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Lì è presente una delle più antiche Case della Carità italiane

Il Cardinale Zuppi visita la parrocchia di Fontalanuccia

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Il Cardinale Matteo Zuppi fa tappa sull’Appennino Tosco Emiliano.

Ne dà notizia la Gazzetta di Reggio nella sua edizione di ieri.

L’inviato speciale del Papa per la ricerca di una soluzione di pace per il conflitto in Ucraina, impegnatissimo in visite tra Mosca, Washington e Kiev, il 14 luglio ha comunque trovato il tempo di visitare la comunità di Fontanaluccia, una frazione di Frassinoro (nel Modenese), ma vicinissima a quella di Gazzano di Villa Minozzo e, per ‘proprietà transitiva’ anche alla Diocesi di Reggio e Sassuolo.

Il Cardinale Matteo Zuppi (Wikipedia)

Si tratta di una comunità tanto cara alla Chiesa Cattolica, in quanto, a Fontanaluccia nacque una delle prime Case della carità italiane. Il Cardinale Zuppi è stato accolto dalla comunità come “Portatore di Pace”, e il diretto interessato, si è intrattenuto nella chiesa parrocchiale dove, in modo rilassato, ha dialogato con il pubblico, folto, presente.

A Fontanaluccia, come detto, è nata una delle prime Case della Carità, in iItalia, era il 1941 ed è stata fondata dal reggiano Mario Prandi. Ora ve ne sono 43, 21 in Italia e 22 all’estero, di cui 15 in Madagascar, il ‘cuore’ a Reggio Emilia.

Tutte le parrocchie dovrebbero averne una. La prima che vidi fu a Roma, alla Magliana. Mi piacque moltissimo. La Chiesa sarebbe diversa se le parrocchie del mondo avessero una Casa della Carità”, ha chiosato Zuppi.

 

6 COMMENTS

    • Due precisazioni, a mio avviso doverose.
      La prima: l’Ospizio di Fontanaluccia non è “una delle prime Case della Carità”, ma la prima. Aperta nel 1941 da un prete mezzo matto, quattro suore quasi ventenni e i parrocchiani della Comunità. Fatta in.. casa.
      La seconda: mi sembra molto clericale cercare nelle gerarchie un fantomatico “loro” e imputare a queste i motivi di un insuccesso, che va invece ricercato a livello locale. Molto clericale e scaricabarile – mi spiace.
      I motivi della chiusura della CdC di Busana sono sotto gli occhi di tutti e squisitamente più contingenti. La Casa – anzitutto va precisato – è stata chiusa nel 2014. In quanto la congregazione si è ritirata, per mancanza di suore, come ha fatto da Cella e da Castellarano. Il periodo successivo la Casa è stata mantenuta viva dai due parroci, che non erano affatto tenuti. Segnalando la cosa al comune – non è assolutamente vero il contrario. Tra l’altro ciò è avvenuto ripetutamente, in più occasioni. E ho tutte le fonti interne per dirlo.
      Vengo quindi ai motivi più lamapanti: il primo è la carenza di suore. Le suore sono state ritirate da tre case a partire dal 2014: Cella, Busana e – mi pare – Castellarano. Che sono gestire – di fatto – dalle comunità parrocchiali. Le Case della Carità – tutte – si reggono sull’aiuto della parrocchia. A Castelnovo – Cagnola ci sono 150 volontari. Evidentemente a Busana non era così, vuoi per l’età media della popolazione, vuoi per altre ragioni che non sto a sindacare, da dopo il Covid si era dovuti ricorrere a personale stipendiato. Come anche in altre case.
      Quindi il secondo è proprio questo: carenza di volontari. Terzo: mancata intervento da parte del comune. Mi dispiace ripetermi, ma il comune non si è voluto prendere in carico la situazione, e gestirla privatamente. Né adesso, né in passato. Gli interventi letti anche su questo sito, da parte della autorità, sono a mio avviso imprecisi e parziali.
      Quindi la mia proposta, semplice semplice. Due ospiti della CdC di Busana sono stati trasferiti a Castelnovo – Cagnola. Gli altri in altre case. Invece di pretendere chissà che e menare il can per l’aia, vediamo di risolvere i problemi in loco. Proprio ieri sono stato a lavare e mettere a letto uno di questi – insieme ad altri due ospiti – con un altro volontario. Se c’è così tanto interesse verso questa realtà, perché qualcuno non viene a darci una mano? Aggiungo che ci sarebbe bisogno!
      Così è nata la Casa di Fontanaluccia: dalle risorse fisiche, materiali e spirituali di una comunità parrocchiale, non da ‘suore factotum’ o da interventi della Curia. Così – credo – debba andare avanti.

      mn

      • Firma - mn
  1. Dispiace leggere precisazioni relative alla Casa di Carità di Busana che sono “imprecise” e che non rendono giustizia ad una realtà sicuramente povera di risorse, ma che non merita giudizi tanto severi e “superbi”.
    Le suore non furono ritirate nel 2014. L’ annuncio del ritiro venne dato nel febbraio 2016 e a settembre, quando si festeggiò il quarantennale della Casa, erano ancora presenti e attive. Possiamo perciò datare la loro partenza al 2017. Per un anno ancora Maurizia e Tiziana, due laiche appartenenti alla congregazione, condussero la Casa. Conseguentemente i due sacerdoti “non tenuti” hanno mantenuto viva la Casa dal 2018 e li ringraziamo con tutto il cuore.
    Il personale stipendiato è stato presente sin dall’apertura della Casa: due o tre dipendenti hanno sempre affiancato le suore nello svolgimento delle varie mansioni e, negli anni, i volontari del Vicariato di Santa Maria Maddalena hanno supportato suore o parroci. Certamente non si è trattato di centocinquanta persone, ma coloro che hanno prestato il loro servizio, in modo continuativo, per brevi o lunghi periodi, lo hanno fatto con amore e dedizione ai poveri e ai piccoli.
    L’accusa di clericalismo appare fuori luogo perché la Casa non è solo assistenza materiale a persone in difficoltà: è presenza viva di Gesù, è casa di preghiera continua, è luogo eucaristico, è “palestra” di carità. La passata e l’attuale Amministrazione Comunale, gestendo la Casa “privatamente” avrebbero potuto e voluto garantire tutto questo?
    Quante volte è stato ripetuto che le Case della Carità non sono degli ospizi, dei ricoveri, ma con la gestione comunale questo sarebbe diventata. Attualmente il Comune ha erogato un contributo e sarebbe stato disponibile a investire ulteriori fondi perché la Casa, mantenendo autonomia e peculiarità, potesse rimanere aperta, in quanto segno essenziale per le comunità del Ventasso. Nessuno di Busana, Cervarezza, Cinquecerri, Ligonchio, Collagna, Ramiseto… voleva “suore factotum” o interventi della curia. La presenza di un consacrato ( a Castellarano in Casa vive l’ex parroco) avrebbe mantenuto vivo lo spirito della Casa, avrebbe aiutato i laici a camminare nella giusta direzione.
    Sul crinale, è vero, siamo pochi, vecchi, poveri di spirito, sfiduciati. Da maggio 2023 siamo ulteriormente impoveriti e abbandonati. Ora apprendiamo che è solo colpa nostra.

    Daniela Venturi e Paola Godini

    • Firma - Daniela Venturi e Paola Godini
  2. Ciao a tutti!
    Siamo don Giovanni e don Giuliano, i due parroci che hanno tenuto aperta la Casa di Busana, “non tenuti a farlo” (cito mn). Vorremmo mettere una pietra che chiuda alcuni voci che, non solo nello scritto di mn, abbiamo sentito anche in altre circostanze.
    Nessuno, ripetiamo: NESSUNO ha colpa della chiusura della Casa della Carità di Busana se non noi due sacerdoti che, dopo 5 anni di vita in essa, siamo arrivati a determinazione che fosse necessario toglierci dalla responsabilità della conduzione e gestione diretta in quanto, come preti diocesani parroci delle parrocchie di Ligonchio e Collagna già da 7 anni, eravamo “passibili” di trasferimento.
    La ricerca di altre persone che potessero portare avanti l’esperienza al nostro posto l’abbiamo fatta noi in collaborazione con altri stretti collaboratori, escludendo altri enti (es. il Comune, l’assistenza pubblica, ecc.) proprio per il fatto che la Casa ha uno “spirito” ecclesiale. Purtroppo, come ben si sa, la ricerca non ha avuto esiti positivi!
    Quindi: né Comune di Ventasso, né Curia di RE (Vescovo, Vicario), né i numeri piccoli di volontari, hanno la responsabilità di tale decisione che, ripeto, è tutta nostra.
    Confermiamo poi quanto detto da Daniela e Paola che:
    – il personale stipendiato era presente praticamente da sempre;
    – non si poteva pensare, anche solo per questioni burocratiche, che la Casa potesse essere “assorbita” da enti civili (cioè al di fuori dell’ambito ecclesiale, per es. il Comune o privati), proprio per il motivo di “uno spirito da custodire”. E ci teniamo a sottolineare: non perché al di fuori dello spirito ecclesiale non si possa fare bene! ma perché si farebbe qualcosa d’altro!
    Il signor mn ci trova assolutamente d’accordo nella conclusione del suo intervento: teniamo viva la vita di servizio/carità nelle nostre montagne!

    don Giovanni e don Giuliano

    • Firma - donGiovanniedonGiuliano
  3. Se mai sarò pubblicato, ringrazio delle precisazioni. Tutte doverose e – mi pare – fatte col cuore.
    Non sto a battere colpo su colpo. A nulla gioverebbe! Il mio intento era gettare un sasso nell’acqua perché qualcuno rispondesse,
    non iniziare polemiche sterili e controproducenti. A parte il mio quesito, giudicato “superbo”, che – purtroppo – resta aperto:
    chi viene a dare una mano? E assicuro che sarebbe non solo benvoluta ma arricchente e doverosa.
    Solo una precisazione sulla parola “clericale”. Spesso è intesa in opposizione ad “anticlericale” a sua volta visto come “anticristiano”.
    Il senso che ho dato e che non è stato per nulla colto è – invece – inteso in opposizione a quell’atteggiamento che vede
    nei religiosi e nei consacrati – leggasi preti, frati e suore – gli unici depositari della Verità e tenuti a dirigere una comunità di fedeli.
    Anche se nella prassi questo è vero, fa male leggere che “la presenza di un consacrato ( a Castellarano in Casa vive l’ex parroco)
    avrebbe mantenuto vivo lo spirito della Casa, avrebbe aiutato i laici a camminare nella giusta direzione”, come se la stragrande
    maggioranza del popolo di Dio, non dovesse gestirsi. Probabilmente è vero, ma – allora – a cosa serve magari ricevere il crocifisso da ausiliare, fare corsi di teologia, ricevere il sacramento del matrimonio o che so io.. parlare di sinodo o di maturità dei laici, se poi si aspetta sempre il prete?
    Mi taccio.

    mn

    • Firma - mn