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Il colore nero

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Dal blocco informe di marmo grezzo escono i prigioni, dal nero appare la scena, dal collasso della materia affiora la forma della realtà, che dà/restituisce senso al senso.

Nero non è solo dark side, lato oscuro e nascosto, luce negata, ma anche somma di tutti i colori, colore che tutti li contiene.

Interpretare il nero, colore che non mi appartiene: una sfida, una scommessa, un confronto con se stessi, un modo per ripensare le cose e i percorsi. E’ facile fare solo le cose facili, ma a cosa serve?

Ellisse spazio-temporale, dall’esplosione originaria del big bang all’Angelo dell’Apocalisse, dalle tracce dell’archeologia alle frontiere inesplorate dei mondi possibili. Frontiere: incerto confine dell’equilibrista sul filo sottile della linea di confine. Vagare nella terra di nessuno. Rapporto passato-presente in alcuni esperimenti di sintesi: di immagini e concettuali. Valenza simbolica della convenzioni visive [Il sole di pietra al tramonto oscurato da nuvole. Il David accostato alle ipotesi di 2001: odissea nello spazio. La Venere di Milo a la superficie di Venere. Il condottiero di nessun esercito. Colonne di templi smaterializzate e catapultate nello spazio].

Nel testo che accompagna le fotografie di Time limits – Archeologia del futuro, la ricerca da cui sono tratte le immagini di questa mostra, scrivevo circa vent’anni fa: “Quale futuro promette di futuro? (…) Quale spazio deserto apparirà più desolato (…) della radura dove un tempo sorgeva Chernobyl? Quale silenzio più assordante? (…) La sensazione è di avere l’acqua alla gola, che il tempo a disposizione si stia contraendo, proprio mentre lo spazio si dilata. (…) L’unico interrogativo rimasto è: cosa stiamo facendo? Quale racconto, quale eredità lasciamo a chi verrà dopo di noi?”.

Le domande senza risposta di quelle immagini – interrogativo sui paradossi della categoria spazio-tempo, timore per il futuro incerto del patrimonio artistico, di beni culturali a forte rischio di compromissione – mi sembrano sempre più attuali e ineludibili. E si sono ormai allargate all’orizzonte dell’intera esistenza.

Scriveva Sandro Parmiggiani a chiusura del testo di presentazione del catalogo Sic transit, uno sviluppo successivo di Time limits: “ …queste immagini ci parlano dell’abisso che si apre sotto di noi”.

Il vero paradosso è che siamo noi a scavare l’abisso, noi che seghiamo il ramo sul quale siamo seduti, noi che alimentiamo il buco nero che rischia di risucchiarci, in un’allegra e folle corsa verso la catastrofe.

Ricordo a grandi linee un racconto letto alle scuole elementari che narrava l’affondamento del Titanic. Tutte le azioni concitate dei passeggeri e dell’equipaggio della nave seguite all’urto con l’iceberg venivano descritte in alternanza alla ritmica ripetizione di una frase, quasi un ritornello musicale: “ …mentre l’orchestra suonava ballabili”.

Le attività umane stanno rapidamente cambiando il clima, e il processo si è intensificato e velocizzato molto negli ultimi anni. Le tre estati più calde degli ultimi duecento anni si sono concentrate negli ultimi due decenni.

Rajendra Pachouri, Nobel per la pace 2007 assieme ad Al Gore, fa ipotesi inquietanti sulla prossimità delle soglie di irreversibilità dei mutamenti climatici: lo scioglimento delle calotte polari, il raffreddamento della corrente del Golfo, l’innalzamento del livello degli oceani, la scomparsa di ampie zone costiere, grandi esodi di intere popolazioni, e le loro conseguenze ambientali e sociali.

Werner Herzog riferisce le previsioni degli scienziati sull’estinzione del genere umano, a cui sopravvivrebbero solo spugne, ricci di mare e granchi. Mi sembra che nero sia colore di grande attualità, se utilizzato simbolicamente a prefigurare cupe visioni del futuro.

L’agenda delle cose da fare è invertire la rotta, per rallentare la corsa verso il ciglio del burrone, ha ordini del giorno stringenti e non più dilazionabili, ma i governi continuano a giocherellare sui tetti di emissione dei gas serra e sugli interventi possibili, rimpallandosi le responsabilità, rifiutando di fare passi indietro, rinviando le scelte vere sempre ad altri momenti, ad altri protagonisti. Come diceva Orson Welles giudicando (a suo parere) l’inaffidabilità di un famoso regista; “Egli danza, egli danza… “.

Si è da tempo infranto il sogno dello sviluppo senza limiti. Il rischio è il ritorno al caos primordiale, mentre l’orchestra continua a suonare ballabili.
Dissolvenza al nero.

(Paolo Ielli)