Alla lettera di Robertino Ugolotti a Redacon, sul tema della lettera alle forze sociali e imprenditoriali di Fausto Giovanelli, replica questo intervento, che pubblichiamo.
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"Un Parco può fare solo il suo mestiere, non surrogare quello di altre istituzioni
La lettera del signor Ugolotti mi spinge a intervenire, da osservatore esterno, nella discussione aperta dal presidente Giovanelli. Non lo avrei fatto se le argomentazioni fossero rimaste nella traccia proposta da Giovanelli (competitività, eccellenza, mercato). Conosco infatti meglio l’Appennino delle mie parti, in Lombardia, altrettanto spopolato di quello reggiano e di questo, salvo che per il vino, ben meno competitivo, tanto dal punto di vista ambientale che economico.
Ma il signor Ugolotti sceglie invece argomentazioni che si riferiscono tutte ed esclusivamente al Parco nazionale e su queste, per la mia esperienza dei parchi in generale e di questo in particolare, faccio fatica a trattenermi, per quella certa approssimazione e scarsa conoscenza che lasciano intendere.
Mi piacerebbe innanzitutto verificare se, in tema di montagna e di parchi, siamo d’accordo su alcune cose che in realtà dovrebbero essere pacifiche:
1. La montagna reggiana non è certamente un’isola di difficoltà economica in un oceano di sviluppo e sicurezza per il futuro. E ancora: l’Appennino si è spopolato ovunque e qui in misura analoga ad altre zone.
2. Il Parco è una possibilità per agire ‘in controtendenza’ utilizzando risorse tipiche di questa montagna e per di più permanenti e riproducibili. Sull’attuazione concreta dell’idea di parco si può essere critici ma è certo che essa differenzia già la montagna reggiana da altre in analoghe situazioni economiche e demografiche. Qui c’è a disposizione uno strumento in più!
3. Il Parco ha (i parchi hanno) compiti precisi, che accompagnano, indirizzano, sostengono, anticipano, quelli di altre istituzioni, che continuano a funzionare e hanno la primaria responsabilità dei normali servizi ai cittadini. In altre parole: per fare strade, assistenza, istruzione e così via non si fa un parco. Un parco si fa per provare a fare cose nuove che nessun altro può fare, legate all’ambiente, alla sua conservazione e alla sua valorizzazione.
Alla luce di queste banali osservazioni, che forse non sono alla portata diretta dei cittadini ma che dovrebbero esserlo dei dirigenti politici, è possibile e doveroso discutere del lavoro del Parco, cioè della rispondenza della sua attività alla missione di un’area protetta così come la definisce la legge nazionale. Ma con lo stesso metro devono essere valutate anche le proposte alternative (non al parco, ripeto, ma all’attività del parco). Per essere chiari: se si fa un ente per gestire un teatro si può criticare la gestione del teatro (tipo di spettacoli, prezzi dei biglietti, orari, allestimenti ecc.) ma non si può presentare come alternativa concreta ad una gestione (anche cattiva) la mancanza di menu gastronomici all’altezza, perché per quello ci sono i ristoranti.
Mi sembra invece che il signor Ugolotti usi un artificio retorico (certe cose che la montagna dovrebbe avere non ci sono e dunque il parco lavora male ed è elitario!) che rende difficile una discussione nel merito e, a chi legge, rende spesso impossibile capire su quale contenuto concreto si appuntino le critiche.
Comunque, poiché critiche di merito ci sono, mi permetto di avanzare qualche osservazione in base alla conoscenza che ho dei dati di fatto:
a. La sede a Ligonchio. Quando Giovanelli è diventato presidente, dopo lunghi periodi commissariali, le sedi erano a Lucca e Reggio Emilia. Ora sono a Sassalbo e Busana; fra un po’ quella di Busana lascerà il posto a quella di Ligonchio. Ricordo bene che questa scelta fu annunciata immediatamente e in quel momento l’amministrazione di Ligonchio non era l’attuale. In quanto ai tempi, mi sembra di capire che sono stati quelli resi necessari dai rapporti con l’Enel e dai lavori di sistemazione dell’edificio.
b. Il progetto Lupo. Sembra strano doverlo spiegare a chi dovrebbe saperlo bene, ma non un euro è stato speso – in questo come in altri parchi - per ‘farlo ritornare sui nostri monti’. Il lupo va dove gli pare e sui nostri monti è arrivato per conto suo facendo la normale strada che fanno i lupi. L’Appennino è una dorsale di boschi e natura e da quando (ben prima dell’istituzione del Parco) al lupo non si spara più (qualcuno continua a farlo, ma contro la legge) il lupo si serve di questa ‘autostrada’ verde per spostarsi, reinsediarsi, moltiplicarsi. Sì, il Parco ha un ‘progetto Lupo’ che condivide con altri parchi in Italia e in Europa ma, come si può leggere in tutti i documenti che lo compongono (io li ho letti sul sito) e su tutti i comunicati che danno conto del suo avanzamento (li ho letti sul sito e sui giornali) è un progetto che ha il compito di alleviare le conseguenze della presenza del lupo e di aiutare a convivere con questa presenza che è un elemento di valore per le montagne italiane.
c. Il gemellaggio con le Cinque Terre. In realtà si tratta di un’alleanza per un’area più vasta che, secondo i dettami della legge quadro nazionale, vuole mettere a valore la presenza ravvicinata di molti parchi. Ma voglio stare al punto. Avendo collaborato alla sua attuazione posso dire che il gemellaggio non è costato praticamente nulla ma ha messo questa parte di Appennino in un circuito frequentato da milioni di turisti. Annullarlo? E perché rinunciare a presentare le vostre eccellenze là dove possono interessare e proprio quando cominciano a dare qualche frutto concreto? (per appurarlo, basta chiedere agli operatori). Sostituirlo con un gemellaggio con Reggio? Cos’è la presenza di Reggio Children nell’Atelier di Ligonchio se non un gemellaggio con Reggio Emilia, che mette a frutto un’altra eccellenza e porta visitatori in montagna? E cos’è l’apertura (a costo zero, da que che si capisce dai comunicati del Parco) di un ‘punto’ informativo e di promozione dei prodotti tipici del Parco in centro a Reggio?
d. Le ‘ciaspolate’ per atleti. Qui non ho capito dove sta la polemica. Ho invece seguito i vari calendari delle ciaspolate per tutti, e soprattutto quelle per i ragazzi dell’iniziativa Neve Natura, organizzata dal Parco: so che in alcune settimane quei ragazzi sono stati tra i non molti turisti in Appennino. Ciaspolate che i ragazzi hanno associato a visite, conferenze e incontri con la gente, proprio per conoscere la montagna e aprezzarla per il bello che può dare e non come ‘surrogato’ della città.
Fatte queste osservazioni, qualche parola sul nocciolo del ragionamento di Ugolotti. Che si riassume nel ‘ripartire dall’uomo’, cioè nel creare per l’uomo le condizioni più appetibili e gradevoli per restare (o tornare) in montagna. A parte che mi ricorda quella storiella dell’inventore del motore che si sentì dire di non perdere tempo dietro a certe baggianate, che sarebbe stato molto meglio fare viaggi bellissimi, (cioè: stai facendo funzionare l’Atelier di Ligonchio dove lavorano persone di qui? Ma lascia stare, che quel che serve è il ‘benessere economico diffuso’!) vediamo di uscire, in questo caso sì, dagli artifizi retorici e dalle parolone: uomo si può scrivere anche in lettere minuscole, ma occuparsene davvero. I parchi in Italia hanno l’uomo come componente essenziale; riconoscono il valore e il rilievo delle sue attività anche per la conservazione della natura; elaborano piani per lo sviluppo compatibile di quelle attività. ‘Mettere l’uomo al centro’, insomma, è un’espressione che dice tutto e nulla. Molto meglio dire, di ciascuna proposta (ma bisogna averle!) quali sono le ricadute per l’uomo, la sua economia, il suo futuro.
Il Parco qualche proposta la sta mettendo in campo. E la domanda torna ad essere: come si rende competitiva la montagna? Come si può accendere qualche scintilla di economia senza alzare il solito lamento di aiuti, aiuti e ancora aiuti? (Che, quando ci sono stati hanno prodotto quello che vediamo e che comunque ci saranno sempre meno?)
Credo che una discussione vera su questi interrogativi sarebbe straordinariamente utile non solo all’Appennino reggiano, ma a tutte le analoghe realtà montane che vivono lo stesso stato di disagio e non hanno nemmeno a disposizione un Parco per fare qualche esperimento in più e tentare qualche azione innovativa sul campo.
(Luigi Bertone, già direttore della Federazione italiana dei parchi e delle riserve naturali)
Tante parole, sostanza zero, comuni forse a tutti i presidenti dei parchi.
(Commento firmato)
Dai comunicati di Giovanelli, ai rilievi di Ugolotti, all’intervento del Sig. Bertone trovo spunti sicuramente interessanti (e anche motivi di polemica che intenderei tralasciare). Vorrei precisare, soprattutto a beneficio del Sig. Bertone, che mi sono occupato dei possibili effetti della costituzione di un Parco nazionale sull’economia del territorio dei comuni del crinale reggiano fin dalle discussioni iniziali per arrivare alle assemblee pubbliche di consultazione delle comunità locali. E’ sicuramente interessante quanto si va promuovendo a Ligonchio con l'”Atelier delle acque”; è tutt’altro che privo di interesse il richiamo di Ugolotti all’andamento demografico dei comuni del crinale reggiano, così come è apprezzabile la competenza del Sig. Bertone sulla “Istituzione” parchi nazionali. E’ un dibattito che il presidente Giovanelli spesso auspica e che mi pare utile. Questo mio breve intervento vorrebbe contribuirvi.
Il Sig. Bertone fa, tra l’altro, un richiamo specifico al compito di un Parco nazionale di fare cose nuove che nessun altro può fare così come di dedicarsi alla conservazione dell’ambiente ed alla sua valorizzazione. Riconosco che il nostro Parco nazionale sta facendo alcune cose nuove (emblematico l”Atelier delle acque e delle energie”). Ricordo però che quando abbiamo fatto le assemblee di consultazione popolare, prima della istituzione del Parco, abbiamo promesso e scritto che la manutenzione del territorio, dai prati pascolo, al bosco, alla sentieristica, sarebbero stati elementi fondanti dell’attività del Parco. Un Parco che in forza della legge 344/97 (che integra la precedente legge 394/91) rendeva per la prima volta in Italia le comunità locali co-fondatrici di un Parco nazionale. Io sono dell’avviso (e chiedo scusa a quanti leggono per l’ennesima volta questo concetto) che la manutenzione del territorio sia una necessità fondamentale sia per motivi ambientali (per di più doveroso non lasciar degradare quanto chi ci ha preceduto su queste terre con grandi sacrifici ci ha tramandato), ma anche, e non secondariamente, quale occasione permanente di lavoro e quindi occupazione per le imprese private e cooperative che potrebbero qui operare dando quel contributo che è vitale per mantenere e rilanciare il tessuto economico e sociale delle comunità del crinale reggiano.
Sottolineo “crinale” poichè un equivoco in cui molti cadono, tra i quali mi pare il Sig. Bertone, mi pare sia quello di considerare l’Appennino reggiano nei suoi tredici comuni complessivamente vitale, ma se valutiamo la situazione dei cinque comuni del crinale su cui insiste la gran parte del Parco vediamo una realtà economico-sociale preoccupante ed ancor di più un futuro, già desumibile dal dato della tendenza demografica, assolutamente allarmante.
(Claudio Bucci)
Non è stato speso nulla per il lupo
Nel lontano 1996 (15 anni fa) l’allora Parco del Gigante (ve lo ricordate?) avviò il progetto Life Lupo, grazie ai finanziamenti della Cee. Attenzione! Finanziamento della CEE = Soldi spesi! Quindi è vero che il lupo si muove in autonomia, ma non è altrettanto vero che per il lupo non è stato speso nulla.
(ATG)
Per dovere di cronaca
Il commento di Bertone è argomentato e più o meno condivisibile. Per dovere di cronaca nella firma poteva però aggiungere che è attualmente consulente del Parco.
(Commento firmato)
Solleticato dall’invito del Parco, che fa appello a mettere in campo idee e orizzonti possibili, mi sento di contribuire iniziando con una considerazione: tutte le volte che in montagna si nomina il Parco si finisce per perdere serenità e gli interventi diventano, di colpo, stizziti e soprattutto poco costruttivi. Già questo getta una luce un po’ sinistra sulla reale possibilità di uscire dall’equivoco di fondo che accompagna la presenza del Parco in montagna. Allora, visto che so di addentrarmi in un campo minato, farò subito un’affermazione e proverò a seguire il filo del mio discorso prendendo spunto da quelli che possono essere considerati esempi.
L’affermazione: credo nell’Ente Parco quasi per definizione. Non credo nella politica di sviluppo e negli interventi di questo Ente Parco. Gli esempi: per citare un caso molto discusso, io credo che il lupo non sia stato immesso, credo che abbia seguito il crinale giungendo da noi e credo che tutta la vicenda del lupo sia emblematica della incapacità di comunicare con la gente della montagna. Io, che ho amici che il lupo lo vorrebbero solo vedere appeso a un palo, sono fra coloro i quali credono che il lupo, se ben gestito, possa addirittura diventare una risorsa per il territorio. Forse si è dato troppo per scontato che coloro i quali erano contro si collocassero certamente fra i poco evoluti. Forse sarebbe già un passo avanti riuscire a parlare del lupo come risorsa individuando, però, anche soluzioni percorribili perchè la pastorizia abbia ancora un futuro in montagna. Questa considerazione per tentare di uscire dalla sterile contrapposizione lupo sì, lupo no. Mentre i montanari strepitano al solo parlare del lupo, forse sarebbe incisivo parlare dei danni del lupo solo a margine di un ben più articolato discorso sulle reali possibilità di proseguire il lavoro del pastore oggi in montagna. A prescindere dal lupo e dalle sue predazioni. Questo esempio mi serve per dire che, anche in un caso come questo, come in altri, la incapacità di comunicare fra le parti non è generata dalla differenza di posizioni, bensì da una sostanziale assenza di credibilità di chi costruisce percorsi di sviluppo del Parco che prescindono dalla sua gente, da quello che pensa e da quello che vuole.
Per fare un altro esempio che già l’amico Claudi Bucci sottolinea con grande competenza, il problema non è pensare che stia tutto in capo al Parco la gestione della sentieristica ma che, certamente, sia in capo al Parco la promozione di un percorso di sensibilizzazione alla cura del territorio, nonchè la definizione di linee di intervento che facciano della gestione del patrimonio naturalistico anche un’occasione di sviluppo e di rilancio.
Sologno, con i suoi castagneti puliti e riattati e la calce ritrovata, è certamente un buon esempio, ma non può rimanere caso isolato e disarticolato fra altri. Occorre provare a pensare a qualche soluzione per il castagno e, forse, provare a farlo partendo da un dialogo più serrato con le comunità. Anche io credo che l’uomo sia una risorsa e credo che lo siano le comunità che, a dispetto di tutto, sopravvivono. In montagna conosco molte persone. Persone che la pensano in maniera molto diversa l’una dall’altra. Molte di queste persone rappresentano una risorsa per quello che sanno mettere in moto, per quello che sono in grado di creare dal nulla e, spesso, senza un soldo. Ma quasi tutte queste persone, chissà perchè, sono guardate con sospetto da chi muove i fili della politica. Personalmente credo molto nella capacità che hanno le comunità di produrre piccoli-grandi laboratori di idee che generano qualcosa che altrove si è irrimediabilmente perduto: il senso dello stare insieme. Scrivo, butto giù dei pensieri e poi, di colpo, di fermo a riflettere. Sto mettendo in fila qualche umile spunto che, nel suo insieme, richiama definizioni provenienti dal mondo dei valori: la vita di comunità, l’incontro fra le esigenze di chi vive nel e del territorio e chi studia soluzioni. Ma poi penso agli ultimi interventi prodotti a Cerreto Laghi anche con il benestare del Parco (l’ultimo scempio del condominio sul lago) e mi sovviene ciò che Messner ebbe modo di dire della montagna: che l’Appennino si attraversa, mentre le Alpi si scavalcano. Un modo sottile per ricordare che in Appennino c’è un cuore che vale la pena di conoscere. Poi, però, mi sovviene un’altra considerazione di Messner che definì l’Appennino reggiano un posto stupendo, se si escludono i dubbi interventi di Cerreto Laghi, Febbio e Ventasso. Cò non significa remare contro lo sci, ma pensare ad un’edilizia di ospitalità più consona al territorio. E, allora, mi viene da rispondere alla sollecitazione del Parco con un invito: è alla gente, alle comunità, a chi vuole vivere in montagna che vanno poste le domande. Per quel che mi riguarda faccio una considerazione che, da sola, dovrebbe già dire molto: in ottemperanza al desiderio di legare un progetto di vita ad un progetto che vada a vantaggio del paese sto investendo a Busana, nel recupero di una delle ultime corti del paese. E’ un investimento che non è certamente speculativo, ma di fatto rappresenta la rimessa in sesto di una fetta di paese che stava crollando. Non solo non ho ricevuto il minimo contributo intercettabile, ma ho pagato (pur consapevole del fatto che sia necessario soprattutto per le casse di un piccolo paese) la bellezza di oltre 14.000 euro di oneri urbanistici.
Per concludere, credo che il vero problema in montagna non sia quale dei progetti individuare fra questo o quello, ma che il progetto non esista proprio. Invito il Parco a recuperare quello che possedevano certi amministratori del passato, anche in montagna: la capacità di ascoltare la gente e, soprattutto, di aiutarla a restare in montagna. Forse, a cercare bene, esistono progetti di sviluppo possibili che tengono anche in considerazione la sopravvivenza delle famiglie.
E, per concludere, una richiesta che sottende una piccola provocazione: perchè nel territorio del Parco non ci sono Nasseta e Acquabona? Il primo uno dei luoghi più importanti dell’alta Valle del Secchia dal punto storico, il secondo un paese esattamente come gli altri che nel Parco ci sono. Giusto per ricordare che anche le carte, come il resto, forse vanno fatte parlando con la gente, per non correre almeno il rischio che sfugga un pezzo di territorio.
(Vincenzo Castellano)
Carissimo Ugolotti…
800 visite da oggi al 30 di giugno all’atelier, la sede del Parco entro la fine di maggio a Ligonchio e una settimana di presenza internazionale a LIGONCHIO da fare il tutto esaurito negli alberghi in giorni FERIALI sono FATTI. Fatti NUOVI. Solo chi non vuole vedere non vede. Solo chi non vuole capire non capisce che c’è una nuova opportunità per Ligonchio e il crinale. E’ il momento di spingere e di dare una mano e magari anche due! Non quello di fare polemiche e spingere al tutti contro tutti che non costruisce nulla.
(Luca Marco Cagnoli, assessore al turismo Comune di Ligonchio)
Pareri
Trovo che nel dibattito scaturito vi siano importanti elementi di riflessione. Prima di tutto, come dice Ugolotti, è necessario impegnarsi in politiche che costruiscano un benessere diffuso e che permettano ai nostri giovani di investire e vivere in Appennino. Occorre farlo chiedendosi qual è il valore del Parco, il suo ruolo e la sua funzione. Il Parco infatti non è un’istituzione come le altre – non lo potrebbe essere – ma deve avere una funzione progettuale, deve saper costruire opportunità, lanciare idee e dare impulsi.
E’ grazie a nuovi stimoli che i giovani possono vivere la montagna da protagonisti in modo attivo e non da pendolari. Certo, ci possono essere iniziative che non producono effetti, altre migliorabili e altre ancora che invece che mettono in moto processi. Insomma, il Parco ha una funzione di matrice culturale e non da ente assistenziale; credo che nel valutarlo occorra sempre tenere in considerazione questo concetto. Serve tempo perché le persone possano viverlo come un patrimonio a disposizione della gente. Anche le critiche, i dibattiti, i confronti sono utili per raggiungere tale scopo.
(Simone Ruffini)
Premetto che trovo questo dialogo–dibattito un elemento di interesse ed anche di crescita, soprattutto ove presenta dati ed elementi costruttivi su cui poter lavorare anziché polemiche grossolane ed essenzialmente sterili, in quanto prive di proposte. Vorrei portare l’attenzione sulle politiche attivate dal nostro Parco nazionale tosco-emiliano, che potrebbero rappresentare un nuovo paradigma di creatività, competitività ed innovazione. E’ certamente vero che non sono state scelte strade facili, che anzi richiedono una visione ampia e rinnovata rispetto ad un modello di crescita che la montagna ha perseguito per lungo tempo, cercando di imitare la pianura, ma che non le calzava e che quindi oggi segna il passo. Il Parco è, ricordiamocelo, un ente di tutela della natura, una realtà relativamente giovane e “naturalmente” in crescita, ma che può contare su un paesaggio che al suo interno comprende anche una storia antica e di interesse europeo ed una serie di attività umane che ne rappresentano il passato, il presente ed il futuro. E’ poi un ente di promozione di questo territorio e questo paesaggio, che può e deve sostenere con forza lo sviluppo di vecchie e nuove attività ecocompatibili, con progetti attentamente declinati sul territorio, che riguardino la sua conservazione, la competitività culturale ed economica, il recupero, l’innovazione. Il Parco si propone insomma come agente di @Csoft economy#C, che può spiccare puntando su creatività ed inventiva, legandole alla propria, forte identità territoriale. Un agente di cui c’è oggi più che mai bisogno anche per il calo del trasferimento di risorse da parte dello Stato centrale. Per alimentarlo servono coesione, collaborazione e non disfattismo. A Castelnovo stiamo conducendo con il Parco un importante progetto sulla Pietra di Bismantova, entrata a pieno titolo nel perimetro dell’Ente solo pochi mesi fa: il progetto punta sulla valorizzazione del monumento naturale, sullo sviluppo ecocompatibile di nuovi percorsi, sul richiamo della sua immagine storica soprattutto per il versante rivolto verso Castelnovo, finora piuttosto trascurato e con la vegetazione che è arrivata quasi a nascondere le pareti rocciose. A settembre 2010 il Comune ed il Parco hanno sottoscritto un documento di indirizzo che ha come linea guida la conservazione attiva del paesaggio e il ripristino della visibilità del monumento naturale. La Pietra è un monumento naturale delicato, un elemento di richiamo molto forte, ma prima di tutto è una montagna e quindi è necessario cercare un corretto equilibrio tra le sue fruizioni: agricola, turistica, religiosa, culturale, alpinistica, escursionistica. La collaborazione con il Parco vuole andare in questa direzione. Sono previsti interventi sulla sentieristica, con la collaborazione del Cai castelnovese, sulla segnaletica, sull’arredo di piazzale Dante.
Vorrei poi concludere sottolineando l’importanza strategica, già oggi ma soprattutto in prospettiva, di altri progetti del Parco quali l’Atelier delle acque e delle energie con Reggio Children a Ligonchio, che ha un richiamo internazionale, sui soggiorni degli studenti, che non solo portano diverse strutture ricettive ad essere fruite nel periodo invernale, ma soprattutto puntano a creare un legame affettivo con i ragazzi che poi crescendo potranno tornare come escursionisti e turisti sul crinale, la valorizzazione di borghi e nuclei urbani fortemente decentrati. Le iniziative sono tante e seguendole con attenzione se ne possono vedere chiaramente le potenzialità di sviluppo, con indubbi riflessi sull’economia del territorio.
(Nuccia Mola, assessore all’ambiente di Castelnovo ne’ Monti)
Solo una piccola precisazione per chi afferma che sono stati spesi soldi PER il lupo:
a) trattandosi di finanziamenti Cee o li usi per un progetto approvato o l’ente che li vuole utilizzare semplicemente li perde;
b) ma cosa vuol dire avere speso PER il lupo?! Mica gli comperi la casa o gli spiani la via. Per quel poco che ho potuto leggere i progetti andavano nella direzione sia di una maggior conoscenza della consistenza della presenza del lupo sul territorio sia di una valutazione dell’impatto anche sulle attività zootecniche a rischio di danni e anche sull’informazione agli abitanti locali sui metodi di buona convivenza con il lupo.
Ebbene sì, le due cose possono coesistere senza troppi problemi! A chi volesse leggere qualcosa di inerente consiglio il libro di un ricercatore, Matteo Carletti, che ha partecipato proprio al progetto LIFE sul lupo appenninico. Il libro si intitola “La via dei monti”, è un buon modo per avvicinarsi al mondo dei ricercatori (senza essere troppo “scientifici”) e a quello dei lupi allontanandosi un po’ da quello dei vari amministratori locali.
(Commento firmato)
In questa discussione, finalmente, leggo alcuni interventi che condivido pienamente, ed è forse una delle poche volte che vedo un po’ di spunti per intervenire. Leggo sempre più spesso l’assurda contrapposizione uomo-natura, come se fossimo entità distinte con un destino non comune, stiamo forse ritornando indietro al medioevo? Uomo al centro e natura ai margini cosa vuol dire? Tagliando tutti gli alberi, uccidendo i lupi e trasformando gli ungulati in polpette, rosicchiando le montagne con le cave, incentivando tir sulle nostre strade cosa avremo tra un po’ di anni? Saremo ricchi e lo spopolamento si sarà fermato? O saranno fuggiti anche gli ultimi che credono in qualcosa di diverso?
Se un parco nazionale non si occupa di natura di cosa si deve occupare? Di tutti i progetti fatti finora quello su lupo e aquila reale mi sembrano i più centrati e prettamente coerenti con un parco nazionale! Chi dovrebbe tutelare la natura, qualche sponsor privato? Gli amministratori locali? I volontari? Personalmente odio la politica e lo schieramento ideologico interessato che con giri di parole fa sempre perdere di vista la realtà e i veri problemi, per creare assenso a interessi personali, pertanto non voglio entrare nel merito ma forse le colpe delle nostre condizioni attuali sono da ricercare solo in persone.
Personalmente penso che si scelga di vivere in Appennino per la qualità della vita senza stress, per l’assenza di traffico-inquinamento-delinquenza, per la possibilità di vivere all’aria aperta, per vedere alberi dalla finestra e non cubi di cemento armato, in pratica proprio per la poca densità abitativa che in città rende la vita soffocante. Tutte motivazioni che a quanto pare per certe persone sono un motivo per fuggire! Qui c’è un’enorme contraddizione di fondo irrisolta, se vogliamo la vita di città, l’industrializzazione, i centri commerciali, le autostrade e l’agricoltura intensiva non resta veramente che trasferirsi in quei luoghi tanto ammirati chiamate metropoli o nelle pianure afose; altrimenti, se amiamo ciò che abbiamo e lo vogliamo valorizzare, dobbiamo trovare un difficile equilibrio, mettendo da parte i micro-interessi personali e pensando veramente a cosa abbiamo da proporre di diverso. A me sembra però che l’idea comune, di vita in montagna, sia sempre quella basata su un passato che non esiste più. Forse avrebbero ragione tanti miei coetanei, che vedendomi coltivare l’orto o terreni incolti da anni mi ricordano ogni volta che con pochi euro dal verduraio mi risparmierei fatica e tempo perso, se però non fossero i primi a lamentarsi dell’abbandono della terra…
Forse avrebbero ragione anche quelli che mi considerano anormale perchè passo ore a cercare di fotografare animali che alla fine non posso nemmeno arrostire sulla griglia, salvo poi vivere di turismo attirato anche da immagini di animali che vivono sulle nostre montagne…
Ci sono tante, troppe persone che considerano un nemico scomodo chi propone di pulire qualche torrente, usato come discarica personale, chi non uccide una vipera o chi riesce ad amare la natura senza un fucile in mano. Se ami la terra e la natura in cui vivi diventi quasi un alieno, estraneo, scomodo, idealista da guardare con sospetto ed è anche per questo che tanti non intervengono e non si firmano. Questo dovrebbe far capire quanta strada lunga e difficile bisogna fare, quanta educazione e informazione serva, quanto impegno occorre a persone che si occupano di ambiente, le persone dietro le quinte; non è detto che siano quelle sempre sotto i riflettori, possono essere anche giovani che passano il tempo a studiare sui libri, a impegnarsi spesso per pochi euro.
Gli studiosi e i ricercatori che dedicano la vita a una pianta o una specie animale non sono persone che sprecano la vita sui libri, anche se non diventano famose, dobbiamo sempre essere grati per quello che fanno.
Detto questo è inutile negare la grande distanza tra la vita che vive tutti i giorni un residente e un ente come un Parco nazionale, molte volte si stenta a capire l’utilità reale e la concretezza di alcuni progetti. Manca sicuramente una cultura italiana per l’ambiente ma ci sono anche troppi discorsi altisonanti, troppi termini inglesi incomprensibili e lontani dalla gente comune, la carta vincente è semplicità e concretezza. Se vedo un bosco sporco, una discarica abusiva, un torrente inquinato e lo comunico a tutti, nessuno fa nulla e dopo anni è sempre tutto lì forse qualche domanda sull’utilità di tanti enti uno comincia a farsela; i fatti contano più di mille parole e lo scaricabarile delle competenze ha stufato tutti. A vivere qui ti vengono tanti dubbi, dopo qualche anno pensi che forse è veramente da pazzi aprire un’attività nuova sul crinale, quando tutti corrono a fare acquisti in città (per lamentarsi poi che in montagna non c’è niente).
E’ inutile arrabbiarsi sempre con chi insiste che comprare una casa in montagna non vale niente perchè non ha la vista mare, ma la vista su inutili boschi e montagne infestate di feroci lupi e zeccosi caprioli portatori di sciagure e danni vari. Dopo un po’ ti stufi, ti deprimi, ti lasci andare, al lascia fare, l’entusiasmo si impaluda… Forse hanno ragione, non serve a niente imparare, cercare di capire, studiare la vita che abbiamo intorno, zappare della terra dura e argillosa, tenere puliti sentieri abbandonati, se poi a fine mese non hai guadagnato nulla e ti senti un fallimento. Tutto diventa ostile, anche la natura, che non c’entra nulla, una cosa infruttifera, astratta, materia di studiosi e ricercatori, chiusi in un ambito estraneo, calato dall’alto.
Tutela dell’ambiente = divieti = nemico, non più una risorsa di tutti da tutelare.
Nessuno sottolinea più la realtà semplice e banale, quassù sui monti la terra non viene coltivata perchè non rende più nulla, perchè abbiamo la globalizzazione, che rende solo la quantità e non più la qualità, perchè il rapporto fatica-costo, guadagno è fallimentare, ci sono lavori con soldi più facili e meno fatica. Meno male che ogni tanto qualcuno si ricorda che i pastori avevano già abbandonato la pastorizia ben prima del ritorno del lupo e che quasi nessuno tra i giovani è disposto a fare quella vita di sacrificio per pochi soldi. La fetta di formaggio e il bicchiere di vino come pranzo non bastano più a nessuno. La montagna, come detto, si è spopolata in tutta l’Italia e non c’entrano nulla gli alberi, gli ungulati, i lupi, la neve, la pioggia o il sole. Non siamo tutti così ingenui da non sapere chi ha interesse a fomentare odio e crociate contro certe specie animali, è dura far credere a tutti che per i danni della fauna si abbandona la montagna!
I discorsi però sono sempre gli stessi, polemiche senza nessuna cognizione scientifica, lamentele e richieste di finanziamenti, richieste di territorio non controllato, muro contro muro, dispetti personali, invidie, egoismi…
Io personalmente preferisco aiutare a tutelare i lupi che abbiamo sempre sterminato e che attirano turismo ambientale (di cui usufruiamo in tanti) che finanziare il solito furbetto privato che intasca soldi pubblici e poi dichiara fallimento abbandonando il territorio con imprese mai partite! Nel frattempo che perdiamo tempo a identificare il nemico nella natura i problemi sono sempre lì, la statale colabrodo, il clientelismo che succhia risorse a tutto il territorio, un dissesto idrogeologico affrontato sempre in emergenza, una cura e rispetto per l’ambiente su cui fondiamo il turismo scandalosa (e non parlo di Parco ma di singole persone).
A tutti questi problemi aggiungiamo un vittimismo autolesionista diffuso che incentiva sempre il falso mito della vita ricca, comoda e divertente della città e un mondo del lavoro inesistente che non riesce ancora a pensare con intelligenza al nostro capitale ambientale. Il muro contro cui cozzare ogni giorno è fatto di tanti piccoli mattoni. Sì, è vero, dopo anni di vita qui sul crinale la delusione, il senso di menefreghismo, abbandono e sconforto rende facile identificare dei nemici che non possono rispondere, si impossessa di noi come un virus e la tentazione di andarsene è forte, ma non identifichiamo sempre e solo la natura come nemico assoluto, perchè la natura siamo anche noi scimmie evolute!
(Giulio Giuffra)