Castelnovo ne' Monti, chiesa della Resurrezione, ieri sera. Incontro sul tema: “Educare insieme, famiglia e comunità cristiana”. Don Geli Margini, parroco, ha introdotto: “C’è una grande voglia di reagire in paese. Il triste avvenimento di questa estate ci ha disorientato, ma anche aperto gli occhi. Castelnovo non è diverso dagli altri paesi: si nota delusione, ma ci sono anche speranze; e la presenza di Sua Eccellenza qui questa sera – lo ringraziamo – ci è anche di conforto”.
Prima delle domande al vescovo da parte dei presenti (la chiesa era piena), c’è stata la testimonianza di due coniugi, Giuseppe e Anna Bigi.
Il primo ha detto che bisogna essere grati a chi ci ha trasmesso la fede: “Nello stesso modo siamo debitori verso le generazioni future alle quali dobbiamo tramandare la grandezza di questo dono”. “In tema di educazione dei nostri figli noi genitori abbiamo delegato troppo – ha detto – anche alle stesse parrocchie. Abbiamo creduto di fare il loro bene (dei figli) offrendo dei surrogati. Per converso, le comunità cristiane hanno dimenticato di sollecitare le famiglie in tal senso. Occorre perciò recuperare l’aspetto fondamentale, il tesoro della vita dei figli: far conoscere, amare e seguire Gesù”.
Anna Bigi ha rimarcato che è “importante che l’appartenenza alla chiesa non sia solo formale”. “Noi siamo una famiglia normalissima: credo serva la condivisione dell’esperienza per far sì che anche altre famiglie ci credano e si mettano in gioco”.
A questo punto via al dibattito. Mario Ferrari ha chiesto in sostanza cosa bisogna fare per essere buoni genitori. “Domanda senza dubbio impegnativa – risponde il vescovo – ma direi che è bene che l’educazione sia un compito impegnativo: perché questo significa che abbiamo a che fare con famiglie ‘reali’. Tanti esempi al proposito li possiamo trovare nello stesso Vangelo. Ci sono problemi oggettivi? Bene allora l’ausilio di esperti, ma non quando questo atteggiamento si trasforma in semplice delega: allora non funziona. Mamma e papà catechisti? No, non è compito loro; piuttosto essi siano buoni testimoni, diano il buon esempio. I figli osservano i genitori, soprattutto nei momenti in cui questi ultimi pensano di non essere osservati; e traggono loro conclusioni dal modo con cui si parlano vicendevolmente, da cosa si dicono, se sanno perdonarsi”.
Laura Romei: “Cosa fare quando ci troviamo di fronte a fallimenti? Non è facile trovare il giusto comportamento in questa nostra società egoistica e consumistica… Quand’è che il percorso educativo può ritenersi concluso?“.
“Droga, alcool, sesso: i giovani (ma non solo loro, anche tanti adulti) hanno diverse forme di dipendenza – ha detto di rimando mons. Caprioli – ma prima di trovarsi ad agire per contrastare o comunque intervenire sugli effetti dovremmo capire a monte i perché di questi atteggiamenti. Atteggiamenti che stanno dilagando anche in senso quantitativo. Si diffonde il modo di pensare, ad esempio, che fare uso di certe sostanze fa stare bene. E’ questo il vero problema”. “Dei fallimenti – ha soggiunto – dobbiamo prendere atto umilmente, anche se ritengo che i fallimenti assoluti non ci siano: per usare un’espressione di don Milani, dobbiamo allora ‘rinfurbire’, cioè capire gli sbagli e cambiare direzione. Quando si finisce di educare? Alla morte, perché figli e genitori lo si è per sempre”.
E’ la volta di Alberto Campari, che chiede: “Cosa offrire ai ragazzi? Come chiamare anche i ‘lontani’ dall’ambiente parrocchiale?”.
Il pastore della diocesi reggiana: “Ho sentito che hai associato ad ‘educazione’ un vocabolo molto bello, ‘entusiasmante’. Ti bacerei in fronte (se fossi stato un’educatrice avrei fatto lo stesso!). Troppo spesso abbiamo catechisti piuttosto dimessi, che difficilmente riescono a trasmettere un po’ di gioia di vivere. La comunità cristiana non può limitarsi ad offrire una scolastica ora di dottrina: una brutta immagine di educazione alla fede. La vera fatica è quella certa solitudine derivante dal fatto che non si delegano agli altri responsabilità che ci si è assunti in prima persona: bisogna metterla nel conto e accettarla".
William Goldoni ha posto la seguente domanda (che autodefinisce “border-line”, di confine): quale può essere il ruolo della comunità nei confronti dei nostri figli che assistono alla lacerazione delle loro famiglie?
“Riformulo così la domanda: è possibile educare anche in queste condizioni? – replica il presule – c’è amore per i figli tale da rendere possibile, nonostante tutto, un’attività positiva verso di loro? Sul piano civile esistono i consultori, che in sostanza si occupano di mediazione familiare per aiutare ad essere comunque genitori. Dobbiamo prestare molta attenzione a questi fenomeni e meditare”.
Giacomina Caroni introduce il tema del rapporto a scuola con colleghi e studenti che sempre più fanno parte di altre religioni o sono atei: “Come comportarsi?”.
“Si tratta senza dubbio di un fenomeno nuovo rispetto al passato – risponde il vescovo – Ora siamo in oggettivo pluralismo e la situazione è più complessa. Ma il problema ce l’ha di fronte la Chiesa stessa. Penso che occorra cercare la collaborazione, mantenendo però fermi i principi in cui crediamo. Una strada, questa, già tracciata dal Papa Giovanni Paolo II negli incontri interreligiosi promossi ad Assisi. Era un modo per conoscersi reciprocamente. Alla fine il traguardo è quello di scongiurare lo scontro di civiltà. Il punto di partenza è educare al rispetto dell’altro senza, ribadisco, rinunciare alla nostra fede: anzi, testimoniarla. Chi viene da fuori deve anzitutto essere messo nelle condizioni di conoscere il nostro patrimonio di civiltà. La nostra Italia è permeata da secoli di cultura cristiana”.
Come non andare col pensiero alla ripetuta richiesta fatta a suo tempo da Papa Wojtyla perché questi concetti trovassero posto e fossero riconosciuti nella Costituzione Europea?
Infine, Chiara, 18enne, che pone il seguente quesito: “Come ci ricordava di recente don Chiari, è possibile che i genitori rispetto ai figli siano altrove?”.
“Spesso, è vero, i figli si allontanano dalle orme dei genitori, vogliono essere diversi. Ma ci si allontana alla ricerca di cosa? Don Chiari a questo proposito ha scritto pagine senza dubbio interessanti nel suo libro (Un giorno di 5 minuti). La vita dobbiamo vederla come ‘diritto alla felicità’ o come ‘compito’ che ci è affidato? Alla fin fine cosa dobbiamo lasciare a chi rimane: un’eredità materiale o non piuttosto spirituale? Siamo più contenti se la vita ce la sudiamo e guadagnamo o se ci viene servita pronta? La disoccupazione: spesso è dovuta al fatto che, più che il lavoro in quanto tale, è il lavoro che si cerca che non c’è”.
Conclusione: “Qual è il segreto per far vivere felici i ragazzi? Essere dei genitori felici”.
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La serata (dalle 20,45 alle 23) è stata interamente trasmessa in diretta da Radionova; tecnico dei collegamenti Ermete Muzzini, assistente Nicola Paoli.
Complimenti
Complimenti soprattutto alla Caroni.
(Vera Ndoci)