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Ricordo di Domenico Rossi

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Riceviamo e pubblichiamo.

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Domenico è stato il mio primo collega di lavoro presso gli uffici zonali della Confcoltivatori (oggi Cia) di Castelnovo ne' Monti, dopo la maturità allo “Zanelli”. Eravamo due tecnici di base dei Servizi di sviluppo agricolo; una rete di assistenza alle imprese attivata sul finire degl’anni Settanta dalla Regione Emilia-Romagna per migliorare la redditività della nostra agricoltura.
Seguivamo l’andamento economico e produttivo di una cinquantina di aziende agricole, sparse un po’ in tutta la montagna reggiana; erano state individuate attraverso alcuni criteri, il più importante dei quali era la presenza in esse di giovani con ogni probabilità destinati a prendere in mano le redini delle imprese di famiglia.

Una bella esperienza, soprattutto per un ragazzotto come me che doveva imparare tutto e bene, possibilmente in fretta, da quelli che l’agricoltura – soprattutto quella della montagna con le sue mille peculiarità - la conoscevano bene. E Domenico quel fazzoletto di terra reggiana lo conosceva come le sue tasche.
Con l’inizio degl’anni Ottanta si apre un periodo di grandi cambiamenti per l’agricoltura: diminuiscono gli addetti - con un trend negativo che pare inarrestabile -, le aziende si fanno sempre più grandi, aumentano le produzioni complessive e, con esse, le eccedenze nei magazzini della CEE di latte, carne e cereali, al punto che a Bruxelles decidono di introdurre le famose quote (e le multe all’Italia di cui ancora oggi non è chiara l’entità). Prende il via un processo di unificazione di caseifici e cantine sociali che la Confcoltivatori reggiana incoraggia e sostiene con molta convinzione: l’obiettivo è di portare il mondo agricolo su posizioni unitarie, al di là dell’appartenenza (“rossa” o “bianca”), affinché insieme si possa guardare alle opportunità future e lasciarsi finalmente alle spalle costose divisioni condizionate più dalle leggi della politica che da quelle dell’economia (“permangono anacronistici steccati da superare” ripeteva con insistenza il giovane presidente della Confcoltivatori, Paolo Cattabiani).

Sempre in quel periodo trovano ascolto (e consenso) le opinioni di un movimento ambientalista che cerca in ogni modo di dipingere un’agricoltura a tinte fosche, secondo l’equazione “agricoltori = inquinatori”. Tesi strumentale allora quanto ingiustificabile a distanza di trent’anni, con il senno di poi. Alcune cooperative di produttori rispondono all’accusa confermando la scelta di un’agricoltura di qualità, continuando a investire in formazione di giovani tecnici e nella divulgazione delle moderne pratiche dell’agro-zootecnia. L’allora CPCA (oggi Progeo) su queste posizioni è in prima fila e Domenico proviene proprio da quel consorzio in cui completa e rafforza la sua preparazione dopo gli studi in agraria; essa si rivelerà di grande aiuto nell’accompagnare i profondi cambiamenti che caratterizzeranno il settore agricolo.

In questo scenario, nel quale si colloca il nostro impegno, soprattutto in Emilia-Romagna si affermano nuove idee di politica agraria, che collocano il comparto primario in un ruolo strategico, di primissimo piano dal punto di vista socio-economico (produzione di reddito e occupazione anche in zone svantaggiate come la montagna), ambientale (è garantito un presidio competente e affidabile del territorio) e culturale (agli agricoltori è delegata la memoria di una cultura contadina fatta di regole e rapporti interpersonali di grande insegnamento).
Anche la parola agricoltura subisce una mutazione lessicale: agroindustria, agroalimentare, primario innovato, modello agreste…; si tende a relegarla a un bucolico arcaico, da mettere in soffitta, incompatibile con un progetto industriale di rilancio del settore che non pochi economisti vorrebbero omologare al manifatturiero. Domenico condivide solamente in parte questa forzata modernità e con il suo pragmatico buonsenso non si stanca di ripetere che gli animali non sono macchine, non sono fatti come le presse per produrre piastrelle 24’ore al giorno e il calendario delle piante non conosce week end, ferie o Ferragosto. Non si stanca di spiegare pazientemente i “limiti” oggettivi di madre natura, che scandiscono la periodicità dei raccolti di cui troppo spesso ci si dimentica, pretendendo cocomeri e meloni della Bassa a Natale.

Un paio d’anni insieme, tra Castelnovo ne' Monti, Reggio ed anche Bologna dove venivamo chiamati dalla Regione per partecipare a riunioni e corsi d’aggiornamento, e le nostre vicende professionali avrebbero preso strade diverse, pur sempre nell’ambito della Confederazione. Domenico stesso scelse di dedicarsi sempre più a mansioni d’ufficio: un nuovo mestiere per lui, che gli imponeva di passare dalle quotidiane visite aziendali alla scrivania e dedicarsi maggiormente allo studio di materie fiscali, districando matasse di burocrazia soffocante. “Quasi impossibile star dietro a tutto” mi diceva, dando voce alle giuste lamentele degli agricoltori che mal sopportano il colore della carta bollata.

“Domingo” sapeva mettersi a disposizione degli agricoltori di ogni età e loro lo ricambiavano con genuina fiducia. Lo si vedeva da come gli rivolgevano la parola, lo invitavano nelle loro case, lo salutavano incontrandolo per strada o al bar. Insomma, era uno di loro. Onesto e disponibile, Domenico, come del resto testimoniava con il suo tempo libero che dedicava alla Croce rossa di Carpineti: il “suo” Paese, che ha vissuto pienamente nelle sue tante sfaccettature (dallo sport al volontariato) e che nel giorno dell’estremo saluto gli ha reso la meritata gratitudine.

Una bella persona. “Dommi” era un amico, di tutti. Un collega ideale che ognuno vorrebbe al proprio fianco, con una straordinaria esperienza che sapeva trasmettere con leale generosità alle giovani leve, sensibile nel riconoscere quand’era il momento di dare una mano.

Un amico dell’agricoltura, della terra alla quale egli ha scelto di affidare le proprie spoglie per continuare uno splendido rapporto d’affetto che con lei ha coltivato per tutta la vita. Impossibile dimenticarlo.

(Roberto Lugli)

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