(Sto parlando un’altra volta di orecchini, ma non sono gli stessi dell’altro racconto, sono un altro paio, vi dico questo in modo che non facciate confusione, questo è un racconto molto più triste).
Se ricordate la mamma aveva detto alla bimba:
“Li abbiamo comprati a tua sorella”.
La sorella grande che era andata a Scandiano per prendere il diploma di “taglio e cucito” dalla signora Giulia Maramotti. La bimba in quel momento vide gli orecchini, belli lucenti, con una pietra di colore verde, rettangolare che penzolavano spuntando da sotto una folta massa di capelli castani con riflessi dorati e ricci che ricadevano da tutte le parti. Fu solo per un attimo, poi presa dal racconto della mamma non ci pensò più.
Intanto era scoppiata la guerra una guerra stupida e sanguinaria, come del resto tutte le guerre. In quella gli Italiani non combattevano solo contro il nemico, ma si ammazzavano anche fra di loro vendicando vecchi rancori e in quella casa arrivarono giorni bui fatti di pianto e disperazione assoluta.
La bimba piccola, la chiameremo sempre così anche se ormai aveva raggiunto i sei anni, un’età che non ti lascerà mai scordare certe cose.
La sorella grande fu una vittima di quella stupida guerra, ma questo non ve lo racconterò per l’ennesima volta, l’ho già fatto parecchie volte.
Nell’estate del ’45 il papà riuscì ad avere il permesso di recuperare la salma della figlia nel cimitero di Ligonchio. Era partito la mattina presto coi due maschi più grandi su un carro tirato dal cavallo di Vittorio Monticini, ma guidato dalla moglie di lui. Lei era stata l’unica persona coraggiosa che aveva accettato quest’incarico, nessun uomo, avevano ancora molta paura di una ritorsione.
Sul carro sotto un panno da soldato stava una cassa funebre, l’avevano costruita loro con tutta la loro pazienza e il loro amore, Era di legno di ciliegio, nei fianchi Valdo il fratello maggiore aveva tirato fuori il vero artista che c’era in lui e da una parte aveva scolpito il viso della Madonna addolorata e dall’altra il viso di Cristo incoronato di spine, poi Nello aveva inchiodato sul coperchio un grosso Crocifisso d’ottone. Il papà l’aveva tutta imbottita di seta rosa, sembrava una culla, sotto l’imbottitura era pronto lo zinco che poi sarebbe stato saldato col coperchio, in modo che non ci sarebbe entrato dentro niente.
A un certo punto della giornata la mamma coi due più piccoli entrò nel cimitero, dove c’era già una fossa scavata, profonda con ai lati i due mucchi di terra che era stata tolta. Lei continuava a sgranare il rosario fra le dita e sbiaccicava con un filo di voce le Ave Marie, mentre dai suoi occhi continuavano a scendere lacrime silenziose.
Non era più la donna forte e fiera di un tempo, il viso affilato con quel naso dritto regolare, ma ancora più sottile, i vestiti le pendevano da tutte le parti era molto dimagrita e improvvisamente anche ingobbita, non sorrideva più da tanto tempo e col solito fazzoletto nero allacciato sulla nuca che invece di darle l’aria della “resdora” la rendeva ancora più triste.
Lì dentro erano solo loro tre, tra la gente circolava ancora il terrore, la paura, la bimba alzò gli occhi e vide dietro le sbarre del cancello il viso dello zio Vito dalla Macchiusa, l’ala del cappello molto bassa sulla fronte, ma non riusciva a coprirgli quei due rivoli di lacrime che gli scendevano sulle guance, ma fu un attimo quando la bimba rialzava gli occhi per la seconda volta, lui non c’era più.
Il carro tirato dal cavallo entrò nel cimitero, i fratelli grandi appoggiarono la cassa in terra, la mamma inginocchiata l’abbracciò, singhiozzando forte, mentre il maschio piccolo allora decenne si mise a urlare disperato “Ti vendicherò te lo giuro”.
La bimba piccola guardava quella bara e immaginava la sorella lì dentro a quella culla rosa così come la ricordava lei quando le aveva mandato l’ultimo sorriso quella sera là in Camorra, quando si erano lasciate. Non voleva e ancora non vuole immaginare cosa abbia trovato suo padre in quella tomba dopo un anno. La cassa era sigillata e restò così anche se la mamma disperata voleva vederla.
Intanto era arrivato l’arciprete che diede una benedizione affrettata alla salma e se ne andò subito senza una parola. Poi i famigliari proseguirono la sepoltura, allora la mamma come si risvegliasse, chiese:
“Gli orecchini li avete trovati?”
Certa che l’oro non si deteriorava sotto terra. Il papà fece cenno di no con la testa e lei guardò la bimba piccola con uno sguardo che diceva più delle parole, forse nella sua disperata pazzia aveva pensato di metterli a lei.
Il papà prima di ritornare da Ligonchio, si era recato a casa di un donna di lassù, qualcuno gli aveva detto che quando la ragazza era morta, lei si era sbrigata a portarle via gli scarponcini nuovi e gli orecchini. Ecco la bimba ricordava gli scarponi nuovi fatti a mano con sotto la suola di gomma e i lacci rossi che si incrociavano negli occhielli, allora avere un paio di scarponcini così sarebbe come ora un paio di scarpe da ginnastica della miglior marca. Ricordava che glieli guardava mentre lei se la trascinava dietro per un sentiero ripido in Camorra quando i partigiani l’avevano fatta prigioniera coi due fratellini piccoli che erano con lei.
Gli orecchini poi li aveva ben impressi nella mente, gialli che luccicavano e la pietra verde che penzolava dal lobo dell’orecchio.
Il papà si era presentato alla porta di quella casa, disse che se li avesse riavuti, glieli avrebbe pagati la cifra che lei voleva, ma anche lei (come anni prima Oliviero) rispose che non li aveva più, non li trovava più da tanto tempo, forse li aveva persi o glieli avevano rubati e urlandogli di andarsene, gli sbatteva la porta in faccia.
Questa è la triste storia degli orecchini di casa mia, ma state sicuri, certamente i miei non me li porterà via nessuno.
Elda Zannini