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L'analisi dell'economista

Lupatelli: «L’Appennino: luogo per giovani ma occorre garantire condizioni di modernità»

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Crisi della natalità, ci sono sempre meno bambini e aumenta la popolazione anziana: il problema è diventato prevalente nel nostro paese, in particolare nelle aree montane.

Sono argomenti di cui ci occupiamo spesso e abbiamo cercato di approfondirlo con l’economista Giampiero Lupatelli.

Il dottor Lupatelli racconta nella nostra video intervista afferma «che negli ultimi due o tre anni quello che è stato tradizionalmente il problema centrale della montagna, cioè un problema di declino demografico, di perdita in generale della popolazione soprattutto per problemi di spopolamento e abbandono, sembra essersi interrotto. Potremmo dire addirittura rovesciato nei suoi termini».

Dottor Lupatelli cosa intende quando afferma che oggi il "tema dello spopolamento sembra essersi interrotto, anzi rovesciato"?

Oggi più che andare via dall' Appennino, ci sono più persone che vengono a starci, venendo da realtà metropolitane, urbane e addirittura da altri paesi europei.

Siamo in una fase demografica positiva.

Tuttavia, ci misuriamo con questo problema di denatalità per la quale è stato coniato il termine di inverno demografico.

Qualche mio amico suggerisce di sostituire con ‘inverno’ la parola ‘glaciazione’ perché dopo un inverno, torna nella stagione successiva la primavera, invece qui le cose stanno peggiorando, anno dopo anno.

Quindi a che punto siamo? Diamo qualche numero…

Siamo arrivati in questo momento in Italia a un tasso di fecondità complessivo di 1,2 che vuol dire all'incirca chi ci si attende, sulla base dei dati registrati dall’anagrafe, che nell’arco della sua vita fertile una donna possa generare 1,2 figli: la soglia che si considera di equilibrio è quella di 2,1 figli per donna.

Quindi un tasso di fecondità molto basso, inferiore a quello medio europeo che pure è bassissimo (1,54) e a quello statunitense (1,76) poco più alto ma non in grado conservare l’equilibrio della popolazione.

E c’è di peggio nel mondo. C’ è la Corea del Sud che ha in questo momento un tasso di fecondità di 0,74 che vuol dire che per ogni generazione si dimezza la popolazione. Questo è un problema molto grave.

Parliamo di un fenomeno generalizzato

Sì e sul quale ci si sta interrogando molto, sia sulle ragioni e soprattutto su come affrontarlo. Sicuramente incidono ragioni di carattere economico, sociale, dotazioni di servizi, opportunità.

E debbo dire che a questo si sta cercando di fare delle cose importanti, tuttavia c’è il sospetto che ci sia qualcosa di più profondo.

Faccio l’esempio della Corea che ha questo record di denatalità: negli ultimi 15 anni il governo coreano ha investito tante risorse, ha speso in politiche a favore della natalità quasi 200 miliardi di dollari, senza ottenere nessun risultato.

Tornando alla nostra montagna…

Bisogna sostenere in particolare, secondo me, l’offerta di servizi a favore della natalità. Sì, c'è l'interesse nei confronti della qualità ambientale ma non basta: possono restare se si è in grado anche di offrire servizi.

Nel territorio montano, emiliano e quindi reggiano, la cosa è meno drammatica che altrove.

In che senso?

Conosco di giovani che sono venuti da metropoli italiane e europeo a stare nel nostro Appennino, facendo anche delle scelte molto coraggiose da questo punto di vista.

Covid e Brexit sono state entrambe una motivazione importante di questo processo che ha re-interessato l’Appennino.

Dobbiamo chiederci: ma l’Appennino potrebbe diventare invece un luogo a rovescio interessante per costruire delle motivazioni culturali a favore della natalità?

E lei cosa risponde a questa domanda?

E’ difficile rispondere da questo punto di vista. Io, e non credo di essere l’unico a considerare la dimensione culturale una dimensione importante della crisi della natalità, soprattutto in termini di insicurezza e preoccupazione.

Non parliamo di una insicurezza economica ma molto di più. Ai nostri tempi è un’insicurezza esistenziale sulle prospettive generali nelle quali si muove il mondo.

Io credo che l’Appennino si dovrebbe giocare questa carta: pensare di essere un luogo per giovani. Occorre però garantire condizioni di modernità, quindi la possibilità comunque di muoversi e spostarsi, relazioni telematiche importanti con tutto il mondo. E’ vero la dotazione della banda larga non è clamorosa, ma possiamo migliorarla.

E in un contesto di questo tipo, dove anche un certo nomadismo è diventato un tratto caratterizzante della vita dei giovani, l’Appennino potrebbe essere un luogo interessante per stare in un certo periodo della vita, magari proprio in un periodo che riguarda la fase del ‘generare’: avere dei figli e offrire a questi figli un’ambiente naturale strepitoso e soprattutto, se poi questo è in qualche modo sostenuto da un sistema di servizi e da un sistema educativo importante.