Per ermanno
che sa
e sogna
Questa è la storia dell’uomo che faceva pagliai.
Il primo problema in questa storia sono i pagliai. Oggi non ci sono più. Non si vedono più. Allora è difficile raccontare di una cosa scomparsa e che non c’è, di qualcuno che per tutta la vita ha messo insieme con le mani delle cose scomparse.
Delle cose che ora non ci sono più.
Il mio amico Ermanno, che sa e sogna, dice che un pagliaio è una pera in formato gigante. Una pera con un picciolo di legno che somiglia a un palo, una pera senza buccia e con soltanto polpa. Una pera in grande.
Oltre al picciolo i pagliai avevano anche i pendenti, che servivano a fargli tenere la forma. Un pagliaio, una pera senza forma non è più una pera. Allora possiamo forse dire che i pendenti sono gli orecchini delle pere giganti, orecchini fatti di pietre e legni più sottili che davano al pagliaio la sua forma. La forma da pagliaio.
C’è ancora una cosa strana da dire prima di iniziare a raccontare: i pagliai più comuni erano pagliai di fieno non di paglia. Il fieno non è altro che erba tagliata in un campo che viene lasciata seccare e rivoltata almeno una volta. Il fieno è la polpa della pera gigante, la cosa sottile di cui è fatto il pagliaio. La sua sostanza. Esistevano anche pagliai di paglia e di strame, che venivano fatti con quello che restava nel campo dopo la trebbiatura. Ma la nostra storia, la storia dell’uomo che faceva pagliai, è una storia di pagliai di fieno e basta.
L’uomo che faceva pagliai si chiama Saturni Francesco, è nato a Castellaro nel 1903. Castellaro è un piccolo paese del comune di Vetto. Francesco però ha vissuto per quasi tutta la vita in un posto che si chiamava Al Bui, Casa di Buio, in una casa che si chiamava la Casa Rossa. È un posto isolato in mezzo ai boschi e tra le campagne.
Sopra al Buio c’è un altro piccolo paese che si chiama Roncolo e più oltre Maiola. Se guardi verso Castelnovo puoi vedere anche altri paesi come Ferniola e Montecastagneto. Qualche volta, se sei davvero fortunato ti appare anche la Pietra, ma molto lontano.
Vicino al Buio ci scorre un ruscello che si chiama torrente Maillo e intorno c’è un prato a distesa e a fare da confine una linea curva di pioppi svettanti. Oltre i pioppi ci sono rocce bianche fragili che ogni volta che le guardi pare si rompano facendo un rumore che puoi confondere con quello dell’acqua, del vento. Anche.
Qui si trova la Casa Rossa e nella Casa Rossa Saturni Francesco, l’uomo che faceva pagliai. Francesco aveva anche una moglie e un figlio, Mario. C’era stato un periodo che avevano anche quattro mucche, ma lo stesso facevano una vita grama. Il figlio si ricorda che da giovane lavorava da muratore a Trinità e tutti i giorni c’andava con una vecchia moto e poi si ricorda anche quando con il bidone sulle spalle portava il latte delle mucche a piedi fino al Mulino Rosati.
Verso il 1957 il figlio cercò di convincere Francesco a fare un sacrificio: vendere tutto e con qualche debito comprarsi un podere in pianura e venire via da quella miseria. Ma non ci fu verso, Francesco continuava a fare pagliai: col forcone buttava su il fieno e poi fischiava e comandava al suo pastore tedesco di salire sopra il mucchio e pestare il fieno e dargli la forma che deve avere un pagliaio.
La forma di una pera gigante.
Poi arrivarono le macchine per fare le rotoballe. E anche lì il figlio cercò di convincere il padre: “devi farle anche tu, se vuoi continuare a vendere il fieno, quello dei pagliai è troppo brigoso!” Ma Francesco non ne voleva sapere e diceva soltanto: “ma un fieno così bello e così buono, come mai non lo vuole nessuno?”
Poi il figlio si trasferì a lavorare a San Polo e infine giorno di San Biagio del 1977 la moglie morì. Da quel momento inizia la vita solitaria dell’uomo che faceva i pagliai. Francesco andava una volta alla settimana a Castelnovo, a prendere una sacchella di pane e qualche bottiglia di Sassolino. Ogni tanto capitava che andasse a Ferniola, dalla famiglia Bacci, a vedere la televisione. Non era mai stato al cinema e neanche al ristorante, solo qualche volta quando era già vecchio andava a mangiare al ristorante Garofani di Rosano con il figlio Mario. Il resto del tempo lo passava a lavorare e ogni cosa la faceva lui dall’inizio alla fine.
Faceva il vino, allevava galline e conigli.
E faceva i pagliai.
Aveva anche una radio ma non aveva tempo per ascoltarla. Così l’ascoltava soltanto in inverno. In inverno leggeva anche la posta e i giornali. Tutto in una volta perché gli altri giorni non c’era tempo per leggere. Così anche le notizie dal mondo gli arrivavano in ritardo e molto rallentate. Un po’ come il torrente Maillo vicino a casa, quando gelava.
Alla Casa Rossa non è mai arrivata una rotoballa. Solo pagliai di fieno. Fatti a mano, dall’inizio alla fine. Pagliai col picciolo e i pendenti. Come devono essere. Q ualcuno una volta chiese a Francesco come mai non aveva messo il telefono in casa, per parlare con il figlio ad esempio. E Francesco rispondeva che lui non lo sapeva fare il telefono e allora se non lo sapeva fare non lo voleva il telefono a casa sua.
- Se una cosa non la so fare cosa me ne faccio? Diceva.
Il figlio Mario era preoccupato che vivesse in un posto così isolato e tutte le volte che aveva un attimo di tempo andava al Buio a parlare con suo padre e cercare di convincere l’uomo che faceva pagliai ad andare a vivere con lui a San Polo. Una volta mandò perfino i carabinieri a cercare di convincerlo, ma lui continuava a dire: “Io rimango qui.”
Mario allora aveva chiesto a una sua cugina che abitava non troppo lontano da Francesco che ogni due giorni passasse a dare un’occhiata per vedere che tutto fosse a posto e che lui stesse bene.
Poi un giorno del 1991 la donna fa un giro e fuori non vede nessuno e allora si avvicina e guarda dalle finestre e vede dentro un’ombra barcollante e chiama il figlio che si precipita anche grazie all’aiuto di due giovani che facevano il motocross da quelle parti e che avvertono la Croce Rossa (è strano come proprio loro, quelli del motocross che Francesco non poteva soffrire quando passavano da casa sua, l’hanno aiutato in questo frangente). Provano a far venire l’elicottero ma non ci sono le condizioni giuste per via del vuoto d’aria della valle. Allora trovano un contadino di Roncolo, un certo Zampineti, che lavorava nei campi attorno con il trattore e su quello lo caricano e portano via Francesco.
Francesco, l’uomo che faceva i pagliai, muore nella casa di riposo di San Polo, cinque anni dopo, nel 1996.
Aveva 93 anni.
(racconto scritto con la collaborazione di Ermanno Beretti, tratto da una storia vera e narrato con la voce di Mara Redeghieri nel cortometraggio "L'uomo che faceva pagliai")
Ha voluto fare la sua vita finchè ha potuto e così, finchè ha potuto, è stato felice.
(Graziella Salterini)