"Un evento formidabile investe l’Appennino reggiano con la decisione del Ministero affari regionali di affidare a questa Area pilota (con altre due in Italia) il compito di sperimentare l’impostazione di una Green Community per applicare la transizione verde stabilita dal PNRR".
Così ci scrive Enrico Bussi dell' associazione Rurali Reggiani.
"La grande esperienza di Giampiero Lupatelli-CAIRE, consulente dell’Unione montana apprezzato dai dirigenti di Palazzo Chigi e dall’UNCEM-Unione Nazionale Comuni ed Enti Montani, ha permesso questa continuità con la Strategia Nazionale Aree Interne avviata nel periodo precedente con l’Area Pilota.Adesso lo scoppio della guerra rende ancor più importante l’obiettivo di valorizzare l’Appennino che copre il 40% del territorio provinciale abitato dall’8% di popolazione tra cui la piccola minoranza rimasta a vivere e a curare le zone periferiche. Lo svuotamento ha colpito molte valli soprattutto nel crinale subordinato al naturalismo astratto e in aggiunta occorre compensare i disastri compiuti attorno alle città, sprecando suolo prezioso dall’alta pianura fino alla bassa".
Per Bussi 'La Montagna del latte' ha davanti la sfida di rendere nello stesso tempo più equilibrata e meglio valorizzata la produzione lattiero-casearia poiché la pecora nostrana pascola sempre meno mentre aumenta il pecorino portato dalla Toscana e nello stesso tempo la vacca consuma più mangime e fieno di pianura come l’altro latte che sale ai caseifici.
Dunque, secondo Bussi, bisogna distinguere il Parmigiano Reggiano dell’Appennino reggiano, ignoto al consumatore nelle zone lontane dove viene spedito dopo essere stato coperto con l’immagine di chi lo confeziona in piccole porzioni, o grattugiato e mescolato con qualsiasi grana. Ci sono da recuperare campi incolti a causa di macchine grosse rese necessarie dal trasporto tra luoghi di lavoro sempre più distanti poiché viene applicato il contributo pubblico alle superfici in una maniera che ostacola il riordino fondiario. Lo stesso accade per il bosco in abbandono fino alla media montagna essendo condizionato dal frazionamento e va superato promuovendo, come in altre regioni, l’associazione fondiaria. Serve ad agevolare l’impresa forestale nel togliere piante vecchie, morte, infestanti utilizzabili col cippato per risparmiare fonti fossili e far crescere piante che assorbono CO2. Va impostata la transizione verde evitando di aggiungere nel capoluogo un apparato per vendere certificati verdi alle industrie che continuano a inquinare la valle padana.
"Il nostro Paese è in coda nell’Ue a causa dell’eccesso di burocrati, controllori e scarsità di addetti alle attività produttive - afferma l'esponente dell'associazione Rurali Reggiani - qui da noi si è svuotato in particolare il crinale dove rimangono attivi consorzi, imprese forestali e proprio in questa fase si può evitare la loro penalizzazione. Infatti, mentre la Ministra Gelmini radunava i tre Presidenti delle Regioni interessate sperimentare le Green Communities, il Ministero per le politiche agricole alimentari e forestali presentava insieme all’UNCEM la Strategia Nazionale Foreste dove con chiarezza si mette in evidenza che non ha senso trasportare il cippato dell’Appennino reggiano a una centrale termoelettrica del ferrarese. Le perdite per trasporti e trasformazioni in elettricità sono insostenibili, sempre più bisogna usare in loco l’energia termica che la pianta accumula dal sole e su questo tema nel nostro Appennino restano criteri sbagliati da smaltire".
Bussi conclude affermando che sull’applicazione del PNRR nell’Area pilota sono in corso gli annunci, ne seguiranno altri dopo quello del 7 aprile a Castelnovo con l’intervento di Giuseppe Provenzano vice segretario del PD e per il 13 maggio è previsto a Marola, o a Carpineti, un convegno di studi col presidente ISTAT Gian Carlo Blangiardo promosso dall’Istituto Toniolo per affrontare con progetti mirati il calo demografico. Il PNRR chiede a istituzioni ed esperti di impostare interventi ad ampio raggio su risorse umane e materiali, dunque bisogna avviare una collaborazione nuova tra chi opera sull’intero territorio. Comuni, Consorzio di Bonifica, Diocesi e organizzazioni debbono affrontare l’obiettivo di utilizzare meglio i dati, le innovazioni e la formazione adatta a preparare il poco apprezzato saper fare, poiché la competenza pratica va curata senza aspettare che si riveli indispensabile quand’è sparita.
Sul piano concettuale, trovo ragionevole e condivisibile l’idea di “gestire” sul posto le produzioni e materie prime locali – o quantomeno verificare e promuovere le condizioni perché ciò possa avvenire – alla pari dell’idea volta a “recuperare i campi incolti” e di quella tesa a rivitalizzare i boschi facendo “crescere piante che assorbono CO2”.
Il legnatico è stato a lungo una importante risorsa del territorio montano, e ancora lo può essere, nell’ambito delle cosiddette energie rinnovabili, e dovrebbe rientrarvi lo stesso cippato quale elemento della filiera – che qui sarebbe fra l’altro del tipo “corto”, oggi piuttosto apprezzato – ma ci sono nondimeno da considerare taluni precedenti.
L’argomento, infatti, era già stato affrontato nel 2010, e si è poi riproposto in anni più recenti, con posizioni abbastanza articolate, e sarebbe quindi interessante vedere se le posizioni di allora si sono mantenute tali, o meno, e capire altresì come questa proposta si combini con quella, oggi in campo, di prolungare i tempi di taglio del bosco ceduo.
P.B. 07.04.2022