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Messaggio della Caritas diocesana sulla vita attuale

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Riceviamo e pubblichiamo.

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Che delusione! Che amarezza! Ancora una volta il “democratico” e “avanzato” Occidente non è stato capace di risolvere le controversie internazionali in un modo diverso da un attacco militare. E non fermiamoci a disquisire sulle parole: intervento militare, missione di pace, intervento umanitario… Questa è GUERRA! E da poche ore anche la nostra Italia ha preso parte alle operazioni belliche. Questa volta la decisione è stata presa in modo veloce e determinato. La Libia, con la quale abbiamo sottoscritto un accordo importante due anni fa, paese “amico” e partner economico, ora merita di essere bombardata. Certo, la “giustificazione” è buona: togliere di mezzo quel “pazzo” di Gheddafi, lo sfruttatore del paese, il dittatore senza scrupoli… Anch’egli, però, amico fino a pochi mesi fa. Finché ha fatto comodo lo abbiamo tenuto caro, nonostante fosse un dittatore e sfruttatore del suo popolo anche 10-15-20 anni fa.

Mi sono chiesto il perché di tanta determinazione e fretta nel prendere la decisione di entrare in guerra. Forse, una risposta sta nel fatto che a mali estremi bisogna rispondere con estremi rimedi: dobbiamo difendere il più debole e indifeso, il più piccolo e prezioso, il più ricercato e necessario ... IL PETROLIO!
In questa decisione anche la politica si è trovata concorde e compatta (solo la Lega ha qualche perplessità e a livello internazionale la Germania si è differenziata). Anche l’attuale opposizione non si è “opposta”. Deve proprio esserci qualcosa di prezioso da difendere!

Io non ci sto! E mi viene da dire: “Not in my name!”, non sono d’accordo!
La Chiesa, il cristiano, a partire dalla Parola di Dio, dagli insegnamenti evangelici e dalla Dottrina Sociale, deve fare suo, ancora una volta, il grido che fu di Giovanni Paolo II: “Mai più la guerra, avventura senza ritorno!”. “Non è mai troppo tardi per comprendersi e per continuare a trattare”, diceva il Papa polacco in un Angelus alla vigilia dell’attacco a Saddam Hussein.

Concludo questa riflessione, facendo mie le attualissime parole di un prete della nostra diocesi che ha sempre “lottato” per la pace e la concordia tra i popoli, don Luigi Guglielmi che, in occasione di una Marcia per la Pace a Reggio Emilia, scriveva:

“All’inizio di ogni anno nuovo siamo sempre pronti a riaccendere la speranza per un mondo migliore, ma la storia continua ad essere crudele, perché gravida di eventi oscuri. Ciò che ci lasciamo alle spalle nell’anno appena passato, la Bosnia, il Rwanda, la Cecenia e l’Algeria, un’Italia immersa nella corsa affannosa al potere, non sono semi buoni per ciò che verrà. E noi, ostinati anche contro ogni evidenza, continuiamo a credere nell’utopia dei tempi nuovi.

Mi domando a cosa serve marciare per le strade, protestare contro sistemi economici iniqui che favoriscono i ricchi e dimenticano i deboli, che incrementano la corsa agli armamenti; a che serve impegnare la propria coscienza in un servizio fatto di gesti d’amore e di dialogo, quando tutto attorno parla di arroganza e di violenza?
A che serve pregare il Dio della pace che continua a lasciar morire gli inermi e far prosperare i perfidi in una società fatta di gente volgare e arruffona, di spregiudicati politicanti che camuffano di sorrisi le loro inadempienze, riescono a devastare i valori del dialogo, del confronto e del rispetto degli altri, quasi che fossero cose dei tempi andati o da prima repubblica.

Ma è lecito e doveroso anche domandarsi: che ne sarebbe del mondo se non ci fossero i sognatori, a che punto del suo declino sarebbe l’umanità se non ci fosse lo sparuto gruppo che pervicacemente accompagna l’umanità nella sua difficile, a volte ingenua, ricerca della pace? Che ne sarebbe della speranza se migliaia di giovani, uomini e donne senza telecamere accese e titoli sulle prime pagine, non impegnassero energie e tempo libero in un volontariato gratuito per i campi profughi della Croazia, per gli handicappati ospiti delle mille strutture sparse ovunque o in un rinnovato impegno per il Rwanda?

E che ne sarebbe della nostra riflessione sulla pace se non ci fossero stati degli uomini come Gandhi, Luter King, La Pira, Don Milani, Giovanni XXIII e Paolo VI? E quanti altri del nostro tempo, Mons. Tonino Bello, Teresa di Calcutta, l’attuale pontefice, e quelli che nel più totale nascondimento innalzano al Dio della pace le loro preghiere, e stanno impegnando la loro stessa vita?

Non nego che la storia sembra più vicina ad inghiottire definitivamente la pace, ma continuo a domandarmi: e se non ci fosse l’utopia dove sarebbero già arrivati i fabbricanti di armi che, come dice il profeta, mentre parlano di pace, stanno preparando la guerra?

Non è forse che i pacificatori sono diventati la coscienza di un mondo che, diventato sempre più bello, olezza sempre più di morte? Se non ci fossero e noi non fossimo impegnati con loro nelle opere della pace, l’umanità probabilmente sarebbe già stata annientata.

Temo che per la pace nella storia non ci sarà mai posto. Almeno così come la pensiamo noi. Perché la guerra è visceralmente legata alla struttura peccaminosa dell’umanità che prende gli uomini e li mette gli uni contro gli altri perché si combattano e si annientino favorendo gli interessi di qualcuno che tira le fila degli scontri. La pace vera appartiene solo ai tempi futuri, ma quella pace occorre costruirla oggi: guai se cessassimo di operare oggi per averla anche solo domani.
Trovo allora che perdere tempo a testimoniare la pace non è da ingenui: il ruolo che stiamo giocando è fondamentale, anche se i risultati sono deboli. Se l’umanità è ancora salva nella sua sostanza lo dobbiamo anche a quella esigua minoranza di idealisti che, a questo punto, non sono più dei sognatori, ma uomini reali, realissimi, a pieno titolo incarnati nella loro storia e che la storia dei loro discendenti la stanno costruendo un pezzo per volta con l’impegno di oggi.”

Io mi sento ancora parte di quella “esigua minoranza di idealisti” che tenta di continuare nell’impegno per costruire oggi quella pace che vedremo realizzata solo nei “tempi futuri”.

Facciamo qualcosa anche per farci sentire: preghiamo per la pace, testimoniamo l’amore per il prossimo, scriviamo ai nostri politici e sui giornali le nostre idee, chiediamo conto delle scelte che il nostro Paese mette in atto, esponiamo le bandiere della pace, … Facciamo sentire che c’è ancora uno “sparuto gruppo che pervicacemente accompagna l’umanità nella sua difficile, a volte ingenua, ricerca della pace”.

(Gianmarco Marzocchini)

1 COMMENT

  1. Grazie
    Grazie per questa testimonianza di cittadino e di cristiano. Noi che pensiamo che la guerra è ingiusta lo dobbiamo gridare a gran voce nelle piazze, nei partiti in cui militiamo ed anche nelle cabine elettorali. Il nostro silenzio è complice!!! NO alla guerra. NO ad ogni forma di violenza. NO ad ogni dittatura palese o mascherata dall’ignoranza. NO all’economia diventata unico metro di rapporto tra i popoli e fonte di guerre (vedi quelle per la conquista dei pozzi di petrolio). SI al rispetto dei popoli. SI alla risoluzione delle controversie internazionali con la diplomazia ed altre forme non violente di relazioni. SI ad un’economia al servizio della comunità e non solo del capitale e della finanza. SI ad una società mondiale più equa. SI ad una convivenza dignitosa per tutti, anche per i nostri fratelli stranieri.

    (Clara Domenichini)