"È in corso contro la Libia una vera e propria guerra condotta da diverse potenze occidentali – l’Italia fra queste - che, con il pretesto di difendere i diritti umani della popolazione civile, ha come obiettivo principale il controllo delle risorse energetiche, in primis il petrolio, e il tentativo di riportare sotto il proprio controllo il mondo arabo attraversato nelle settimane scorse da rivolte popolari a sfondo sociale". Così inizia la risoluzione resa nota dal consigliere Luigi Bizzarri, che sarà discussa prossimamente in Consiglio comunale a Castelnovo ne' Monti.
"L’intervento militare guidato dalla Nato, dagli Usa, da potenze ex coloniali e da stati arabi che in casa loro sparano sulle manifestazioni popolari - scrive il consigliere - non può avere finalità umanitarie, come dimostra il numero dei morti civili in rapida ascesa, ma rappresenta un tentativo di ricolonizzazione e occupazione che contrasta con la carta delle Nazioni Unite e con l’articolo 11 della nostra Costituzione. L'intervento armato in Libia rappresenta l'ennesima tragedia imposta a quel popolo ed allontana la prospettiva di una Libia unita, indipendente e democratica, sola alternativa ai progetti di spartizione e balcanizzazione che la renderebbero facile preda della voracità delle multinazionali e delle potenze straniere".
Il documento prosegue poi: "Considerato che occorre ribadire sempre la netta condanna del regime dispotico di Gheddafi e le gravi complicità che hanno caratterizzato la relazione tra il governo italiano e quel regime a cui era stato affidata la repressione e il contenimento manu militari dei profughi e degli immigrati e che si poteva immediatamente intervenire durante i primi giorni delle rivolte contro Gheddafi, per far cessare il massacro contro i civili, per aprire un corridoio umanitario nei confronti dei ribelli, per garantire protezione e asilo politico ai disertori e ai profughi si condanna senza se e senza ma i bombardamenti in atto sulla Libia condotti da alcune potenze occidentali con la complicità dell'Italia e chiede che sia interdetto l’uso delle basi collocate sul nostro territorio dalle quali parte l’aggressione militare. Si chiede che il sindaco si faccia portavoce nei confronti del governo nazionale per sostenere la richiesta del ritiro immediato dell'Italia dalla coalizione 'dei volonterosi', la contrarietà all'utilizzo del territorio italiano come supporto agli eserciti in guerra e il rispetto dell'articolo 11 della Costituzione italiana (“L'Italia ripudia la guerra”). Il sindaco assuma un'iniziativa nei confronti del coordinamento nazionale enti locali per la Pace affinché sia assunta da comuni, province e regioni, unitamente con la società civile e il mondo dell’associazionismo, un'immediata mobilitazione per la pace e contro la guerra, per l’immediato cessate il fuoco e il sostegno ai profughi e alle vittime del conflitto".
Bizzarri, mi può dire secondo lei qual è la soluzione a questo problema? Voi menti di sinistra fino ieri condannavate Gheddafi ed eravate per la liberazione del popolo, ora non lo siete più? Peace and love? Ma certo, conoscendo il buon colonnello sarà semplice mettersi intorno a un tavolo per trovare una soluzione. L’intervento è legittimo, ma non lo è se i francesi fanno quello che vogliono… Su questo sono critico anche io, ma sull’intervento militare sono assolutamente favorevole!
(Luca Malvolti)
A Luca
C’è chi, come te, scambia l’imperialismo per buon senso. Per il resto, riposto il mio commento di qualche giorno fa sulla notizia “siamo di nuovo in guerra” (ah, dire “voi menti di sinistra, peace and love” credimi che è una cosa che fa assolutamente ridere perchè denota particolare mancanza d’attenzione nei dettagli. E si sa dove sta il diavolo).
Dopo le guerre puniche… quelle di Punizione. Un altro bellissimo modo di spendere soldi, i nostri soldi. Fantastico comunque, dopo aver firmato un accordo dove l’Italia in venti anni deve versare cinque miliardi di euro alla Libia, aver sottoscritto di tutto con Gheddafi ed averlo difeso in ogni momento, Berlusconi ed il suo governo riesce sempre a stupirci. Dietro front da panico con tanto di assist al Cavaliere bianco (nero in questo caso) Sarkò che pur di forare buchi in mezzo mondo, invece di aiutare i cosiddetti “ribelli”, va a bombardarli facendo di tutto l’erba un fascio.
La Libia è uno dei maggiori rifornitori di petrolio in Italia, magari i nostri debiti avevano raggiunto le stesse cifre di quello pubblico e quindi come bonus abbiamo sbloccato cacciabombardieri e frasi tipo “in nome della democrazia”.
“Naturalmente la gente comune non vuole la guerra: nè in Russia nè in Inghilterra nè in Germania. Questo è comprensibile. Ma, dopotutto, sono i governanti del paese che determinano la politica ed è sempre facile trascinare con sè il popolo, sia che si tratti di una democrazia o di una dittatura fascista o di un parlamento o di una dittatura comunista. Che abbia voce o no, il popolo può essere sempre portato al volere dei capi…”.
Chi l’ha detto? Un anarchico proudhoniano? No, Herman Goering durante il processo di Norimberga, finendo il discorso con: “… È facile. Tutto quello che dovete fare è dir loro che sono attaccati e denunciare i pacifisti per mancanza di patriottismo e in quanto espongono il paese al pericolo. Funziona allo stesso modo in tutti i paesi”.
Deja vu?
(Asmir Lalic)
Per Luca
Ma le guerre non costruiscono niente
di Carlo Petrini, la Repubblica, 24 marzo 2011.
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«Chi combatte viene sempre sconfitto, da entrambe le parti. È solo una questione di tempo. La vittoria non dura nemmeno il tempo di gridare il suo nome che il piatto della bilancia comincia già a risalire dalla parte del perdente». In questi giorni ho ripreso in mano la “Lettera ai contadini sulla povertà e la pace” di Jean Giono, scritta nel ’38 ma dannatamente attuale.
Una lettura che consiglio.
Francamente credo che ci si possa pronunciare contro questa guerra senza dover essere per forza tacciati come fiancheggiatori di qualche forza maligna. Perché la vera forza maligna è la guerra. Io sono convinto che sia ingiusta e faccio fatica a stare zitto, mi sentirei in imbarazzo. Certo, come ha scritto Michele Serra, di fronte a una situazione complessa e drammatica come quella libica viene da sentirsi «indecisi a tutto», ma poi se penso ai bombardamenti, a tutti gli uomini, donne e bambini che possono finire sotto il piombo, a maggior ragione per sbaglio, non ce la faccio a non decidere. Non riesco a pensare che i bombardamenti siano l’unico sistema per risolvere questioni così delicate. Non riesco a non pensare che siamo in un’area africana, un’area che trabocca di petrolio e d’interessi lontani dalla vita delle semplici persone libiche.
È pur vero che ci saranno pochi contadini in Libia, come quelli cui si rivolgeva Giono, ma non mancano di certo i poveri e gli umili, coloro che ora stanno bussando alle porte dell’Europa, dell’Italia, di Lampedusa. Gli umili, che sono sempre i primi ad andarci di mezzo in situazioni di guerra: «il fronte e il ventre» dei conflitti. Nella post-modernità facciamo la guerra ma vogliamo tenerla lontana e vogliamo tenerne lontane le conseguenze. Mentre viviamo una crisi epocale non riusciamo a prendere coscienza che i rapporti con il Sud del mondo si risolvono con la condivisione, a vantaggio di tutti. Condivisione non significa mandare aiuti umanitari per fermare l’invasione di migranti, il nostro principale spauracchio. Aiuti che tra l’altro ogni anno sono promessi dai governi del mondo con tanto di cifre e poi puntualmente non sono erogati. «La crisi», dicono. Ma se non ci sono soldi perché poi si trovano per le armi?
In due giorni si trovano risorse per lanciare bombe, mobilitare eserciti, intanto nessuno vuole farsi carico di quei 15.000 umili, quei poveri cristi che sono “parcheggiati” a Lampedusa in condizioni disumane. Condivisione significa la volontà di costruire insieme qualcosa di duraturo, qualcosa che non sottragga niente a nessuno, ma dia l’umana possibilità di vivere degnamente a tutti e alle future generazioni, sulla propria terra. Condivisione significa proteggere la nostra “cittadinanza terrestre”, come la chiama Edgar Morin. Quindi lo devo dire: sono contrario alle guerre, a questa guerra come m’indignavo per il comportamento di Gheddafi.
Il no al tiranno e alla sua strategia criminale deve però essere caparbiamente affermato da una comunità internazionale che usi tutte le armi della diplomazia e del convincimento prima delle bombe. Lo dico non perché arriveranno i clandestini e gli sfollati, non perché ho baciato la mano a qualcuno e mi «dispiace per lui», nemmeno perché nutro interessi particolari o devo riverire un altro più potente di me, tra l’altro rendendomi ridicolo di fronte al mondo. Non è un caso che le persone che hanno a cuore l’ambiente e i beni comuni, i movimenti ecologici, quelli per l’acqua, per la difesa dell’agricoltura, contro il nucleare, quelli che combattono la fame e la malnutrizione e che lottano contro tutte le ingiustizie, sociali ed economiche, appartengano tutte alla schiera dei pacifisti convinti.
A noi che ci sentiamo pienamente “cittadini della terra” non interessa il provvisorio, ci interessa ciò che dura nel tempo, anche se capiamo l’incertezza e lo smarrimento nel cercare di comprendere questi tempi difficili e gli sconcertanti avvenimenti di queste ultime settimane. Vi prego, leggete o rileggete Jean Giono: «La violenza e la forza non costruiscono mai. La violenza e la forza non ripagano mai l’uomo. Possono soltanto accontentare quelli che si soddisfano con il provvisorio. Malgrado tutte le nostre civiltà occidentali, non abbiamo ancora smesso di saziarci del provvisorio. Forse sarebbe ora di pensare all’eterno. Non intimoritevi di fronte a questa parola: essa indica semplicemente uno dei vostri sensi, il più naturale, la vostra facoltà più specifica». Era il ’38, eravamo a un passo dalla Seconda guerra mondiale.
(Luigi Bizzarri)
Per Luca (2)
L’attrazione fatale della guerra giusta
di Tzetan Todorov, da Repubblica, 23 marzo 2011.
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L’intervento militare in Libia ha suscitato in Francia un coro di consensi, provenienti sia dai partiti rappresentati in Parlamento, come già per la guerra in Afghanistan, sia dai commentatori. Sentiamo dire che la Francia ha messo a segno un colpo da maestro. Il capo nemico è designato solo in termini superlativi: è diventato il demente, il pazzo, l’aguzzino, il tiranno sanguinario, o addirittura descritto, con riferimento alle sue origini, come «astuto beduino». Si fa scialo di eufemismi: anziché di uccidere a freddo si parla di «assumersi le proprie responsabilità»; non si raccomanda di limitare il numero dei cadaveri, bensì di procedere «senza eccesso di forze dirompenti». Per giustificare l’entrata in guerra si adducono paragoni azzardati: non intervenire equivarrebbe a ripetere gli errori commessi nel 1937 con la Spagna, nel 1938 a Monaco, nel 1994 in Ruanda…
Chi traccheggia è stigmatizzato. La Germania non è stata all’altezza, l’Europa ha dato prova di una sorprendente ritrosia, se non addirittura della sua abituale pusillanimità. I Paesi emergenti sono colpevoli di non voler correre rischi – come se a rischiare grosso fossero i guerrafondai della capitale francese!
È vero che a differenza della guerra in Iraq, l’intervento in Libia è stato approvato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ma legalità è sinonimo di legittimità? Alla base della decisione si trova un concetto introdotto di recente: la responsabilità di proteggere la popolazione civile di un Paese dalle minacce provenienti dai suoi stessi dirigenti. Ora, dal momento in cui questa “protezione” non ha più il significato di assistenza umanitaria, ma quello dell’intervento militare di un altro Stato, non si vede cos’abbia di diverso dal “diritto d’ingerenza” che i Paesi occidentali si erano arrogati qualche anno fa.
Se ogni Stato potesse decidere di avere il diritto di intervenire sui suoi vicini per difendere una minoranza maltrattata, numerose guerre scoppierebbero all’istante. Basti pensare ai ceceni in Russia, ai tibetani in Cina, agli sciiti nei Paesi sunniti (e viceversa), ai palestinesi nei territori occupati da Israele… Certo, dovrebbero essere autorizzate dal Consiglio di Sicurezza. Il quale ultimo ha però una particolarità, che è al tempo stesso il suo peccato originale: i suoi membri permanenti dispongono di un diritto di veto su tutte le decisioni, e ciò li pone al disopra della legge che lo stesso Consiglio di Sicurezza dovrebbe incarnare: non potranno mai essere condannati, come non lo saranno i Paesi che scelgono di sostenere! E quel che è peggio, per sottrarsi al veto intervengono senza l’autorizzazione delle Nazioni Unite, come nel caso del Kosovo e in quello dell’Iraq. L’invasione armata di quest’ultimo Paese, fondata su un pretesto fittizio (la presenza di armi di distruzione di massa) è costata centinaia di migliaia di morti; eppure i Paesi invasori non hanno subito la benché minima sanzione ufficiale. L’ordine internazionale incarnato dal Consiglio di Sicurezza consacra il regno della forza, non del diritto.
Ma almeno stavolta, si dirà, si interviene in difesa dei principi, non degli interessi. Ne siamo proprio sicuri? La Francia ha continuato per molto tempo a sostenere le dittature al potere nei Paesi vicini, quali la Tunisia e l’Egitto. Scegliendo oggi di dare il suo appoggio agli insorti libici, Parigi spera di ripristinare il proprio prestigio. E al tempo stesso dà una dimostrazione dell’efficienza delle sue armi, ponendosi così in una posizione di forza nei futuri negoziati. Sul piano interno, condurre una guerra vittoriosa – e per di più in nome del Bene – serve sempre a risollevare la popolarità dei dirigenti. Considerazioni analoghe si possono fare nel caso degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. Si insiste molto sulle dichiarazioni di sostegno (prima che avesse incominciato a cambiare parere) della Lega araba, le cui opinioni peraltro sono raramente tanto apprezzate in Occidente! A ben guardare, nel caso presente gli Stati che ne fanno parte hanno vari interessi in gioco. L’Arabia Saudita e i suoi alleati sono pronti a sostenere gli occidentali nel confronto con il rivale libico, dato che ciò consente loro di reprimere impunemente i movimenti di protesta all’interno dei propri confini. I sauditi, non proprio esemplari in fatto di istituzioni democratiche, hanno incoraggiato la repressione nello Yemen e sono già intervenuti militarmente nel Bahrein, scegliendo, in questi due Stati vicini, di “proteggere” i dirigenti contro la popolazione.
Il colonnello Gheddafi massacra la sua gente: non sarebbe giusto rallegrarsi di poterglielo impedire, quali che siano le giustificazioni addotte o i motivi reconditi di questa scelta? L’inconveniente sta però nel fatto che la guerra è un mezzo tanto potente da far dimenticare il proprio obiettivo. Solo nei videogiochi si possono distruggere gli armamenti senza toccare gli esseri umani; nelle guerre reali, neppure gli “interventi chirurgici” più precisi riescono ad evitare i “danni collaterali”, cioè i morti, le sofferenze, le distruzioni. A questo punto ci si addentra in una serie di calcoli dall’esito incerto: senza l’intervento, le perdite umane e materiali sarebbero più o meno gravi? Davvero non esistevano altri modi per impedire il massacro della popolazione civile? Una volta incominciata, la guerra non rischia di procedere secondo la sua propria logica, anziché obbedire alla lettera della risoluzione iniziale? È il caso di incoraggiare la guerra civile nel Paese, o la sua spartizione? Non si rischia di compromettere lo slancio democratico della popolazione rendendola dipendente dagli ex Stati colonizzatori?
Non esistono guerre pulite né guerre giuste, ma solo guerre inevitabili, come lo è stata la seconda guerra mondiale combattuta dalle forze alleate. Non è però il caso dell’attuale conflitto armato. Prima di intonare inni alla gloria di quest’impresa, veramente migliore di tutte le altre, forse sarebbe bene meditare sulle lezioni che Goya trasse duecento anni fa da un’altra guerra combattuta in nome del Bene: quella dei reggimenti napoleonici che portavano i diritti umani agli spagnoli. I massacri commessi in nome della democrazia non addolciscono la vita più di quelli perpetrati per fedeltà a Dio o ad Allah, alla Guida o al Partito. L’esito è sempre lo stesso: i disastri della guerra.
(Luigi Bizzarri)
Sempre in ritardo…
Non si rovesciano i tiranni con i bombardamenti e i missili, non si costruisce la democrazia con la guerra, ma la Libia è un boccone troppo appetitoso e la fretta degli “umanitari” guidati dal triste Sarkozy a correre in suo soccorso è un po’ sospetta… E lo Yemen? Il Bahrein? E la Birmania? E perché no la Palestina? Pare ci sia necessità di “esportare democrazia” solo in quei paesi dove abbondano di risorse energetiche… Gheddafi è un criminale ma non è certo quello che preoccupa gli “esportatori di democrazia”… E poi mi chiedo Iraq e Afghanistan non hanno insegnato nulla? Quand’è che si comincerà a prevenire prima di “curare”? Anche dalle divisioni fra le forze politiche italiane e fra i paesi della Nato si capisce chiaramente che le ragioni umanitarie della guerra sono una bufala, la solita bufala che hanno usato per bombardare la Serbia, l’Iraq e l’Aghanistan. La vera ragione è il petrolio. Se la Libia coltivasse rape e non petrolio non sapremmo neppure di che continente fa parte!
(P. Prandi)
La risposta a Malvolti è semplice
Basterebbe isolare la Libia, non trattare con questi dittatori, non stringere o “baciare la mano” solo per convenienza, d’altronde Gheddafi lo si conosce da un po’. Bisogna aiutare il popolo libico, su questo siamo tutti d’accordo, ma era meglio farlo prima; invece stendiamo il tappeto rosso e accogliamo questi dittatori come eroi e poi li si bombarda.
Credimi, Malvolti, a volte le soluzioni sono più semplici di quanto sembrano, ma per risolvere usiamo sempre i mezzi peggiori. Almeno noi menti di sinistra siamo un po’ più coerenti di altri, difendiamo le rivoluzioni, perchè sono atto di democrazia, ma condanniamo questi atti di forza, falsi e ipocriti… «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo» (Art. 11, Costituzione della Repubblica italiana).
(Fabio Pinelli)
E vai con la demagogia
Belle parole, Asmir, belle parole che condivido se vuoi, soprattutto sul discorso del Processo di Norimberga e sulla politica estera di questo governo. Ma veniamo al sodo, come facciamo a risolvere il problema Gheddafi? Tu che vieni da una terra, o per lo meno dalla penisola balcanica, in cui un dittatore massacrò il suo popolo (Milosevic) cosa dici degli occidentali che erano intervenuti? Altro paragone: perché nessuno protesta della missione italo-francese in Libano? Ci siamo già dimenticati di avere 2000 soldati là?
Qualcuno mi dia la soluzione al problema di Gheddafi, come risolvere questa guerra senza l’intervento militare e senza che egli uccida i civili.
Asmir, con te concordo sul fatto che fino a ieri l’occidente era amico di Gheddafi e ora gli fa la guerra, questa è la vera vergogna dei nostri stati europei.
(Luca Malvolti)
Prima il governo italiano era accusato di neutralismo e inazione ora di interventismo e bellicismo:di solito quando le critiche sono di segno opposto vuol dire che si sta seguendo la linea più corretta…
(Francesco Tondelli)
Effetti collaterali
La guerra mi mette orrore, spesso gli interessi vengono prima dei diritti, lo vediamo. Eppure riconosco che la pace si deve volere in due, che se gli angloamericani non fossero intervenuti a sostegno dei “ribelli”, non avessero bombardato, forse da soli quei “ribelli” non sarebbero riusciti a togliere un dittatore pazzo e sanguinario… Certo ci furono molti morti e non tutti combattenti… certo gli angloamericani agirono nel loro interesse ma è grazie a quei “ribelli” che noi chiamiamo partigiani e al sostegno degli angloamericani che ora siamo una democrazia e che Mussolini e il fascismo sono parte di un brutto passato. Per coerenza non posso essere “partigiana” solo per la nostra democrazia e ricordo che la resistenza a mio parere giustamente decise di essere resistenza armata… Ghandi è ancora troppo lontano dagli uomini, ahimè… Io credo nell’essere “partigiani” e quindi parteggio per chi in questo momento chiede la liberazione da un regime dittatoriale, ammiro la “resistenza” che fu dei nostri nonni e sostengo ora quella dei giovani libici, dei siriani e in genere dei ragazzi del nordafrica, dello Yemen e del Bahrein… Perchè ci credo, credo che tutti abbiano la legittima aspirazione di cambiare per una vita migliore. Ora non sono ingenua: il petrolio ora, allora era la posizione geografica strategica dell’Italia nella contrapposizione contro l’avanzata “rossa” ha fatto sì che altri paesi sostenessero i movimenti di ribellione, ma da noi il risultato è evidente… Diversa era ed è la situazione in Iraq e in Afghanistan, non si può “esportare” democrazia… Non vivo l’intervento armato con leggerezza, detesto la guerra, ritengo giusto e opportuno cercare strumenti diversi per redimere le controversie internazionali, mi piacerebbe e auspicherei che l’uso delle armi fosse bandito, ritengo l’articolo 11 della Costituzione un fondamento morale e sociale ma il mondo non è quello delle fiabe, non è perfetto… Ripeto, Ghandi è ancora troppo lontano… Ahimè, troppo, troppo lontano…
(Monja Beneventi)