Fra un mese e l’altro mando sempre un racconto per tenere compagnia ai miei numerosi lettori, questa è una cosa che io e mio fratello ci siamo sempre tenuta dentro, ma oggi ve la voglio raccontare. Eravamo nel periodo del dopoguerra, poco prima del due giugno 1946, quando furono fatte le prime elezioni. Tante famiglie venivano indottrinate, chi dalla D.C, chi dal P.C. Naturalmente anche i bambini che andavano a pascolare e a giocare su per “i campdin”, che erano radure in mezzo alla boscaglia, con verde erba fresca per le poche pecore o capre, erano presi da queste elezioni, ne sentivano parlare molto in casa.
Ora mi direte, ma cosa c’entra tutto questo col titolo? Ora ve lo racconto, dal momento che questa parola corre spesso fra i banchi di scuola, esisteva anche in passato, ma noi la chiamavamo prepotenza e non avveniva a scuola, perché allora era ancora permesso ai maestri, di usare il righello picchiando sodo sulle mani o sulla schiena, specialmente dei maschi troppo esuberanti e tirare le orecchie fino a farle diventare paonazze, però succedeva fuori.
In quel periodo mio fratello Nilo, andava tutte le mattine alla Pieve a fare il chierichetto durante la messa giornaliera. Un giorno che stavamo pascolando la nostra unica capra, un amico più grande di lui, nel 46 mio fratello non aveva compiuto ancora dodici anni, quell’altro poco più forse quattordici. Un giorno lo prende per il coppino e brutalmente gli chiede:
“Dove sei stato tu stamattina?”
Lui rispondeva che era stato a servire messa. Quest’altro, naturalmente non faccio nomi, anche perché purtroppo se n’è andato parecchi anni fa, ripeteva con insistenza e un cipiglio che non ammetteva repliche:
“Dove sei stato, brutto bigottone di m…?”
Mio fratello ripeteva:
“A servire messa ci vado tutte le mattina”.
Quest’altro si gira, fa la pipì in una vecchia gavetta, prende mio fratello e gli lava il viso con quella e tutti se la ridevano e lui spavaldo:
“Fra qualche giorno vedrai che non ci andrai più”.
Mi sentii profondamente umiliata, mi prese una gran rabbia, mi girai a testa bassa, mentre grossi lacrimoni mi solcavano il naso confondendosi col moccolo, presi la capra e ci avviammo verso casa e io in cuor mio pensavo a come fargliela pagare. Ci fermammo al “Fontanone” dove Nilo si lavò la faccia ancora tutta arrossata e mi fece promettere solennemente, di non dirlo alla mamma, nella sua grande bontà lui voleva salvare l’altro o forse più maturo di me voleva “salvare” la mamma.
Io però non ero come lui, perciò venni meno alla promessa, la mamma ci guardò, povera donna era già stata molto provata dalla morte di mia sorella, ma usando la sua grande intelligenza smontò subito la mia idea di vendetta e disse:
“Bambini miei, girate al largo da certa marmaglia, sotto la Pietra c’è spazio per tutti, cambiate posto non andate più lì”.
Poi guardandoci severamente aggiunse:
“Guai a voi se lo raccontate in giro, dovete tacere, se lo scoprono i vostri fratelli, vanno lassù e succede un pandemonio”.
Però da quel momento non ci lasciò più pascolare da soli, lei veniva con noi.
Cambiammo anche settore andando verso la Macchiusa, dove c’erano bambini intelligenti, oppure a Cà di Patino nel bosco dello zio Vito, dove a loro non era permesso andare. Dopo qualche mese mio fratello entrava in Seminario e io la capra la pascolavo in compagnia della mamma, che si portava dietro una sporta di indumenti logori da aggiustare, così non perdeva tempo e io cominciai a fare la mia prima “scapinella” la soletta per le calze completa usando i quattro ferri, fino allora ne avevo usato solo due, facevo solo la parte iniziale, quella che passava sotto la pianta del piede. Il resto lo terminava sempre lei e io guardavo incantata le sue mani piccole con le dita affusolate, nate per il ricamo, ma allo stesso tempo diventate forti facendo lavori pesanti per far crescere dignitosamente i suoi figli, che muovevano velocemente quei quattro ferri per finire il lavoro lasciato da me incompleto. La mamma dopo quell’episodio assolutamente non mi lasciò mai portare al pascolo la capra da sola.
Come vedete, alle volte basta solo parlare, confidarsi coi genitori loro se useranno la loro intelligenza, troveranno una soluzione ai vostri problemi.
Voglio poi anche dirvi, che quel ragazzino “bullo” crescendo diventò un gran lavoratore, buon marito e buon padre di famiglia, ogni volta che m’incontrava mi salutava cortesemente, ma non riusciva a guardarmi in faccia o forse io non glielo permettevo, oppure gli ricordavo una brutta azione fatta nel passato.
Voi giovani genitori non coinvolgete mai i vostri bambini nelle faccende che riguardano solo i grandi, imparate ad ascoltarli e lasciateli crescere nella loro innocenza, noi abbiamo molto da imparare da loro.
Elda Zannini