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Il taglio del fondo della rete: un’introduzione alla psicologia individuale di Alfred Adler

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Anche chi conosce poco o nulla del gioco del basket, sa tuttavia com’è fatto un canestro: un cerchio metallico a cui è attaccata una rete. Da quando il gioco fu inventato e per vent’anni tale rete rimase chiusa: dietro i tabelloni c’era una scala in posizione fissa che veniva utilizzata da un addetto per recuperare il pallone dopo ogni canestro. Poi un giocatore un giorno ha avuto l’idea di tagliare la rete, velocizzando di non poco il gioco e risolvendo il bi-decennale grattacapo: un’idea semplice, ma nessuno fino ad allora ci aveva mai pensato, quindi, in fondo, un’idea geniale.

Nell’avvicinarsi allo studio della biografia e del pensiero di Alfred Adler questa è la prima immagine che mi viene in mente: quella di un appassionato professionista in grado di pensare a cose che tutti avevano sotto gli occhi, ma su cui nessuno aveva ragionato in modo attento e sistematico.

L’analogia cestistica, seppur un po’ forzata, potrebbe continuare: se il campo di gioco delle idee sta nella capacità di esporle e spiegarle in modo chiaro e organizzato, ahimè, Adler non era certo un buon giocatore. Dai più, dai detrattori e dai suoi stessi estimatori, è unanime il giudizio sulla sua scrittura: sciatta e senza stile, assolutamente poco letteraria, spesso noiosa.
Da questo soprattutto, credo derivi la fortuna di Alfred Adler: come la storia non conserva il nome del giocatore che per primo tagliò la rete del canestro, così ad Alfred Adler accade di non ottenere il riconoscimento che meriterebbe.

Ma il basket non è solo buttare la palla dentro un canestro, è un gioco più complesso, così com’è complessa, articolata e completa risulta la teoria di Adler ad una lettura approfondita. Se è in parte vero, come scrive Jorge Luis Borges, che “sono i successori a fare i precursori”, è comunque evidente che la psicologia individuale rappresenta per certi versi una sorta di “radice quadrata” della psicologia moderna e contemporanea: la realtà come co-costruzione sociale, la genesi sociale, “ecosistemica” dello sviluppo psichico sano e anormale, l’approccio olistico, bio-psico-sociale allo studio dell’uomo, la concezione del medico (e dello psicologo) come educatori, sono solo alcuni temi attuali che già risuonano nelle teorizzazioni adleriana, e che è possibile evidenziare e rintracciare in quelle parti che lo psicologo viennese dedica all’esordio del disagio psicologico e ai fattori in grado di spiegare lo stile di vita nevrotico.

Alfred Adler considerava la psiche, e l’Uomo in generale, come unitari: parlare di come si “costruisce” (verbo non utilizzato casualmente, come vedremo) la nevrosi, senza riferirsi alla teoria della personalità della psicologia individuale, risulterebbe quindi paradossalmente un compito parziale e molto poco “adleriano”, oltre che difficile.
La psicologia individuale di Alfred Adler rappresenta in realtà una complessa e articolata teoria sulla conoscenza pratica, pragmatica dell’uomo (Menschenkenntnis). Di seguito cercheremo di presentare sinteticamente quei concetti base della teoria che ci aiuteranno a spiegare meglio che cosa Adler intendesse per malattia e come essa si origina.

Secondo Alfred Adler non esiste vita senza movimento: la mente stessa è sempre dinamicamente in movimento. Mentre secondo la psicanalisi classica la comprensione del comportamento risiede nell’individuazione delle cause che ne stanno alla base, per Alfred Adler è importante conoscere quello che una persona farà in futuro, i suoi scopi, le sue mete. Da un punto di vista filosofico ci troviamo di fronte al passaggio dal determinismo biologico al finalismo teleologico.
Lo scopo generale che noi tutti perseguiamo è la nostra valorizzazione piena: cerchiamo di sentirci forti e di affrontare e superare con competenza i compiti che la vita ci mette ogni giorno di fronte. Adler attribuisce a questa spinta un valore pulsionale e la definisce Gvolontà di potenzaG.

Accanto a questa forza istintuale Adler ne aggiunge un’altra filogeneticamente più giovane e debole, e che quindi necessita di essere sostenuta per non soccombere alla prima: il sentimento sociale. Adler rifiuta l’idea di un individuo isolato, a sé stante: il suo approccio unitario e olistico alla studio della persona concepisce l’uomo come inserito all’interno di reti sociali di relazioni in grado di influenzare il suo comportamento e la sua percezione. Il sentimento sociale, anche definito senso di comunità, non è però semplicemente lo stare insieme agli altri o il senso di lealtà verso il prossimo: esso è la percezione dei valori e dei principi che regolano le relazioni umane, che può estendersi dalla famiglia e dal gruppo di origine fino alla nazione, al mondo e all’universo intero.

Altro concetto molto importante è il sentimento di inferiorità: una percezione di debolezza e fragilità, una sensazione di inadeguatezza sociale e fisica che è patrimonio di tutti gli uomini e che si manifesta fin dai primi anni di vita.

Nonostante Adler concepisca i tre concetti sovraesposti come istanze biologiche, la sua non è una teoria delle pulsioni. Introduce infatti il concetto di stile di vita (a volte chiamato anche piano di vita), intendendo con esso una modalità particolare e soggettiva, unica e irripetibile, di affrontare la realtà.

Fin dalla prima infanzia un individuo percepisce le proprie esperienze in relazione alle esperienze altrui, sociali e biologiche, ed è in grado di attribuire ad esse un significato, di avere sulla vita e sul mondo che lo circonda proprie, personali convinzioni. Questa interazione lo porta a costruire il proprio originale stile di vita, attraverso il quale egli organizzerà e valuterà tutte le successive esperienze: secondo Adler quindi, pur esistendo una realtà esterna oggettiva, essa passa in secondo piano di fronte al “filtro” che lo stile di vita opera su di essa. In questo senso la teoria adleriana si configura come prima psicologia costruttivista.

E’ proprio attraverso lo stile di vita che possiamo rintracciare l’unitarietà fisica, biologica e psicologica a cui abbiamo già accennato in precedenza: il nostro comportamento, i gesti, le emozioni e i vissuti, i pensieri e le cognizioni, intraprendono all’interno del nostro stile di vita, un movimento comune verso una meta.

Adler concepisce quest’ultima come un ideale del Se’, una norma immaginaria, definita legge della verità assoluta, verso la quale ognuno di noi dovrebbe tendere e che equilibra la spinta ad autovalorizzarci (volontà di potenza) con il sentimento sociale: “l’individuo che si conforma a questo ideale si pone nella verità assoluta, il che significa che si conforma alla logica della vita sociale e accetta, per così dire, le regole del gioco. Il fatto che esistano l’infelicità, i fallimenti, le nevrosi, le psicosi, le perversioni e la criminalità sta a indicare il grado di devianza da questa norma fondamentale”.[Ellenberger, 1976]. La verità non è la norma stessa, ma l’accettare che la meta che perseguiamo sia un'utile “finzione”, uno strumento per affrontare i problemi che la vita ci pone davanti, con un occhio rivolto alla nostra realizzazione personale e un altro attento al mondo che ci sta intorno.

Come detto in precedenza il bambino fin dalla nascita sperimenta un sentimento di inferiorità: egli si trova in una condizione di inadeguatezza fisica, psicologica e sociale, le sue risorse personali sono deficitarie rispetto alle richieste del mondo e della vita e la sua esistenza dipende esclusivamente dagli altri che si prendono cura di lui. Questa situazione è percepita come minacciosa e pericolosissima e il bambino tenterà quindi di uscirne mosso dalla forza vitale che lo spinge verso una meta di superiorità. E’ sulla base del sentimento di inferiorità e della volontà di potenza che il bambino quindi esplorerà il mondo, attribuendo ad esso e a se stesso, significati e scopi, formandosi così una pre-opinione che rappresenta il prototipo dello stile di vita che di lì a pochi anni (i primi 4-5 anni di vita) verrà a costituirsi: una volta fissato lo stile vita esso influenzerà l’assimilazione di tutte le successive esperienze. Il concetto di Se’ Creativo si riferisce alla capacità del bambino di acquisire, opportunamente stimolato e guidato da chi lo circonda, competenze e di modulare queste ultime in base alle esperienze che via via sperimenta. In questo modo, attraverso un processo che Adler definisce di compensazione il bambino si muove da uno stato di inferiorità (percepita) verso la consapevolezza delle proprie risorse nell’affrontare i compiti della vita.

Negli individui con un buon equilibrio psichico questo percorso si dispiega mitigando la propria volontà di potenza con il sentimento sociale e porta a costruire uno stile cognitivo, affettivo e relazionale (lo stile di vita, per l’appunto) con il quale è in grado di utilizzare le risorse realistiche presenti nell’ambiente e di affrontare i compiti fondamentali della vita che Adler raggruppa in tre categorie: amore (affetti, famiglia, sessualità, ecc…), produttività personale (lavoro, scuola, ecc…) e socialità (amicizia, cooperazione, ecc…).

Adler scrive: “Ciascuno ha un sentimento di inferiorità, ma esso non è una malattia, bensì uno stimolo alla salute, alla normale aspirazione e allo sviluppo” [Ansbacher e Ansbacher, 1997, p.283]. Il disagio psicologico si manifesta quando questo sentimento si trasforma in complesso di inferiorità: il bambino si convince cioè di essere ancora più fragile e inadeguato di quello che è naturalmente e di valere meno degli altri. Da questa condizione, patogena, il bambino cercherà di uscire con una super-compensazione, tendendo ad un ideale di Se’ irrealistico e inventandosi competenze che non possiede: è il complesso di superiorità, a proposito del quale Adler scrive che: “costituisce uno dei modi di cui una persona con un complesso di inferiorità può servirsi allo scopo di sfuggire ai suoi problemi”. L’individuo si attacca quindi ad una finzione di superiorità (si crede superiore quando non lo è), della quale è inconsapevole, e all’interno di questa illusione non necessita, a differenza dell’individuo sano, di risorse realistiche, ma al contrario adotterà delle modalità di protezione (protezione dai collaudi della realtà) contro ciò che egli realmente è e vale.

La nevrosi secondo Adler è una costruzione del paziente per poter sfuggire ai compiti che la società e la vita richiedono: alla base del temperamento nervoso c’è uno stile di vita erroneo (in cui confluiscono i processi sopra descritti) proprio perché sbilanciato in favore della personale (e illusoria) aspirazione alla superiorità, a discapito del sentimento sociale. L’individuo nevrotico sviluppa una serie di convinzioni sbagliate su di sé e il mondo e difende tali opinioni quando si trova a fronteggiare situazioni per le quali si sente impreparato e teme un insuccesso.

I fattori che possono contribuire al passaggio dal naturale sentimento di inferiorità al complesso di inferiorità, e quindi all’origine della nevrosi, sono sia soggettivi (ipersensibilità, inferiorità e debolezze organiche) sia ambientali, sociali e culturali (traumi e conflitti, l’influenza della famiglia e dell’educazione, ecc…).

Di solito Adler viene ricordato come il primo “allievo” di Freud ad uscire dai solchi tracciati dal padre della psicoanalisi. Le sue idee e la sua teoria tendono perciò ad essere lette “per differenze e analogie”, come se fossero una semplice variante della psicoanalisi stessa. Già da queste poche righe introduttive si può invece intuire come il contatto, l’amicizia e la reciproca influenza di Adler con Freud hanno costituito una tappa (certamente importante) di un percorso teorico-clinico iniziato già prima e sviluppato successivamente in modo autonomo e originale.

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Bibliografia:

Adler, A. (1947). Prassi e teoria della psicologia individuale. Astrolabio-Ubaldini, Roma.

Ansbacher, H.L., Ansbacher, R.R. (1997). La psicologia individuale di Alfred Adler. G. Martinelli, Firenze.

Ellenberger, H.F. (1976). La scoperta dell’inconscio. Bollati Boringhieri, Torino.