Con riferimento alla lettera di Claudio Bucci a Redacon, ecco la replica di Fausto Giovanelli, presidente del Parco nazionale dell'Appennino
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Una migliore viabilità e massicci investimenti sono certamente molto meglio di niente. La viabilità è un servizio essenziale. Massicci investimenti possono dare commesse pubbliche per il portafoglio di diverse imprese e di conseguenza posti di lavoro... Ok. Su questo non ci piove...
Ma dove sono le risorse per fare questo? Averle dipende dai nostri desideri/richieste o piuttosto dalle disponibilità effettive delle casse pubbliche? Pensiamo che nei prossimi anni ne avremo più che nel passato? Diciamoci la verità..non sembra probabile che le risorse per il riequilibrio territoriale aumentino... Chi le tirerà fuori ? Tremonti, Errani, i sindaci?
Possiamo rimpallarci le colpe... ma temo che comunque non salterebbero fuori. Sarebbe il parco ad avere le risorse che non hanno Stato, Regioni, Provincie, Comuni , Consorzi di bonifica…? Magari!!! Ma tutti sappiamo che non è così . Allora prendiamo e usiamo bene le risorse che ci sono...
Ma non possiamo puntare il futuro su ipotesi fantasiose. Bisogna creare una competitività e una attrattività del nostro territorio puntando non sulle sue debolezze, ma sulle sue eccellenze. Su creatività e risorse umane , su ricchezze immateriali come socialità e ambiente, sull’affettività di migliaia di" montanari " residenti altrove,sulla possibile multifunzionalità delle imprese agricole,sulle energie rinnovabili, sui nuovi turismi che rendano - al di là del reddito - più vivibile e attraente anche per le donne la vita dei paesi. Il Parco propone come modello l'Atelier di Ligonchio, per esempio... Non è in contraddizione con strade e lavori di difesa del suolo. Ma se si chiede al Parco di "pagarli", bisogna riuscire a moltiplicare il bilancio del Parco non per due , ma per cento. Non è realistico , anche se sarebbe bellissimo. Abbiamo già troppi venditori di fumo e di sogni elettorali. Investire sul paesaggio, l'identità e la bellezza non è astrazione: è modernità . Dobbiamo guardare all’Appennino coi nostri occhi, ma anche con quelli di chi lo vede da fuori. Dobbiamo inseguire il riequilibrio...senza rinunciare a cercare competitività. Dobbiamo difendere quello che c'è senza rinunciare ad azioni di ricerca e sviluppo. Nel 2008 il mondo occidentale ha conosciuto la più grande crisi dopo il '29. In Appennino sembra non sia accaduto nulla . Invece qualcosa è accaduto e sta accadendo: c'è meno disponibilità di spesa pubblica. Come possiamo compensare? Chiedendo certo. Ma soprattutto operando per dare più competitività alle imprese, al territorio, all'offerta di qualità del lavoro, della vita e delle relazioni in Appennino.
(Fausto Giovanelli)
NOTA DELLA REDAZIONE: E' vero solo a metà che la crisi avviatasi dopo il 2008 non ha cambiato nulla in Appennino al di là del ridursi nettamente della spesa pubblica: è drasticamente crollato il lavoro offerto da privati e industrie.
Non solo, la limitata offerta di lavoro, ridottasi anche in pianura, ha aggravato l'emorragia di giovani cervelli in Appennino. Il risultato? Alcuni paesi di crinale non sopravvivono anagraficamente nemmeno più con i figli di extracomunitari: le nuove coppie si formano e vanno a vivere altrove. Mentre le "giovani menti neolaureate" emigrano ancora più "drammaticamente" (per chi resta) altrove, soprattutto se di sesso femminile. E anche in comuni di medio Appennino si è abbassata l'asticella dell'offerta di servizi, come nel turismo a Vetto o Canossa. La crisi ha lasciato un segno che si teme indelebile. Ben vengano le proposte per controbatterla: peccato che l'economia dello Stato italiano (consentiteci un pizzico di demagogia) abbia voluto iniziare il rigore dalle Comunità Montane e non... da sprechi reali ogni giorno sotto gli occhi di tutti a partire dai costi della politica nazionale. Tremonti è ministro apprezzato anche a sinistra, ma ha perso di vista la montagna. Qualcuno poteva fargli notare questo topolino che occupa la metà della superficie nazionale. (g.a.)
Ma chi si vuole occupare di montagna in Italia?
Che le risorse non ci siano è materia opinabile. Io credo che il tema sia un’altro e cioè se esista o meno la volontà politica di fare delle scelte, se lo Stato, le Regioni, le Province ed i Comuni abbiano una strategia in favore del crinale Appenninico italiano.
Il problema infatti non riguarda un territorio marginale da assistere, bensì capire che salvaguardare la montagna significa fare l’interesse di tutto il territorio.
Basterebbe pensare ai costi che purtroppo periodicamente lo Stato è chiamato a sostenere per danni alluvionali, franosi non di rado con perdite di vite umane.
Ebbene, prevenire, con una corretta gestione e cura permanente del territorio montano, sarebbe ciò che Stato, Regioni e Province , ognuno per le proprie competenze, dovrebbero fare nell’interesse generale.
Ma poi occorrerebbe anche fare delle scelte, avere una strategia, è infatti compito di una Politica alta scegliere l’interesse generale e non accontentare più gente possibile.
A questo proposito ricordo di aver fatto alcuni anni fa, nel 2002, la sommatoria degli interventi effettuati con finanziamenti a privati e ad enti pubblici in attuazione di leggi e provvedimenti europei,statali, regionali, provinciali e locali, attraverso la Provincia di Reggio Emilia in favore dei cinque Comuni del nostro crinale. Ne risultò la bella cifra di 7.957.000 Euro nell’anno. Il problema è che sono stati spalmati in ben 57 interventi a favore di privati e nel pubblico su ogni frazione dei Comuni di Collagna, Ligonchio, Busana , Ramiseto e Villa Minozzo.
Vorrei poi insistere nel dire che fare manutenzione del territorio è un investimento permanente che come sopra citato evita danni a tutto il territorio, pianura compresa, e crea lavoro continuativo in loco per cooperative ed imprese locali.
Infatti lo sfalcio dei prati è per ogni anno, la pulizia del bosco è permanente poichè si riproduce, la manutenzione dei sentieri è ricorrente (non foss’altro per il continuo “operare” degli ungulati), la regimazione delle acque è necessità continua, la sistemazione dei pendii è ricorrente e così via.
In definitiva se in città ed in pianura ci sono Ceramiche, Officine e quant’altro sul crinale potrebbe esserci la nostra “fabbrica a cielo aperto”.
Vorrei anche precisare che chiedere questi interventi non è sostitutivo della necessità di investire sulle nostre ricchezze immateriali, sulla green economy, sulla multifunzionalità delle imprese agricole, sull’Atelier di Ligonchio ecc..
La mia opinione è che queste iniziative pur belle ed utili in sè, siano inadeguate per cambiare urgentemente l’economia del territorio del crinale, mentre le strade di comunicazione moderne (sia materiali che immateriali) ed un’attività permanente nel manutenere il territorio ne siano presupposti essenziali.
(Claudio Bucci)