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“Parchi? In val di Vara non ne abbiamo e stiamo benissimo senza”

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E’ più facile ascoltare opinioni concilianti. O se non concilianti comunque tese al maggior numero di condivisioni e aperte a parecchie possibilità. O se non aperte a più possibilità soggette comunque, al caso, a virate ad U senza troppi problemi (tanto tutti si scordano tutto nel giro di una settimana…). Raramente capita di sentire posizioni nette e non interpretabili. E’ stato il caso, qualche sera fa, durante un convegno proposto da “Impresa montagna” a Castelnovo ne’ Monti, di don Sandro Lagomarsini, sacerdote che presta il proprio apostolato sui rilievi spezzini. Più precisamente, nella val di Vara, che è una delle più estese, se non la maggiore in assoluto, delle valli dell’entroterra di tutta la Liguria.

“Nella nostra valle non ci sono parchi e noi stiamo benissimo senza”, ha insomma affermato don Sandro. Non si è parlato di parchi nostrani, ma forse a qualcuno saranno ronzate le orecchie. L’occasione era un convegno organizzato da “Impresa montagna” e tenutosi a Castelnovo ne’ Monti nei giorni scorsi. Titolo era: “La montagna ha bisogno del prete, l’Europa ha bisogno della montagna”. Diversi i relatori presenti (oltre a don Lagomarsini, Kees De Roest, del Crpa di Reggio Emilia, Carla Cavallini, dell’ufficio dell’Unione europea per l’Emilia-Romagna, e don Filippo Capotorto, parroco del nostro Appennino), moderati, nella sala consiliare castelnovese, da Alberto Simonazzi. Le varie competenze hanno cercato di tratteggiare, con dati alla mano, le trasformazioni avvenute nella montagna negli ultimi decenni, con un occhio all’intervento pubblico. A quest’ultimo proposito è stato ad esempio sottolineato che “l’eccessivo intervento di carattere finanziario è controproducente, perché porta assistenzialismo”. Il futuro dell’agricoltura in montagna? “Sì, a patto che si diversifichi, la monocoltura è un danno. Sì a prospettive per la sua prosecuzione da parte dei giovani”.

Don Filippo Capotorto si è soffermato sull’opera svolta a favore della montagna e della vitalità in senso lato delle nostre campagne da don Mario Prandi, parroco a Fontanaluccia, sull’Appennino modenese che guarda la zona di Gazzano, per circa mezzo secolo, dalla fine degli scorsi anni ’30 fin circa alla metà degli anni ’80. “Come essere chiesa in quel luogo?”, era la domanda che si era posto don Mario. Da lì nacquero le case della carità, “non case di riposo – precisa don Filippo – ma luoghi di culto”. Poi il sacerdote ha posto l’accento sulla necessità di individuare la propria identità: “Una sfida posta dal Vangelo”. La comunità deve tornare ad assumersi responsabilità. Quella cristiana, in particolare, di quale sfida deve farsi carico? “Non vogliamo la quantità, bensì la qualità del nostro singolo essere”. Don Filippo ha sostenuto poi come occorra “fare lo sforzo di pensare in grande”, mentre in Appennino “siamo pochi e spesso chiusi”. E così diviene quasi una conseguenza constatare che “la montagna non interessa ai partiti perché siamo pochi e a loro interessano invece i numeri”.

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  1. I preti in montagna sono “animatori civili”
    Non ho partecipato al convegno organizzato da Impresa montagna e quindi non posso intervenire nel dibattito, ma, partendo dal titolo “La montagna ha bisogno del prete, l’Europa ha bisogno della montagna”, vorrei fare alcune riflessioni. Premetto che in questo caso userò “montagna” per intendere “crinale”, ovvero quella parte dell’Appennino in cui le emergenze demografica e sociale è ben lontana dall’essere risolta. La prima parte del titolo è ovvia per qualsiasi credente, molto meno per me che non lo sono. Eppure il vivere in montagna mi ha convinto che è proprio vero: la funzione del prete è importantissima per le comunità del nostro Appennino. Lascio ad altri la valutazione sul piano della promozione e della pratica della religione, che potrei definire per un prete essere “funzioni istituzionali”. Voglio invece citare le funzioni non istituzionali, che chiamerei “civili”. Molti preti dei nostri paesi sono animatori presenti e continuativi, instancabili, veri motori della comunità. Organizzano le attività socializzanti per bambini e regazzi che spesso vivono a chilometri uno dall’altro, passano a visitare gli anziani soli ed i malati negli ospedali portando sempre parole di conforto, partecipano al dibattito sul futuro della montagna, si informano ed informano. Ognuno di essi ormai presidia 4-5 parrocchie ma non per questo si dimentica qualcuno, conosce tutti, con tutti si rapporta e si confronta. Tanto per fare nomi una di queste figure è Don Giuseppe Gobetti, parroco delle parrocchie Val Dolo e Val d’Asta, che a quello che ho detto sopra aggiunge l’andare a governare nella stalla della Cooperativa agricola di Cervarolo. Lui, come don Filippo Capotorto che qui tutti ricordano con grande stima e che sta facendo altrettanto bene nel ligonchiese, appartiene proprio alle “case della carità” fondate da don Mario Prandi. Don Prandi ha lasciato un’eredità preziosa, soprattutto a Fontanaluccia dove ancora funzionano bene realtà e strutture fondate negli anni ’50 e ’60, ma anche a tutti gli altri paesi della vallata, reggiani e modenesi. Che “l’Europa abbia bisogno della montagna” è altrettanto vero, anche se può sembrare arduo il nesso tra le due parti del titolo. L’affermazione che non interessiamo ai partiti perchè siamo pochi può essere una constatazione riferita all’attuale fase politica, ma non è un assioma immutabile. In Europa ci possiamo stare con i nostri bravi preti che prestano “servizio civile” ma dobbiamo progredire con le scelte della politica democratica, che si sostanziano con la partecipazione diretta ed il principio di rappresentanza. Con questi presupposti l’opera di Don Prandi è stata parallela, in montagna (anche se naturalmente sempre più tardi che altrove) alla costruzione delle strade, alle scuole ed alla scolarizzazione, all’ospedale ed al miglioramento della salute pubblica, alla socialità ed al sollievo per le categorie più sensibili, ecc. Risultati ottenuti dalla società civile, dai partiti che la rappresentavano, dalle associazioni che li tutelavano, dalle istituzioni che governavano. Parlarne non è passatismo o retorica, ora che tutto è più confuso, ma, se vediamo bene, anche meno drammaticamente legato alla nostra sopravvivenza. Il buon governo è piuttosto legato, invece, ad una competitività sociale che dobbiamo avere, come montanari, reggiani ed emiliani, proprio per stare in Europa che ha bisogno anche di noi.
    In ultimo un attestato di stima a tutti i preti (io ho ne citato solo due perchè ne ho conoscenza diretta) che in Appennino abbinano al loro ministero questo prezioso ruolo di animatori civili.

    (Sergio Fiorini)