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LE VOCI DELLA POESIA

Poesia e desiderio

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Né Antonia Pozzi (1912-1938), né Augusta Webster (1837-1894) fanno parte dei poeti che hanno un posto sicuro di maestre indiscusse nella comune percezione. Ma, ovviamente, la poesia si nasconde anche in quelle menti e in quelle parole che non hanno ricevuto il plauso universale. 

Antonia Pozzi

La famiglia di Antonia Pozzi era colta ed agiata, il che la aiutò a sviluppare tanti interessi culturali. Ma forse questa famiglia che le offrì molte opportunità esercitava su di lei un controllo eccessivo, specialmente da parte del padre, che ostacolò anche il suo più grande amore. Inoltre, il periodo storico in cui si trovò a vivere, quello dell’ascesa di Hitler, dell’avvicinamento sempre più forte dell’Italia alla Germania, delle leggi razziali, non poteva non aprire ferite in un’anima sensibile. Così sensibile da non resistere al dolore dell’anima, alla "disperazione mortale“ del suo ultimo scritto, lasciato prima di  togliersi la vita coi barbiturici in un prato dell’abbazia di Chiaravalle nel dicembre del 1938. Nessuna delle sue poesie fu pubblicata in vita, regalandoci così visioni di un’interiorità segreta e unica, personale e immacolata. 

Lampi

Stanotte un sussultante cielo

malato di nuvole nere

acuisce a sprazzi vividi

il mio desiderio insonne

e lo fa duro e lucente

come una lama d'acciaio.

La notte trema con forza nel cielo malato, reso oscuro dalle nuvole, mentre i guizzi dei lampi riportano vita, luce, scintille improvvise che strappano l’aria. La malattia del cielo che sussulta come in un singhiozzo, in un pianto, riflette il disagio di chi scrive, di chi si identifica con l’oscurarsi del paesaggio. I lampi che si alternano non vengono mai chiamati col loro nome, a parte nel titolo, come a voler porre l’accento su ciò che i lampi significano piuttosto che su ciò che sono. E, infatti, è il desiderio a essere reso acuto, inasprito, da questi lampi, il desiderio della mente e del corpo, così forte da impedire il sonno, perché non tace mai, una sensazione così potente da squarciare a sprazzi ma con insistenza, pulsante come una ferita, il cielo della vita della poetessa.  La luce del lampo è anche fuoco, fuoco per forgiare il metallo di cui è fatta la sostanza del desiderio che con il vigore di questo fuoco si fa ancora più temprata, rigida e resistente come l’acciaio di una lama. L’immagine della lama è quanto mai dolorosa: può indicare la volontà di combattere, ma può anche indicare lo strumento che dà la morte. E può anche rappresentare il continuo, sussultante ferire di un desiderio senza compimento, in un paesaggio di male di vivere.

Nei versi di Augusta Webster, poetessa famosa al suo tempo e sostenitrice dei diritti delle donne, il lampo della tempesta, la sua forza, è una potenza attesa e cercata, non rappresenta il sussultare di un malessere intimo, ma l’energia di un fuoco rigenerante:

Circe, (1893 text)

Circe, (versione del 1893)

The sun drops luridly into the west ;

Il sole cade sgargiante a occidente;

Darkness has raised her arms to draw him down

L’oscurità ha sollevato le braccia per tirarlo giù

Before the time, not waiting as of wont

Prima del tempo, senza aspettare come al solito

Till he has come to her behind the sea ;

Che lui la raggiungesse dietro al mare;

And the smooth waves grow sullen in the gloom

E le onde levigate si fanno accigliate nel buio

And wear their threatening purple; more and more

E indossano il loro porpora minaccioso; sempre più

The plain of waters sways and seems to rise

La pianura di acque ondeggia e pare sollevarsi

Convexly from its level of the shores ;

Convessa dal suo orizzonte sulla battigia;

And low dull thunder rolls along the beach :

E il tuono basso e sordo rotola lungo la spiaggia:

There will be storm at last, storm, glorious storm !   

Ci sarà tempesta infine, tempesta, tempesta gloriosa!  (.....)

Nei primi versi di questa poesia, che di versi ne ha 113, Circe descrive l’arrivo del temporale, con l’oscurità che si è appropriata del sole prima dell’ora abituale, con le onde a gonfiarsi trasformando il mare prima levigato come una pianura e colorandosi del viola

Augusta Webster

del tramonto ma anche dell’arrivo della tempesta. Il rigonfiarsi delle onde cancella l’orizzonte precipitandosi sulla riva insieme al suono basso del tuono che promette la burrasca. I primi nove versi servono tutti a dipingere l’immagine della luce che scompare, in una specie di abbraccio tra il femminile dell’oscurità e il maschile del sole dai toni quasi di amore appassionato, e delle acque sollevate nell’attesa di far esplodere il proprio furore di forza primordiale. 

La Circe di Augusta Webster è antesignana della Circe del romanzo eponimo di Madeline Miller del 2018, a sua volta parte di una serie di romanzi di scrittrici che rileggono i miti antichi attraverso gli occhi delle donne, le donne del mito solitamente senza voce, riscrivendo così le storie che intessono la nostra tradizione perché riflesse attraverso il sentire, spesso sofferente e sottomesso, del femminile. Webster descrive una Circe che attende con gioia l’arrivo del temporale sul mare: nel decimo verso la maga si rallegra per la tempesta che finalmente sta per arrivare e sarà gloriosa. La semidea figlia del sole rappresentata, nel mito originario, come ammaliatrice, seduttrice che si diverte a trasformare gli uomini in animali, come avverrà ai compagni di Ulisse, ci dice, nei versi che seguono, di attendere con entusiasmo il cambiamento, la burrasca, in quanto spera, così, di accogliere

Circe che offre la coppa ad Ulisse, John William Waterhouse, 1891

finalmente sulla sua isola un uomo al pari di lei. Non è Circe, infatti, a trasformare gli uomini arrivati sulla sua isola, Eea, in bestie: le sue pozioni non fanno altro che evidenziare ciò che quegli uomini già sono, esseri dagli istinti brutali indegni di lamarla. Forse il tuono, il mare ingrossato, il cielo trafitto dai lampi le daranno un’esistenza diversa con un uomo che non nasconde una natura vile.

Il desiderio di Antonia Pozzi e della Circe di Augusta Webster è in fondo lo stesso: una vita nuova, calda della luce d'un lampo, forte come un tuono, appassionata come l’abbraccio tra il sole e l’oscurità, temprata dal fuoco dello spirito, senza le restrizioni spesso imposte alle donne, magari rinchiuse in gabbie trasparenti o reali come un’isola deserta.