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Elda racconta: La posta

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Questa volta vi voglio raccontare di quando esisteva “la posta”.

Naturalmente come “posta” intendo le lettere e le cartoline e qualche avviso di pagamento mandato dalla banca.

Insomma la posta, quella portata a domicilio, dal “postino”.

In quel periodo non esistevano ancora questi aggeggi che si chiamano telefonino o computer, che hanno scombussolato la nostra vita.

Allora si scrivevano lettere, lettere di affari, queste corte chiare e sintetiche, lettere ai famigliari, fratelli, zii, parenti che abitavano in altre città.

Di quando il nostro postino, era Magnani da Vologno e mi chiamava “gruglìn” poi tirava fuori una busta con tre francobolli stranieri e io sapevo già che era dello zio Lino e veniva da Marsilia, la portavo subito alla mamma e a lei venivano gli occhi umidi mentre la leggeva ad alta voce, era suo fratello, anche lui era emigrato con la giovane moglie, assieme alla mamma e al papà, ma lui non aveva più voluto ritornare in patria. Quella patria che l’aveva mandato a combattere sui confini dentro a delle trincee strette e bagnate dove i compagni li vedevi cadere vicino a te come le mosche colpite dal DDT.

Con le lettere, davi e chiedevi notizie sulla salute, del lavoro, del tempo che faceva e magari univi una fotografia dell’ultimo arrivato in famiglia.

Le più attese però erano quelle dei militari di leva, che magari dovevano affrontare una vita nuova piena di sacrifici e disciplina, per la prima volta lontano da casa, fra gente a loro sconosciuta.

Le mamme stavano dietro i vetri delle finestre ad aspettare il “postino”, se vedevano che rallentava frugando nel suo borsone, si buttavano fuori, altrimenti si ritiravano sbiascicando un’Avemaria.

Naturalmente, io con questa mania che ho sempre avuto, ho cominciato molto presto a scrivere lettere, avevo cugine e parenti della mia età a Genova, Milano, poi una indimenticabile maestra di Reggio.

Più tardi le amiche che avevo conosciuto in campeggio, erano lettere che andavano e venivano. Le aprivi, le leggevi e tornavi a leggerle e rispondevi.

Poi a Natale, i biglietti di auguri e le cartoline, belle, colorate, con la grotta e il Bambino ricoperto da una lieve copertina, la neve e i lustrini che le facevano brillare, l’anno nuovo impersonato da un bambino biondo riccioluto e più sotto l’anno vecchio che se ne andava trascinando una valigia semiaperta dove si intravedevano pacchi con su scritto “capricci, impertinenze” e quelle della befana che trascinava un asinello carico di doni.

A Pasqua poi cartoline con uova variopinte, pulcini, delicati fiori di pesco e campane che uscivano dal campanile e ti sembrava di sentirle suonare.

Naturalmente, diventata più grande, arrivarono anche le lettere, del cuore, quelle, come dice quel famoso mio amico virtuale, che quando le aprivi, sentivi un mucchio di farfalle e farfalline nello stomaco e le leggevi tutte d’un fiato e rispondevi immediatamente, non curandoti ne’ dell’ortografia ne’ della punteggiatura.

Erano le lettere degli innamorati, erano quelle che mettevi sotto al cuscino e prima di addormentarti, tornavi a leggerle al lume di candela e quelle parole le sognavi anche di notte.

Meraviglie che piano, piano abbiamo lasciato scomparire, per far posto a queste cose tecnologiche, comode fin che volete, ma non riuscirete mai ad arricchire ciò che sentite dentro, tutto si ferma lì   con frasi smozzicate e “inglesiate”, non leggerete mai l’inizio di una lettera che cominciava così:

“Mio dolce amore”

Appena leggevi quelle parole ti sentivi avvampare il viso, allora te la infilavi in tasca e andavi a leggerla, in un posto solitario per assaporare parola per parola e la leggevi e rileggevi, fino ad impararla a memoria, come se fosse stata una poesia del Pascoli.

(Elda Zannini)

2 COMMENTS

  1. Meravigliosa verità, io so di cosa si tratta.Le garantisco però,ringraziandola per le Sue perle , che le poesie del Pascoli, come quasi tutte,non si studiano più.
    Non parliamo del sommo poeta,così turpemente offensivo dell’Islam! O tempora!

    • Firma - cesare