Se la realtà è virtuale, potrebbero esserlo anche i ricordi. L’utilizzo di ambienti 3D interattivi aiuta infatti a sviluppare la memoria, ma in alcuni casi la alimenta in maniera ipertrofica. E’ quanto emerge da un esperimento condotto dalla università di Washington, che ha cercato di confrontare diverse tipologie di apprendimento: la prima condotta attraverso una realtà virtuale e la seconda tramite istruzioni impartite per via di testi e immagini statiche. Alla fine del test – in cui i partecipanti dovevano imparare come usare una macchina fotografica – le persone sottoposte all’esperienza virtuale ricordavano meglio le funzioni del dispositivo, ma al contempo mostravano un maggior numero di falsi positivi: ovvero credevano che la fotocamera facesse più cose di quelle per cui era effettivamente predisposta.
Per dirla con le parole della ricercatrice Ann Schlosser: «L’interazione con un oggetto virtuale, sebbene migliori l’associazione di ricordi, può condurre alla creazione di reminiscenze internamente generate che si pongono come memorie». Insomma, la realtà virtuale indurrebbe il cervello a rammentarsi di cose non reali. «I benefici di un apprendimento attraverso la realtà virtuale possono avere un costo», continua la Schlosser, poiché la facilità con cui questo genera immagini mentali crea confusione nelle persone, rendendo difficile distinguere ciò che è stato percepito da ciò che è stato inventato.
Certo è ancora prematuro preoccuparsi – occorrono altri esperimenti e ricerche – così come paventare un futuro alla Matrix in cui i nostri ricordi siano completamente adulterati da una realtà fittizia. E tuttavia lo scenario aperto dalla Schlosser merita di essere approfondito, visto l’ampio spettro di applicazioni delle esperienze virtuali, dai giochi utilizzati per reclutare e addestrare soldati alla frontiera mobile rappresentata da Second Life, il mondo 3D in cui «rifarsi» una vita con un proprio avatar. Forse che un giorno gli utenti di questi ambienti si ricorderanno di persone, azioni e conversazioni mai avvenute? La ricerca del tempo perduto rischia di essere, in futuro, più complicata che mai.
(Fonte: Corriere della Sera, www.corriere.it)