre natura sono due cose totalmente diverse, non dipendono l’una dall’altra.
Grazie.
(Elisabetta Corbelli)
Se non accettiamo le critiche perdiamo in partenza
Noto ancora fraintendimento dei commenti. Credo che l’intervento di Chiara, al pari di quelli di Mattia, siano stati bersaglio del fraintendimento. Obiettivamente fatico a capire il nesso tra domande e risposte e repliche; e questo non va bene perchè si crea confusione nel lettore: confusione. non informazione. Ribadisco: l’argomento è molto sensibile, suscita nei pro un anticonformismo legittimo (ma spesso eccessivo in espressione) e nei contro altrettanto (spesso eccessivo in espressione). Così Chiara non è stata per nulla compresa; intendeva sostenere un’informazione reale e imparziale e non andare contro o a favore dell’uso o della stigmatizzazione della sostanza, paragonandola giustamente a sostanze di altra natura (che si sono rivelate dannose nel tempo, con un ingresso invece immacolato nel mercato). E’ questa la vera informazione: il paragone, o meglio la comparazione scientifica e l’analisi dei dati di cui disponiamo, studio e promulgazione delle oggettive conclusioni. Ma, ribadisco, la cosa va fatta con un approccio più calmo, più delicato, a mente aperta anche verso le critiche (che non sono contro, ma obiezioni pur legittime atte a trovare soluzioni: se non accettiamo le critiche perdiamo in partenza qualunque sia la nostra tesi!); e va sempre ricordato che nulla è tutto buono o tutto cattivo.
(Agostino)