Home Cultura Un messaggio universale, un poema che si fa canto: “Siddharta”

Un messaggio universale, un poema che si fa canto: “Siddharta”

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Certe volte la vita è complicata al punto tale che è difficile rendersi conto di ciò che si sta veramente facendo. Certe volte ci sentiamo sconcertati o semplicemente confusi, talmente spaesati da non riuscire a dare nomi ai pensieri e alle sensazioni che ci martellano mente e cuore. Sono questi i momenti in cui invochiamo la chiarezza.

La chiarezza è un bene raro, ma le strade che ci portano a lei possono essere molteplici e parallele.
Se amate la grande letteratura (in altre parole, i romanzi scritti bene) e un bel pomeriggio, magari dopo una buona pennichella, vi sentite desiderosi di chiarezza, posso suggerirvi un sentiero che come minimo vi farà passare alcune ore di serenità, e come massimo vi spalancherà gli occhi verso prospettive inedite, da esplorare e approfondire. Il consiglio è questo: leggete “Siddharta”.

Lo scrisse un tedesco, Herman Hesse, nel 1922, ma non fatevi fregare dagli stereotipi: non vi è nulla della violenta rigidità germanica, di quella seriosità precisa ed efficiente, e neppure degli echi di un Romanticismo che proprio in Germania visse la sua stagione più felice; qui, si respira l’Oriente, colori, profumi e personaggi vi portano in India, e la scrittura è un canto. Qui si medita, si contempla e si riflette, altrove si agisce. Qui è di casa il bello, l’utopia, altrove la realtà con le sue brutture. Se fosse un essere umano, si potrebbe rischiare di affibbiare a questo libro le sembianze di un vecchio predicatore dalla pelle strinata, la barba canuta e la bocca senza denti, curvo sopra un bastone per il peso dei suoi ottantatre anni; e invece no, questo romanzo è ancora adolescente, universalmente adolescente, eternamente adolescente: pensate a un bel ragazzo ben vestito e dai lunghi boccoli neri, un ragazzo avido di conoscenza e corteggiato dalle coetanee più carine; se volete un riferimento, mi viene in mente Keanu Reeves nel “Piccolo Buddha” di Bertolucci, ma l’identificazione non può essere totale. Lasciate spazio alla vostra immaginazione, aprite la mente e pensate alla gioventù: ecco a voi Siddharta. Strappategli la tunica e mettetegli i jeans, se volete; bucategli naso e orecchie con mille pearcing, tatuategli l’ombelico, fategli i capelli a punta, ma vedrete che rimarrà sempre e comunque Siddharta. Non toglietegli la curiosità. Guardatelo bene, e guardatevi: non può essere troppo distante da voi. Tutti noi siamo un po’ Siddharta, o per lo meno lo siamo stati e potremmo da un momento all’altro ritornarlo ad essere.

Volendo essere scolastici, si potrebbe considerare “Siddharta” come un breve romanzo di formazione: incontriamo il protagonista quando ancora è un ragazzino e ci congediamo da lui che già è prossimo alla vecchiaia più avanzata. Tra i due estremi, egli ci prende per mano e ci accompagna nelle diverse esperienze esistenziali che di età in età intraprende. Ed è così che il figlio del bramino, rispettata e celebrata figura religiosa espressione di uno stile di vita agiato, un bel giorno entra nei Samana, in quella setta di eremiti boschivi, fautori dell’estrema povertà, del vagabondaggio e della nullatenenza. I molti anni da Samana lasciano il segno, ma non bastano a Siddharta: quasi per reazione, si reca in città e si abbandona al vizio, sino a sprofondarvici dentro. Ci vorrà tempo prima che riemerga, ma quando succede lo fa con classe e saggezza. Il suo cammino si fa sempre più complesso, sempre meno riconducibile a gruppi o categorie. All’impeto giovanile sopraggiungono l’esperienza maturata negli anni, alimentata di volta in volta dagli incontri con personaggi mai banali.

Proprio questa galleria di personaggi è ciò che considero la più grande ricchezza del romanzo: uomini e donne che galleggiano sul fragile confine tra santità e idolatria, tra mito e realtà, magia e nuda terra. Personaggi che si fanno archetipi, come solo nei grandi romanzi può succedere. Chi di noi non desidererebbe avere un amico come Govinda, fedele e devoto, ma nello stesso tempo sincero? Per non parlare del vecchio traghettatore, bucolico messaggero dei segreti dell’acqua; oppure di Kamala, maestra d’amore e seduzione, sacerdotessa del vizio estremo che proprio per questo si eleva a virtù, donna sola e lussuriosa, eterea e carnale, regina dei baci e delle pietre preziose. Infine, il Buddha. L’Incontro di una vita. Breve. Cercato. Non sprecato.

Pensate a voi stessi, mentre leggete questo libro. Pensatevi in profondità. Riflettete sulle vostre qualità e sui vostri difetti, ipotizzate strategie per migliorarvi. Queste parole vi potranno aiutare. Poi alzate gli occhi al cielo, e chiudeteli. Abbandonatevi ai ricordi. Invocate le persone per voi importanti. Tra di loro troverete il vostro Govinda pronto a porgervi la mano, la vostra Kamala a braccia aperte, petto in fuori e cuore a mille, il vostro traghettatore in religioso silenzio. Per i più ambiziosi, rimarrebbe Buddha. Oppure Dio, o Maometto, o la persona che vi ha appena salutato. Poco fa, permettendovi di leggere “Siddharta”. Quando la rincontrate (presumo presto, o almeno ve lo auguro), prestatele quel libro. Vi ringrazierà. Ciascuno a modo suo. (Per gli amanti del cinismo, date un’occhiata a una scena dell’”Ultimo bacio”, quella in cui il protagonista regala “Siddharta” alla sua tenera sedicenne segreta…). Con amore.

Come ci spiega Siddharta, alla fine del cammino: “L’amore, o Govinda, mi sembra di tutte la cosa principale. Penetrare il mondo, spiegarlo, disprezzarlo, può essere l’opera dei grandi filosofi. Ma a me importa solo di poter amare il mondo, non disprezzarlo, non odiare il mondo e me; a me importa solo di poter considerare il mondo, e me e tutti gli esseri, con amore, ammirazione e rispetto.”.

Herman Hesse, Siddharta, Adelphi, 1973. (ed. or. 1922)