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Vite in Appennino: la storia di Daria e Francesco

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Daria Menichetti e Francesco Manenti lavorano nell’ambito del teatro e della danza e dal 2020 hanno scelto di vivere a Nismozza, un borgo montano dell’Appennino Reggiano, sul Ventasso. Daria Menichetti, di origine umbra, lavora nello spettacolo da oltre 15 anni.
Tante le compagnie con cui ha collaborato: Teatro Valdoca, Teatro Kismet Bari, Teatropersona, Zaches Teatro, Sosta Palmizi (Raffaella Giordano, Giorgio Rossi), solo per citarne alcune. Da alcuni anni porta avanti, inoltre, un lavoro nelle carceri: a Sollicciano, con le regie di Elisa Taddei, dove ha lavorato come danzatrice-attrice collaborando assieme ai detenuti, e nel carcere di Perugia dove, grazie alla visione della regista Vittoria Corallo, si è potuta dedicare alla sensibilizzazione al movimento e alla creazione delle coreografie per gli spettacoli della regista.
Francesco Manenti, Modenese di nascita, ha iniziato nel 2000 studiando circo-teatro nella Scuola Galante Garrone di Bologna. Da allora ha iniziato un personale percorso di teatro e danza che gli ha permesso di studiare e lavorare con diverse compagnie del panorama italiano ed estero. Tra queste si ricordano le collaborazioni con Sosta Palmizi (Giorgio Rossi), Pantakin da Venezia, Teatro Kismet Opera, Compagnia Dimitri Canessa, Eccentrici Dadarò, Cajka Teatro, Dimensioni Parallele, e via via diverse esperienze, in particolare nel teatro danza.

Come avete scoperto l’Appennino Reggiano e come mai avete deciso di trasferirvi a Nismozza?
La famiglia di Francesco è originaria di questi luoghi: suo nonno era il medico condotto dell’appennino; a Nismozza ha una casa di famiglia, dove ci siamo trasferiti subito prima del lock down e da allora abbiamo deciso di restare. Io invece sono originaria dell’Umbria, dove ho vissuto fino a diciotto anni. Poi mi sono spostata sempre in grandi città: Salisburgo, Parigi, Milano, Bologna, fino a raggiungere Modena, dove abitava Francesco e da Modena a Nismozza.
Per noi lavoratori dello spettacolo, il lock down è stata una pausa lavorativa forzata, perché appunto non c’era la possibilità di andare in giro a fare spettacoli e anche fare laboratori era molto complicato. Tuttavia, in questo periodo di sospensione forzata dalla pandemia, immersi in questo luogo bellissimo, ci siamo dedicati allo studio: io mi sono laureata al Dams di Bologna. Ho preparato una tesi su ‘Le performance contemporanee nella prospettiva degli gli animal studies’: gli animal studies sono una branca di studi che analizzano, ricercano e si interrogano sulla presenza degli “ animali non umani ” nella letteratura, nei film, nella storia,nella filosofia e anche nello spettacolo. In particolare, per la tesi, ho preso in esame alcuni spettacoli in cui sono presenti degli animali vivi e ho analizzato come è cambiato, attraverso secoli, il rapporto tra essere umano e non umano nello spettacolo: dai combattimenti tra animali vivi, attrazione seguitissima in passato, fino a spettacoli rappresentati per gli animali, dove il pubblico sono cani e gatti. La relazione e la sensibilità nei confronti degli altri animali è molto cambiata, ed in alcuni casi si inizia a parlare concretamente degli altri animali come “specie compagne” in una prospettiva paritaria tra essere umano ed altre specie.
Per approfondire le tematiche della relazione tra essere umani e altri animali, la questione ecologica e approfondire in maniera critica l’antropocentrismo che purtroppo fonda la nostra società, mi sono iscritta alla magistrale di Scienze Umane per l’ambiente a Roma Tre. Inoltre insieme a Francesco abbiamo studiato alla Scuola di Interazione Uomo Animale fondata dal filosofo ed etologo Roberto Marchesini, e siamo diventati entrambi educatori cinofili. Francesco ha inoltre seguito la formazione per diventare Guida Ambientale Escursionistica.
Finito il periodo di lock down abbiamo lentamente ripreso il nostro lavoro di spettacoli, e insegnamento. E piano piano in punta di piedi, abbiamo iniziato a relazionarci con le persone del paese, chiacchierando, passando del tempo assieme, offrendo delle lezioni di consapevolezza del movimento. Giorno dopo giorno si è delineata la prospettiva di continuare a fare i nostri lavori fuori dall’Appennino ma anche di provare a costruire qualcosa qui nel borgo in cui viviamo: abbiamo sempre avuto sentore che qui ci fosse terreno fertile ed una strada d’accesso attraverso la relazione diretta con le persone che in qualche modo hanno bisogno di strumenti come teatro e danza per rinsaldare quella che è la comunità. In questi luoghi esiste evidente quello che viene chiamato Patrimonio Culturale della Natura, quindi la bellezza della Natura, ma a nostro avviso manca tutta una fetta di cultura della danza, del teatro, dell’arte in generale, che dovrebbe essere promossa e diffusa anche in Appennino per poter elaborare una sensibilità alla bellezza e quindi evolvere il modo di godere anche delle bellezze naturali. Sappiamo che nel 1974 questi territori sono stati attraversati dal lavoro esemplare di Giuliano Scabia, che con un gruppo di giovani studentesse e studenti del Dams di Bologna ha attraversato i paesi d’Appennino facendo teatro per e con la comunità, uscendo dal “teatro istituzionale”, e ritrovando una relazione diretta con le persone e le tradizioni. L’Appennino Reggiano ha infatti una grande tradizione del canto del maggio, che è un canto popolare che unisce tutta la comunità. Ci piacerebbe, nella nostra ricerca artistica, approfondire ed evolvere questi aspetti.
Un’altra questione importante per noi è quella dell’istruzione. Ci chiediamo come mai i giovani, per seguire un’istruzione di qualità, come liceo classico per esempio, si debbano spostare nelle grandi città, o per continuare gli studi universitari debbano abbandonare la montagna? Éper questo motivo che ho scelto consapevolmente di continuare i miei studi universitari rimanendo qui, in questi territori, perché credo nel fatto che le cose cambino attraverso lo studio e la presa di consapevolezza critica di ciò che ci circonda.
La nostra scelta di abitare in questo luogo è una scelta politica, non romantica. Mi spiego. Sappiamo che viviamo in un posto apparentemente idilliaco, bellissimo, ma stiamo conoscendo tutte le contraddizioni che esistono in questi luoghi di montagna, così come altrettante ne esistono in città, e questo stare “quassù” è per noi motivo di riflessione e ricerca sulle tematiche che più ci scaldano e ci stanno a cuore, anche rispetto alla visione di un futuro migliore.

A Nismozza e piano piano anche in altri borghi del Ventasso, abbiamo trovato un’apertura molto grande, proprio perché siamo riusciti a fare un lavoro di relazione: siamo partiti da questo, cioè non imponendo qualcosa, ma parlando con le persone, aiutandoci a vicenda, condividendo esperienze concrete. Ecco perché dall’ esperienza che ha unito molti degli abitanti residenti ed ha coinvolto anche persone che hanno le seconde case nel borgo e abitanti di paesi limitrofi, abbiamo creato l’Associazione di Promozione Sociale Intelfade che in dialetto significa: Là dove ci sono le Fate (è un modo in cui viene chiamata un’area del Monte Ventasso). Il desiderio è di creare eventi culturali sul territorio, promuovere la cultura del teatro, della danza, della musica, di tutte le arti performative unite all’ambiente con la prospettiva di creare relazione, comunità e riflessione sensibile.

Quindi nasce Intelfade…
Giuridicamente nasce a gennaio del 2023. Ma il lavoro era iniziato da prima. Abbiamo offerto delle lezioni di movimento consapevole ad un gruppo di signore di Nismozza e questo ci ha portati, piano piano, a relazionarci sempre di più con gli abitanti del borgo. Nel mese di agosto del 2022 abbiamo organizzato un piccolo festival teatrale all’aperto. È stato un esperimento piuttosto casalingo nell’organizzazione, ma la risposta da parte della comunità di tutto il Comune di Ventasso, e non solo, è stata incredibile.
Nello stesso periodo abbiamo portato avanti un corso di movimento consapevole con delle signore di Collagna – un paese vicino – e abbiamo iniziato una collaborazione con un’azione della SNAI (Strategia Nazionale delle Aree Interne) attiva sul territorio e condotta dalle cooperative di comunità del territorio, Briganti del Cerreto e Valle dei Cavalieri. L’iniziativa offre alle persone over 65 di vivere e condividere insieme un tempo di attenzione al corpo e alla creatività, attraverso la musica e il movimento. Nel mese di dicembre del 2022, seguendo la visione dell’Assessore comunale alla Cultura che immaginava Nismozza come scenario ideale per un presepe vivente, abbiamo creato: Un presepe a Nismozza. Una performance itinerante che vedeva come attori gli abitanti del borgo. É stata un’occasione di creazione di comunità: c’era la maestra che veramente aveva fatto la maestra, il falegname che veramente era il falegname degli Nismozza, l’arcangelo che suonava la Fisarmonica, Maria , una delle giovani ragazze del borgo, bravissima nella sua attenzione al movimento.
L’attore modenese Riccardo Palmieri (Cajka Teatro) era il narratore che traghettava il pubblico in tutte queste stazioni attraverso il paese chiedendo al pubblico di riflettere su che cosa vuol dire nascere oggi in un paese di montagna. La risposta del pubblico e degli abitanti di Nismozza è stata meravigliosa, nonostante il freddo. Ad agosto 2023 abbiamo potuto quindi proporre alla comunità una serie di laboratori condotti dagli artisti che poi al pomeriggio facevano spettacolo . É stato un modo per sensibilizzare le persone al linguaggio dell’artista invitato e, di nuovo, per creare Comunità.
A questi laboratori hanno partecipato molti anziani che si sono messi in gioco molto più dei ragazzi. Ed è una domanda che ci facciamo. Perché i giovani non partecipano? Eppure ci sono ma, evidentemente, anche i loro interessi vanno altrove.

Oltre ad organizzare spettacoli, cosa proponete?
Abbiamo iniziato a lavorare nelle scuole primarie di tutto il Ventasso e con gli anziani; Quindi portiamo avanti l’educazione alla consapevolezza del movimento e alla danza-teatro.
Abbiamo trovato due realtà qui con cui lavoriamo molto bene. Una è l’Ostello dei Balocchi di Cà Bracchi, con cui si è da poco concluso un progetto Erasmus + di 10 giorni con 24 ragazze e ragazzi che provenivano da tutta Europa. Il progetto scritto a 4 mani era dedicato alla comunicazione interspecie, argomenti a noi molto cari. L’altra realtà, il Girotondo BaseCamp di Cervarezza creata da Julia Peculiar, Ingegnere, e Antonio Pisanò, architetto, trasferitisi da qualche anno sul Ventasso direttamente dall’Inghilterra. Stanno creando un luogo di ospitalità sostenibile, e sono molto aperti a collaborazioni trasversali tra arte e ambiente.

Cosa bisognerebbe fare per attirare i giovani a venire a vivere in montagna?
Secondo me il problema non è attirare i giovani ma prima di tutto è farli restare. Bisogna rendere la montagna un luogo ‘fertile’, anche di cultura. Faccio un esempio: per andare a vedere uno spettacolo di danza o di teatro bisogna prendere l’auto e andare in una grande città, stessa cosa per andare a vedere una mostra o un film d’essai. A me piacerebbe che nostra figlia potesse godere dell’arte anche qui. Credo che l’arte sia una grande porta d’accesso alla consapevolezza e al nostro senso critico, l’arte riflette criticamente la società, l’arte in qualche modo è sempre politica ed è fondamentale per la crescita di un essere umano migliore. Ci sono centinaia di studi dell’OMS (il primo studio è stato fatto in Svezia nel 1976) che hanno provato scientificamente come avvicinarsi alla cultura e all’arte sia un elemento fondamentale per stare bene. Questo ha portato alcuni stati (ad esempio Belgio, Australia ed altri paesi) a creare la “prescrizione culturale”. I medici, cioè, possono, in alcune situazioni, prescrivere ai propri pazienti un biglietto per uno spettacolo teatrale o di danza o un biglietto per il museo al posto di farmaci.
Portare arte e cultura in questo territorio fa bene a tutti. Anche quella dell’istruzione secondo noi è un’altra sfida importantissima. Riuscire a compiere studi universitari in un borgo di montagna secondo noi è cruciale e necessario.

Dunque portare arte e cultura in questi territori è importante e fa bene a tutti…
Natura e cultura non sono scindibili, vanno insieme e andrebbero coltivate ancora di più sia nelle città che qui in Appennino in una prospettiva non dicotomica ma integrata. Una filosofa, Donna Haraway, ha coniato addirittura la parola Naturculturale, proprio a sottolineare l’impossibilità di scindere queste aree perchè di fatto sono integrate, è l’essere umano che ha la tendenza a separare e a creare categorie oppositive: essere umano/animale, natura/cultura, città/montagna, materie scientifiche /materie umanistiche, abilità/disabilità, scienza/arte.
Dal nostro punto di vista, le cose vanno oltre queste facili categorie oppositive, l’esistenza è molto più compromessa e intrecciata, aggrovigliata come una grande matassa, e noi ci siamo dentro in questa danza bellissima di interazioni e connessioni tra le diverse esistenze.

1 COMMENT

  1. Complimenti Daria e Francesco per aver fatto questa scelta controcorrente di voler vivere in un bel borgo del ns appennino come è Nismozza ( ” Ribsatta ” in dialetto ligonchiese ).
    Avete avuto un dono stupendo con l’ arrivo di vs figlia Gea, a completamento della vs bella famiglia.
    Ciao, un abbraccio Vittorio.

    • Firma - Vittorio Bigoi