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Come riconoscere un buon cibo? Lo spiegano i delegati reggiani dell’AIC

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E’ stato ospitato nella sede di Agorà di Cirfood District il convegno gastronomico, organizzato dalla delegazione reggiana dell’Accademia Italiana della Cucina (AIC), sulla capacità di riconoscere il buon cibo.

Ad accogliere gli accademici reggiani, Chiara Nasi, presidente di Cirfood, che nel dare loro il benvenuto ha sottolineato che ““Cirfood district” è il centro di ricerca e innovazione dove progettare e sperimentare nuove soluzioni nell’ambito della nutrizione e del food service, un luogo aperto e inclusivo, che vuole dare spazio alle imprese e al mondo accademico, con cui condividere una prospettiva culturale e sociale sul futuro del cibo, che oltre a essere il fulcro delle nostre attività – ha spiegato la Nasi – è secondo noi un elemento chiave per trasmettere tradizione, innovazione e valori che possano contribuire all’evoluzione della società odierna. La tavola, in questo senso, rappresenta il luogo ideale per condividere esperienze, idee e cultura, dove apprendere abitudini di consumo responsabile e stili di vita rispettosi dell’ambiente e delle comunità”.

Dando seguito alle parole della presidente, Anna Marmiroli, responsabile della delegazione reggiana dell’Accademia della Cucina, in veste di storica, ha introdotto il tema della conviviale culturale annuale: “Negli ultimi anni nel settore gastronomico assistiamo al moltiplicarsi di persone che parlano di cucina, la praticano, ci giocano, ne fanno talvolta competizione che ha ben pochi contenuti trasferibili che non siano l’audience o la riconoscibilità mediatica” – ha spiegato Anna Marmiroli –  inoltre rileviamo una sfacciata ingerenza nella definizione dei gusti, del cosiddetto “buono da mangiare” operata dalle grandi multinazionali del cibo che, in modo spudorato e con la potenza della loro forza economica, pretendono di dirci cosa mangiare, cosa è buono, cosa non lo è”.

“Un’arte difficile che non può ridursi a valutazioni soggettive, come mi piace o non mi piace, tradizionale o non tradizionale, ad analisi sensoriali e ancor meno a semplici punteggi” ha aggiunto Giovanni Ballarini, professore emerito della Università degli studi di Parma, nonché presidente onorario della Accademia Italiana della Cucina, il quale attraverso un’analisi dei movimenti gastronomici di diversi periodi storici fino a quello attuale, ha indicato alcuni criteri utili di critica gastronomica.

“Comprendere la qualità di un piatto è un esercizio complesso: comporta uno studio analitico delle singole voci, che non coinvolge solo i sensi, ma impone una riflessione anche sugli aspetti sociali, etici e di marketing” ha aggiunto Elisabetta Cocito, segretario generale del Centro Studi Marenghi della Accademia Italiana della Cucina e direttore del Centro studi territoriale Piemonte della Accademia Italiana della cucina.

Interessante anche il confronto tra gestione della qualità e critica gastronomica proposto da Alberto Zilli, accademico esperto e filosofo dei sistemi qualità, per affrontare “un percorso esplorativo che provi a definire sfide e abbozzare risposte in grado di contribuire al miglioramento della critica gastronomica, che non prescinde dal tema della comunicazione”.

“Criticare non è recensire, ma è innanzitutto riflessione e comprensione” ha aggiunto infine Nicola Perullo, professore ordinario di Estetica presso l’Università degli studi di Scienze gastronomiche di Pollenzo di cui è anche pro rettore. “Bisogna fare un ampio lavoro di formazione, dovrebbero esistere scuole, università, dottorati per imparare a fare critica oggettiva e consapevole”.

“Il convegno si è svolto in un’atmosfera di forte contributo positivo – ha evidenziato Pier Paolo Veroni, delegato di Carpi Correggio e coordinatore territoriale Emilia, a conclusione dell’incontro – tutti i relatori hanno convenuto che la critica gastronomica non è un modo facile e semplice di descrivere un pranzo o una cena, ma un processo di analisi continuo e meditato che tiene conto di una serie complessa e articolata di indicatori, che vanno dalla qualità del cibo al servizio, dalla qualità dei vini all’ambiente, alla storia, alla cultura di un locale. L’Accademia con i suoi 7500 accademici in Italia, di cui circa 450 soltanto in Emilia, e 320 Delegazioni nel mondo, di cui oltre cento all’estero, garantisce il rispetto di tutti questi indicatori non solo a livello nazionale ma anche internazionale”.

Molte le domande da parte del pubblico in sala e dagli accademici, tra cui Maria Luisa Frosio coordinatrice territoriale per la Lombardia Ovest nonché delegata di Milano Duomo, Fabio Giavolucci coordinatore territoriale della Romagna e delegato di Riccione, Pietro Spaini coordinatore territoriale di Piemonte est e delegato di Novara, Rosanna Scipioni responsabile del Centro studi Emilia, Chiara Prati delegata di Parma Bassa Parmense, Nicola Ronchini delegato di Piacenza, Giovanni Spartà delegato di Parma Borgo Val di Taro, Mauro Taddia delegato di Bologna Bentivoglio, Roberto Tanzi delegato di Salsomaggiore, Cristina Ciusa delegata di Milano Navigli, Sergio Galassi vice delegato di Imola.

Erano presenti anche una rappresentanza di alunni e insegnanti dell’Istituto a indirizzo alberghiero “Nelson Mandela” di Castelnovo Monti, e la dirigente scolastica dell’Istituto di istruzione superiore “Angelo Motti” Barbara Ghiaroni con cui l’Accademia reggiana collabora attivamente da diversi anni, oltre al presidente della Associazione Cuochi Città del Tricolore, Simone Magnanini, e alcuni ristoratori, con i quali da tempo è aperto un confronto costruttivo, e gli amici del Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia DOP e della Associazione del Cappelletto Reggiano con cui la Delegazione reggiana dell’Accademia Italiana della Cucina condivide tavoli di studio e di ricerca.