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LE VOCI DELLA POESIA

Infanzia e sogni

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Quando siamo piccoli i sogni hanno la luce del sole. Sono nel futuro che sta per aprirsi davanti a noi, su una strada della vita che ci immaginiamo luminosa come un’alba infinita. Non esiste l’eventualità del fallimento: la luce che intride i sogni non può penetrare gli angoli bui dell’insuccesso, dove l'oscurità è più potente del sole. Ma per Langston Hughes (1901-1967) il sogno ha trovato l’ostacolo di un muro:

Crescendo, 1926

E’ stato molto tempo fa.

Ho quasi dimenticato il mio sogno.

Ma allora era lì,

Di fronte a me,

Luminoso come un sole,--

Il mio sogno.

 

E allora si alzò il muro,

Si alzò lentamente,

Lentamente,

Tra me ed il mio sogno.

E allora si alzò il muro,

Si alzò lentamente, lentamente,

Offuscando,

Nascondendo,

La luce del mio sogno.

Si alzò fino a toccare il cielo,--

Il muro.

 

Ombra.

Sono nero.

 

Mi butto giù all’ombra.

Non c’è più la luce del mio sogno di fronte a me.

Sopra di me.

Solo il muro spesso.

Solo l’ombra.

 

Le mie mani!

Le mie mani scure|

Penetrate il muro!

Trovate il mio sogno!

Aiutatemi a frantumare questa oscurità,

A distruggere questa notte,

A spezzare quest’ombra

In migliaia di luci di sole,

In migliaia di sogni vorticanti

Di sole!

 

As I Grew Older 

 

It was a long time ago.

I have almost forgotten my dream.

But it was there then,

In front of me,

Bright like a sun,—

My dream.

 

And then the wall rose,

Rose slowly,

Slowly,

Between me and my dream.

Rose slowly, slowly,

Dimming,

Hiding,

The light of my dream.

Rose until it touched the sky,—

The wall.

 

Shadow.

I am black.

 

I lie down in the shadow.

No longer the light of my dream before me,

Above me.

Only the thick wall.

Only the shadow.

 

My hands!

My dark hands!

Break through the wall!

Find my dream!

Help me to shatter this darkness,

To smash this night,

To break this shadow

Into a thousand lights of sun,

Into a thousand whirling dreams

Of sun!

Langston Hughes

L’ombra di questo muro alto fino al cielo non offusca solo la luce del sole, impedisce anche di poter raggiungere il sogno che sembrava lì, vicinissimo, acceso di luminosità propria. Il titolo della poesia ci dice che la presenza del muro è avvertita solo col diventare grandi, perché si tratta di una costruzione, una restrizione sociale eretta dalla società, estranea al sentire dell’infanzia. Sono le mani nere, il colore della pelle, il razzismo a togliere la luce ai sogni dei bambini, a costruire un mondo dove i muri non sono solo metaforici. Muri che proteggono chi pensa che solo gli uguali a sé abbiano il diritto di valicare quel muro. Sono i muri di una casa, di una terra, di una società precluse a chiunque sia diverso. In pratica, un muro che costruisce una casa per la paura. Perché anche chi si affida ai muri per difendere il sé dall’altro ha, dopotutto, perso i suoi sogni, lasciando che sia la paura ad offuscarli.  Ma le mani nere, le mani del bambino diverso, saranno anche quelle che quel muro possono far crollare, riaccendendo la luce e ritrovando il sogno perduto. Il muro crollato, l’oscurità in frantumi si trasformeranno in migliaia di luci calde e brillanti come il sole per illuminare di nuovo la via verso la conquista del proprio sogno. Ed è bello pensare che questa conquista abbia valore per tutti, qualunque sia il lato del muro su cui si trovano. 

I contrasti, i conflitti ancora incompresi tra gli adulti di cui l’infanzia è testimone disegnano il futuro come un temporale, una tempesta che dalla natura esterna penetra l’interno di una casa che dovrebbe proteggere: 

Discordia nell’infanzia, 1909

 

Fuori dalla casa un frassino stendeva le sue fruste tremende,

E la notte quando si alzò il vento, la sferza dell’albero

Gridò e flagellò il vento, come fa il misterioso

Sartiame di una nave che grida spaventoso nella tempesta.

 

Dentro la casa due voci si alzarono nell’ira, una sferza sottile

A sibilare furia delirante, e il suono orribile

Di una sferza potente che esplode e ferisce, finché non affogò

L’altra voce in un silenzio di sangue, sotto il rumore del frassino.

 

Discord in Childhood

 

Outside the house an ash-tree hung its terrible whips,

And at night when the wind arose, the lash of the tree 

Shrieked and slashed the wind, as a ship’s 

Weird rigging in a storm shrieks hideously. 

 

Within the house two voices arose in anger, a slender lash

Whistling delirious rage, and the dreadful sound 

Of a thick lash booming and bruising, until it drowned 

The other voice in a silence of blood, ’neath the noise of the ash.

David Herbert Lawrence

Due sono le fruste dentro quella casa, fruste simili ad una nave percossa dalla tempesta, che sferzano l’aria come fanno, all’esterno, i rami del frassino: una è slender, sottile, e l’altra thick, spessa, metafore dell’uomo e della donna che fomentano la bufera dei loro sentimenti. La donna whistle, sibila, posseduta da una delirious rage, rabbia delirante; invece, l’uomo ha il dreadful sound, suono terribile, di una frusta booming and bruising, che esplode e ferisce (la parola bruise qui usata come verbo, significa anche ecchimosi). D.H. Lawrence (1885-1930) confronta il temporale che scuote il frassino al litigio tra i genitori all'interno delle mura domestiche, quelle che dovrebbero, senza riuscirci, proteggere l’infanzia. Fuori dalla casa i rami dell’albero sferzano il vento come fossero fruste, come se l’albero fosse una nave che la tempesta percuote facendo gemere il sartiame. Le tante ‘s’ che colorano i primi quattro versi evocano il suono della burrasca, delle fruste e del sartiame di una nave alla mercé del vento. Così come alla mercé del più forte, alla mercé di una sferzata pesante si trova la più debole, ormai sconfitta in un silenzio di sangue.

Le memorie dell’infanzia definiscono noi e i nostri sogni. Definiscono il modo in cui guardiamo ai nostri sogni, com’erano allora e come sono ora. Eppure, spesso, quando torniamo all’infanzia, specialmente se ci sono stati muri ad offuscare la vista o litigi a scuoterci come una nave nella tempesta, è difficile ricordare cosa e come sentisse quella bambina. Forse perché abbiamo voluto riporre quelle memorie il più lontano possibile da noi.