Riceviamo e pubblichiamo
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Nei giorni scorsi la saga ormai centenaria della diga di Vetto si è arricchita di un nuovo capitolo. Nulla di nuovo, per il vero, visto che sono alcuni anni che si aspettano finanziamenti per uno studio di fattibilità tecnico economica(?): prima 5 milioni, poi 3,5 alla fine sono 3,2, un po’ meno, ma, niente paura, la differenza, di 300.000 € la metterà la Regione. Soldi ovviamente pubblici, cioè dei contribuenti tutti, per finanziare non la diga come strombazzato a gran voce dai parlamentari e consiglieri regionali della Lega e dall’assessore Mammi, ma per finanziare uno studio, per capire se, come e dove fare una dighetta o una digona.
La cosa è tragicomica e si sta per trasformare in farsa, soprattutto leggendo i commenti dei nostri decisori, “qualche invaso si dovrà fare, ma dobbiamo studiare cosa serve…” Ora non sappiamo se solo a noi pare di essere su scherzi a parte, visto il livello di approssimazione di certa politica e di certi amministratori rispetto ad un tema serio come quello della siccità e dei cambiamenti climatici di cui oggi tocchiamo con mano gli effetti concreti: c’è da rimanere allibiti da tanta superficialità.
Frastornati dalla gran cassa propagandista che ha accompagnato la notizia, ci chiediamo se quei fondi, così generosamente stanziati dal leghista ministeriale, sono soldi che serviranno davvero anche a studiare altro e cioè se e come fare interventi per dare, da subito, risorse idriche e sollievo al mondo agricolo o, come molti già preconizzano, saranno finalizzati a studiare la grande opera e basta, in ossequio ad una politica semplificatoria e affaristica in voga negli ultimi tempi un po’ in tutto il bel paese?
Purtroppo, dopo anni di colpevole inerzia da parte delle amministrazioni pubbliche, provincia, comuni e Regione, si accorgono solo ora della gravità della situazione, quando è scoppiata l’emergenza. Ma questo paese ormai ci ha abituato a questo andazzo: vengono spesi pacchi di soldi in piani, programmi, strumenti di programmazione, che poi sono puntualmente disattesi o tenuti nel cassetto; la cosa grave è che mai nessuno è o sarà responsabile di nulla.
Raffreddati gli entusiasmi dovuti alla smania di annuncite, possiamo provare timidamente a chiedere all’assessore Mammi, non già la recita di un compitino scritto, ma quale sarà nei prossimi mesi la strategia della Regione per affrontare seriamente, oggi e non fra qualche lustro, il problema della scarsità idrica in particolare in Val d’Enza?
A tal riguardo umilmente chiediamo a lui e a chi di dovere se sono finanziati progetti per trattenere l’acqua nelle ex cave a lato del torrente, al fine di creare in brevissimo tempo, una serie di laghetti e di invasi, sfruttando in positivo, le profonde depressioni che l’attività cavatoria ci ha lasciato? Chi sta facendo opera di coordinamento per raggiungere questo obiettivo? Chi sta interloquendo con i comuni della Val d’Enza, affinché sia loro indicata la vera priorità di quel territorio e cioè la creazione delle condizioni per trattenere l’acqua nelle ex cave, avviando quei luoghi allo scopo cui anche un bambino consiglierebbe di destinarli?
Chi spiegherà finalmente ai comuni di quel territorio che è necessario imporre ai cavatori opere di ripristino delle cave esaurite che siano finalizzate al recupero e allo stoccaggio di acqua e non ad altro? Questa è la priorità per i quei territori e non già la realizzazione di semplicistiche sistemazioni dei luoghi estrattivi ad improbabili boschetti o ancor più immaginandovi la realizzazione di mega impianti fotovoltaici, ormai solo occasione per lucrose speculazioni di tipo energetico?
Chiediamo ancora, sono disponibili fondi per avviare, su larga scala, progetti di ricarica delle falde in Val d’Enza sull’esempio della Val Marecchia, falde che sappiamo essere in sofferenza e la cui ricarica servirebbe a rifornire di acqua il più grande bacino idrico esistente, cioè quello delle acque sotterranee?
A che punto siamo con la possibilità di utilizzare la cassa di espansione di Montecchio, manufatto che potrebbe stoccare addirittura una decina di milioni di metri cubi e che potrebbe essere destinato anche alle funzioni di riserva idrica estiva? E non si venga a dire che non è possibile destinarlo, per la sola estate, a bacino idrico di stoccaggio al servizio delle coltivazioni agricole della media Val d’Enza dei territori reggiani e parmensi, anche perché è già stata usato a questo scopo, in modo artigianale, nell’estate del 2022. Quindi si tratta di aggiornare e razionalizzare le metodiche di utilizzo e di sistemarlo a tale scopo in modo permanente.
Perché non vorremmo che si continuasse a vendere fumo e nel frattempo l’arrosto brucia.
Saremmo curiosi, ma crediamo, purtroppo, di sentire già un vago odore di bruciato.
Duilio Cangiari, Europa Verde Reggio Emilia
Concordo l’analisi di Cangiari, le priorità sono di evitare la diga ed andare su soluzioni smart. Basta grandi opere impattanti, non è slogan ma la lucida considerazione di cambiare marcia all’idea di sviluppo. Il riutilizzo di territori sfruttati ed abbandonati a sé stessi, nonostante che madre natura, lentamente, se ne riappropria, prende due piccioni con una sola fava. È questo che dobbiamo auspicare.
Manzini Lorenzo
Un vero peccato che nessuno dei tanti fan della diga di vetto ammaliati dalle promesse dei Franzini & c prenda atto delle proposte serie, concrete e facilmente realizzabili in tempi brevi dei tanto vituperati ambientalisti.
AG
Partendo dai soldi, cioè delle risorse impiegabili per dare attuazione alle opere, qui si parla di “fondi così generosamente stanziati dal leghista ministeriale”, ma in altro recente articolo di Redacon (dal titolo: L’invaso dell’Enza dovrà portare vantaggi anche alla montagna) c’è chi afferma invece che questo finanziamento “era già stato assegnato circa un anno fa dal governo e finalmente sembra essersi sbloccato”, il che starebbe a dire che Il Governo attualmente in carica non ha fatto altro che onorare l’impegno preso da quello precedente (il che mi pare essere azione corretta).
E proprio il precedente Governo (visto che un progetto già c’era, conosciuto come Progetto Marcello, il quale richiedeva verosimilmente di essere soltanto aggiornato) anziché appoggiare l’idea dello studio preliminare di fattibilità, poteva destinare diversamente la quasi totalità della somma dedicata a tale studio – una volta detratta la quota per l’aggiornamento – indirizzandola sulle cosiddette opere minori, vedi giustappunto il recupero delle ex-cave, mentre questi interventi sono di fatto “rimasti al palo”, se anche oggi si sta parlando della loro realizzazione.
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L’impressione è che vi sia un versante politico da sempre coerentemente a favore della Diga vettese, condivisibile o meno che sia tale sua posizione, mentre l’altro versante sembra essere passato dal granitico NO ad un sommesso NI, sommesso perché tuttora abbastanza dubbioso e titubante, posto che ogni decisione in proposito è rimandata, perlomeno fino all’esito dello studio di fattibilità, e nel frattempo abbiamo assistito ad una sostanziale inerzia da parte dei decisori politici locali salvo accorgersi “solo ora della gravità della situazione, quando è scoppiata l’emergenza” (mutuando le parole qui impiegate).
Ho nel contempo una seconda percezione, ossia quella che, facendosi più concreta l’ipotesi che possa realizzarsi la Diga vettese, i suoi oppositori stiano intensificando la loro “protesta” caldeggiando soluzioni alternative, quali il ricorso alle ex cave, “al fine di creare in brevissimo tempo, una serie di laghetti e di invasi”, il che porta a chiedersi perché mai in tutti questi anni non abbiano sollecitato in tal senso, e con assiduità, i decisori politici locali (in tal modo avremmo già sperimentato la capacità di stoccaggio delle ex cave, ecc …, sapendo così sin da ora in quale misura possano sostituirsi alla Diga).
P.B. 20.03.2023
P.B.