Il 9 agosto, alle ore 10, presso l’agriturismo Valle dei Cavalieri si svolgerà un’ iniziativa a ricordo di bella storia di montagna che evoca il valore della società legata all’agropastorizia ancora presente nel crinale e nel Parco nazionale dell’Appennino: “Il Pastore ritrovato, in ricordo di Ferdinando Zampolini, pastore di Storlo”.
Sono previsti i saluti istituzionali di Franco Baccini, vicesindaco del Comune di Ventasso, Fausto Giovanelli, presidente del Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano. Quindi gli interventi di Enrico Merciadri su “Quella lapide nei boschi del ramisetano”, Patrizio Leoncelli “Anche i pastori erano poeti”, Davide Dazzi “La pastorizia in Appennino”, quindi sull’esperienza della Coop Valle dei Cavalieri che a succiso produce il Pecorino dell’Appennino reggiano. Coordina Giuliano Cervi.
L’iniziativa è svolta in collaborazione con Comune di Ventasso, Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano, Pro Natura, Comitato Scientifico Cai, Valle dei Cavalieri.
“La pastorizia, semi scomparsa negli ultimi decenni, è attività necessaria e da sostenere per la conservazione dei prati pascoli d’alta quota in Appennino – spiegano dal Parco nazionale dell’Appennino -. Il progetto Ape che portiamo avanti con Legambiente sta focalizzando quanto sia importante che nelle nuove condizioni sociali ed economiche nuove risorse, in primo luogo umane, riaccendano la passione e impegno per la conduzione presenza di greggi sui crinali”.
Emblematica la storia di un pastore.
Ancora oggi in una zona boschiva sulla sinistra della strada che va da Succiso Nuovo (Varvilla) e risale verso il passo di Scalucchia (Ventasso) in un’area denominata Ravinelli si rinvengono i resti di una croce in legno e una lapide di marmo bianco a ricordo di Ferdinando Zampolini, pastore buono che non esitò a riconoscere la prima figlia avuta da una relazione prima del matrimonio, durante il servizio di leva. L’uomo, vissuto tra fine Ottocento e prima metà del Novecento, viveva a Storlo, dove si era sposato con Lucia Pedrini, da cui ebbe una seconda figlia, Lina. Accolse l’invito della moglie a riconoscere la prima figlia che si era fatta viva con una lettera e voleva riconoscere il padre che le diede il cognome ed evitandole l’appellativo all’epoca in uso di “bastarda”. Le due bambine divennero anche molto legate. Sul finire del secondo conflitto mondiale, il pastore stava accompagnando il gregge all’abbeverata, quando rovinò a terra finendo col capo su un sasso proprio dove ora la lapide lo ricorda. Venne ritrovato esanime solo all’indomani dai pastori allertati dalla moglie.
Un episodio che destò molto scalpore in paese. La sua salma venne traslata dal cimitero di Pieve San Vincenzo a Montignoso (Massa Carrara) dove la prima figlia si recava al mare perché lì il padre era transumante d’inverno col suo piccolo gregge.