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CAPRIOLI AL CENTRO / “Un impianto per la produzione e commercializzazione della selvaggina abbattuta a caccia”

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La minoranza consiliare in Comunità montana scrive alla presidente, Leonilde Montemerli.

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E’ da tempo che la minoranza consiliare sta sottoponendo a codesta presidenza il tema degli impianti destinati alla produzione e commercializzazione della selvaggina abbattuta a caccia, di cui al D.P.R. n. 607/96.

La prima nota al riguardo risale infatti al maggio 2005 e veniva formulata in funzione del bilancio preventivo per l’esercizio finanziario 2005, e analoga corrispondenza è stata avanzata pure nel marzo successivo, in riferimento al bilancio di previsione dell’anno seguente, cioè il 2006, giusto per vedere come poter incentivare sul piano economico l’attività in discorso (vistane l’indubbia aderenza con le vocazioni del nostro territorio) e dunque sostenere in qualche misura quegli imprenditori intenzionati ad avviarla, anche come segno di attenzione della parte pubblica verso il problema.

Siamo poi ritornati più diffusamente sull’argomento con l’interpellanza dell’11 agosto 2006 e con un comunicato sempre dello stesso mese per ribadire il nostro punto di vista al riguardo: stante il numero piuttosto elevato degli ungulati selvatici annualmente abbattuti nell’ambito montano, segnatamente i caprioli, l’aver qui la presenza di almeno uno di tali impianti porterebbe alla valorizzazione commerciale delle loro carni (per quei cacciatori che intendessero avvalersene) perché ne uscirebbero provviste di bollo sanitario.

Una valorizzazione, aggiungevamo, di cui potrebbero beneficiare diversi soggetti, compresi i proprietari o conduttori dei terreni, aspetto tutt’altro che secondario.

Allorché si è discussa tale nostra interpellanza, il che è avvenuto nella seduta consiliare del 29 settembre 2006, dai banchi della maggioranza ci si espresse per una maggiore regolamentazione del settore, vista la dimensione e il rilievo che lo stesso è andato assumendo, e si convenne altresì sull'utilità delle strutture in discorso, anche al fine di ottenere “una macellazione controllata”.

Dopo di allora c’è stata la nostra successiva interpellanza del febbraio 2007, che si rifaceva alle nostre precedenti considerazioni, e si concludeva così: "Risultandoci che nel novembre 2006 sarebbe stata avanzata richiesta per l’autorizzazione di un impianto della fattispecie, in territorio di Carpineti, con relativa richiesta di contributo, siamo ad interpellare la S.V. per sapere se vi siano le condizioni perché detta richiesta possa essere soddisfatta".

Nella relativa risposta, avuta nel corso del Consiglio comunitario tenutosi il 13 aprile 2007, ci venne detto - in relazione appunto all'istanza presentata dalla ditta carpinetana - che non erano previste risorse in bilancio né si riteneva logico ipotizzarle al momento, in assenza della autorizzazione comunale. Ci venne inoltre riferito che un canale finanziario adeguato per questo comparto poteva essere rappresentato dal nuovo Piano di Sviluppo Rurale 2007/2013.

A distanza di alcuni mesi dall’anzidetta ultima circostanza, ci troviamo a riprendere la materia causa le notizie di stampa di questi giorni circa l’aumentata mortalità tra i caprioli e il rinvenimento di soggetti sottopeso, e circa le preoccupazioni che il fenomeno sta comprensibilmente ingenerando.

Sempre dagli organi di informazione apprendiamo che è in programma, o in atto, un piano di monitoraggio sanitario sui caprioli coordinato dall'Amministrazione provinciale, e si dovrà pertanto attenderne gli esiti, ma c’è una riflessione che ci sentiamo di poter fare fin da subito.

Negli impianti di cui stiamo parlando, riconosciuti idonei ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 17 ottobre 1996, n. 607, i capi di selvaggina abbattuta vengono sottoposti a controllo veterinario (per ottenere la bollatura sanitaria) il che si traduce anche in uno strumento di monitoraggio riguardo la salute delle specie selvatiche che vi confluiscono come animali abbattuti.

Pertanto possiamo ragionevolmente pensare che se sul nostro territorio si fosse già arrivati a poter usufruire di una o più strutture del genere, oggi potremmo verosimilmente disporre di elementi e dati importanti quanto allo stato sanitario dei caprioli, e si potrebbe quindi essere in grado di dare una qualche risposta agli interrogativi che da più parti si vanno ponendo.

E’ ben vero che l’utilizzo di detti impianti rimane tuttora del tutto facoltativo per il cacciatore - salvo che la Regione non abbia intanto deciso altrimenti - ma abbiamo motivo di ritenere che più d’un cacciatore se ne sarebbe fin qui avvalso, con i positivi risultati di cui dicevamo.

Quanto agli eventuali deliberati della Regione, cui si è appena fatto cenno, è noto che il D.P.R. n. 607/96, art.1, comma 3, affida all’autorità regionale di fissare il numero dei pochi capi interi di selvaggina uccisa a caccia cedibili dal cacciatore al consumatore o al dettagliante.

A fronte di ciò, siamo a chiedere alla S.V. se la Regione Emilia Romagna abbia nel frattempo assunto una qualche determinazione in proposito, perché in tal caso e di riflesso i capi eccedenti il tetto fissato, per poter essere ceduti al consumatore o al dettagliante, dovrebbero passare attraverso gli impianti abilitati alla lavorazione della selvaggina (cioè autorizzati a norma del D.P.R. 607/96) e si renderebbe quindi oltremodo opportuna, per non dire necessaria, la loro presenza nella zona montana.

Ma anche in assenza di determinazioni regionali in questo campo, rimangono a nostro avviso tutte le ragioni per incentivare sul nostro territorio l’attivazione di impianti destinati alla produzione e commercializzazione della selvaggina abbattuta a caccia, in modo da offrire al cacciatore una ulteriore opportunità per destinare i rispettivi capi di selvaggina, e avere nel contempo un punto di filtro e di monitoraggio sanitario, e ci permettiamo dunque di insistere perché la Comunità Montana riaffronti quanto prima l’argomento.

Restando su questa direttrice di marcia, siamo pure a domandare alla S.V., sempre in forma di interpellanza:
• se siano maturate le condizioni per poter soddisfare l’istanza di cui si è avanti detto;
• se il Piano Regionale Sviluppo Rurale (PRSR) ovvero il Piano Rurale Integrato Provinciale (PRIP) abbiano inserito una voce per questo settore, o abbiano previsto di poterla includere, o se quantomeno sia stata formalmente avanzata da parte di codesta Giunta comunitaria una apposita proposta in tal senso.

(I consiglieri capigruppo di opposizione Riccardo Bigoi, Paolo Bolognesi, Marino Friggeri, Giuseppe Moncignoli, Davide Morani)