Come ogni anno, la scuola di scrittura apre i battenti al pubblico per la presentazione delle opere dei docenti. Questa sera alle 21 nell'ex chiesa del castello, sarà Paolo Nori a leggere alcune pagine del suo romanzo più recente, I malcontenti, e a rispondere alle provocazioni del direttore della scuola Emanuele Ferrari. Domattina alle 10 invece lezione di Paolo Nori "Le cose non sono le cose: appunti per un’autobiografia" per i corsisti e a iscrizione. E' prevista infatti anche l'iscrizione alla sola giornata di sabato comprendente il pomeriggio con Giuseppe De Santis.
Ecco il programma dell'intera giornata
Sabato 28 agosto
Ore 10: Le cose non sono le cose: appunti per un’autobiografia con Paolo Nori
Ore 12: l’ora dell’aperitivo
Ore 15.30: Abitare le parole per abitare il mondo, una lezione-conversazione un po’ suonata, un po’ parlata, un po’ cantata. Con Giuseppe De Santis
Maggiori informazioni su www.castellodisarzano.it
Paolo Nori, I malcontenti
La storia di un amore che frana raccontata da un vicino di casa.
La storia di una generazione viva e irrisolta.
La storia di un festival meraviglioso e impossibile: il festival dei Malcontenti.
Ecco come Paolo Nori presenta ai lettori suo ultimo romanzo.
* * *
La scena centrale di un film di Lubitsch è una scena in cui il protagonista maschile, innamorato di una donna che ha conosciuto negli Stati Uniti e che è misteriosamente scomparsa, rifugiatosi a Londra, invitato a pranzo da un membro del suo club, scopre che la moglie del suo amico è la donna di cui lui è innamorato.
Questo pranzo viene raccontato da Lubitsch senza riprendere i protagonisti e senza riprendere nemmeno la sala da pranzo: viene raccontato dalla cucina, attraverso i commenti di cuoco, cameriere e maggiordomo sullo stato in cui le varie pietanze rientrano dalla sala da pranzo, e il racconto è perfettamente esaustivo e lo spettatore ha l'impressione di essere davanti a un triplo salto mortale molto ben eseguito. Ecco, intanto che scrivevo i Malcontenti mi è venuto da pensare che io stavo provando a fare, si parva licet, come si dice, una cosa del genere.
La storia principale che si racconta nei Malcontenti è la storia della relazione tra due ragazzi poco meno che trentenni, che appena usciti dall'università e dallo spaesamento post universitario provano a entrare, come si dice, nel mondo, e provano a farlo senza fare saltare per aria la loro relazione, ed è la storia di come questa relazione poi alla fine salta per aria quando i due si mettono a lavorare insieme a un festival che si chiama il Festival dei malcontenti.
Questa storia viene raccontata da uno che abita sotto di loro, che di quella relazione, di quell'entrata nel mondo e di quell'esplosione vede in un certo senso solo i riflessi, i raggi che partono da quell'appartamento e che arrivano fino a lui in forma di suoni, rumori, umori, confessioni, reticenze e richieste d'aiuto.
E si realizza, nell'io narrante, una disposizione all'ascolto che fa sì che, come in quel pranzo di Lubitsch dei dettagli che sarebbero in generale insignificanti, degli avanzi, in sostanza, meritano un primo piano e sono strumenti che servono per raccontare una cosa che non si vede, allo stesso modo in questo romanzo una finestra rotta, una giacca salmone, un ragazzo che aspetta alla fermata dell'autobus e ricorda un po' il protagonista di Esercizi di stile di Queneau, sono alcuni degli strumenti che servono al narratore per provare a ricostruire quel che succede nell'appartamento sopra al suo.
Intorno a questa vicenda si muovono, nel libro, diverse altre cose, e una di quelle che mi piace sottolinare è quella della quale si parla in queto passo del libro:
«Non sapevo in che modo c'entrava, ma mi veniva in mente una piccola città, vicino lì a Baden-Baden, una città di 163.000 abitanti, completamente pianeggiante, che si girava, in bicicletta, da parte a parte in venti minuti. Ecco, in questa città, avevo detto, l'amministrazione comunale, avevan visto che eran stanziati dei fondi per le metropolitane, avevan deciso di farci una metropolitana.
A me, avevo detto, queste cose qua facevano venire in mente il personaggio del Candido di Voltaire, Pangloss, che pensava che il mondo in cui viveva fosse il migliore dei mondi possibili: i nasi erano fatti per portar degli occhiali, e infatti c'eran gli occhiali; le gambe erano fatte per essere imbragate, e infatti c'eran le braghe; le pietre erano fatte per fare i castelli, e infatti c'erano i castelli. E le cose non potevano essere altrimenti.
Il nostro mondo, più di due secoli dopo, a pensarci, era ancora di più il migliore dei mondi possibili, e le cose non potevano essere altrimenti.
Le metropolitane, avevo detto, eran fatte per usare i fondi per le metropolitane, e infatti c'erano i fondi per le metropolitane. Le università, avevo detto, erano fatte per far lavorare i professori, e infatti i professori lavoravano. Gli spettacoli teatrali erano fatti per far sopravvivere le compagnie teatrali, e infatti le compagnie teatrali sopravvivevano. I giornali erano fatti per fare stampare le pubblicità, e infatti stampavano le pubblicità. Il codice della strada era fatto per far dar delle multe, e infatti di multe ne davano un'esagerazione.
Le stalle erano fatte per ricevere i finanziamenti della comunità europea, e infatti c'erano i finanziamenti della comunità europea; dopo qualche anno erano distrutte per ricevere altri finanziamenti della comunità europea, e infatti c'erano altri finanziamenti della comunità europea. […]
C'era stato un signore, avevo detto, che quando era giovane pensava che le donne avessero i manici, come le pentole, e cercava di prenderle per quei manici, che non trovava. E era disperato».
Ecco, non sono sicuro, ma ho l'impressione che la principale tesi dell'io narrante, dentro i Malcontenti, sia che quelli che sono nati, in Italia, a partire dagli anni sessanta, abbiano ricevuto un mondo già fatto, preconfezionato, il migliore, tra l'altro, dei mondi possibili, e che quel che la società, se così si può dire, chiede loro, non è di contribuire al perfezionamento, né - non sia mai - al ribaltamento, di questo mondo, né a un qualsivoglia cambiamento di rotta, no. A quelli che sono nati, in Italia, dopo il 1960, secondo l'io narrante la società, e con lei la storia, in un certo senso, hanno chiesto soltanto di mettersi lì e non rompere troppo i maroni. E loro, bravissimi, si mettono lì e non rompono troppo i maroni, anche se non possono fare a meno di andare avanti e indietro, di tramagliare, si dice nel libro, scossi da periodiche esplosioni e delle continue implosioni e mossi non tanto dalla ricerca del segreto della felicità, felicità che, come ha detto una volta Gianni Celati, è un concetto americano, quanto, mi sembra, dal tentativo di capire la ragione di tanta disperazione.
(Paolo Nori)