Riceviamo e pubblichiamo.
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Mi riferisco ai ripetuti episodi, denunciati sugli organi di informazione, di croci innalzate, abbattute e poi rialzate, con tanto di cerimonie pubbliche e con carattere quasi di ufficialità, in luoghi del nostro territorio in cui, durante l’ultima guerra, nel corso degli aspri combattimenti che precedettero la liberazione dal nazifascismo, furono uccisi soldati tedeschi o repubblichini da parte di formazioni partigiane.
Quale il vero scopo di questa operazione?
La questione, com’è evidente, si pone sullo scivoloso crinale tra pietà cristiana dovuta a tutti i defunti – di qualunque colore essi siano – e storia “non mai conclusa”, che si trascina fino all’attualità. Divenendo politica. Destinata ad alimentare il “fraseggio” polemico quotidiano tra parti avverse e forse a mescolare un po’ le carte in forma subdola, sfruttando appunto la commistione col simbolo religioso, usato mio parere in modo decisamente “tirato”.
Vediamo un po’. Dovrebbe essere assodato che qualcuno (Hitler) volle scatenare la guerra; che qualcun altro (Mussolini), nel momento in cui tutto al primo riusciva facile con vittorie militari a ripetizione, gli andò dietro, trascinando l’Italia nel baratro; che dopo l’armistizio l’Italia “legale”, cioè il potere costituito e riconosciuto di quel che rimaneva di un Paese a pezzi, rappresentata dal re, si schierò con gli alleati e quindi CONTRO la Germania nazista e la nostra “fantocciana” Repubblica sociale fascista; dovrebbe insomma essere assodato che questi ultimi – tedeschi e italiani in camicia nera – dopo l’8 settembre 1943 erano, ormai anche formalmente, i nemici della Patria.
Questi pochi punti fermi della nostra storia dovrebbero essere sufficienti per permettere di leggere gli eventi, nella loro essenzialità, in modo semplice. I due dittatori e i loro sodali avevano provocato lutti e distruzioni in ogni angolo d’Europa; ad essi si opponevano coloro che – eserciti alleati e poi formazioni partigiane al loro fianco – permisero il ritorno della democrazia anche nel nostro Paese. A questi ultimi, e non ai primi, dobbiamo gratitudine.
Certo, si può e si deve, soprattutto a mano a mano che la distanza da quei tragici eventi aumenta (e per cui parallelamente dovrebbe placarsi, cosa che invece non avviene, l’”animosità” nei rispettivi giudizi di parte), cercare di fare sempre più chiarezza tra pieghe di storie magari non sempre limpide o lineari, sviscerare eventuali abusi, sopraffazioni o crimini compiuti anche da parte di alcuni gruppi della Resistenza, che forse sognavano, insieme al riscatto italiano, anche, o soprattutto, la “rivoluzione”, approfittando della confusione della fase bellica.
Ma tutto ciò all’interno dei “paletti” sommariamente soprarichiamati, nel rispetto del quadro della verità e delle responsabilità storiche dei vari stati, statisti & gerarchi. Senza cioè tendenziosità (o almeno ciò che tale può apparire; e a me appare), senza intenzioni più o meno coperte di instillare nei cittadini, a forza di battere e ribattere, che, sì, forse anche i partigiani, nel loro insieme, in fondo non erano meglio degli altri, molti dei quali convinti di combattere per il riscatto dell’onore di una Patria che, per usare una terminologia cara al gergo politico odierno, aveva fatto il “ribaltone” nelle alleanze militari.
Vero è che le cose non sono mai tutte solo bianco e nero, ma qui si vuole forse capovolgere tutto. Dando una rimescolata alle carte si rende tutto un po’ più grigio, meno definito, si rimette in discussione, un pezzo alla volta, la ricostruzione degli eventi generalmente accettata: la storia la si porta in officina e si procede alla sua “revisione”. Alla fine risulterà sempre meglio che i vincitori erano in realtà un po’ aguzzini e gli sconfitti quasi dei martiri.
Proprio tale parola, “martiri”, riecheggia infatti spesso nei comunicati che il consigliere della nostra Regione Fabio Filippi invia con puntualità ai media annunciando che sono state innalzate croci qua e là (Cernaieto, Cervarolo…) in memoria di repubblichini “assassinati dai partigiani comunisti”. Martire è (da vocabolario) “colui che in nome della propria fede o ideale accetta il sacrificio di se stesso fino alla morte” o chi subisce “per rassegnazione o per eccessiva, inspiegabile remissività una situazione penosa”. Ora, alla luce di tali definizioni, quali erano “la fede e gli ideali” del nazismo o del fascismo? Forse l’elevazione spirituale dell’uomo?... Quanto all’”eccessiva, inspiegabile remissività”: non mi pare esattamente la formula più azzeccata per caratterizzare una SS…
Qual era insomma la causa “buona” che sosteneva questa parte della barricata?
Detto questo (e sarebbe bene imparare ad usare con maggiore pertinenza la lingua italiana, per rispetto della medesima e delle situazioni che si vogliono descrivere e comunicare alle altre persone), e senza voler indagare nelle intenzioni singole – che magari in tanti erano rette e dettate da buona fede – dei soldati “neri”, occorre anche pur dire e ribadire, a chiare lettere, che tutto il “sistema” (l’oppressione, il razzismo, il crimine di Stato, la Shoah, l’orrore dello sterminio freddamente programmato) che loro rappresentavano sul campo di battaglia e del quale erano il braccio armato e terroristico va condannato senza mezzi termini, senza titubanza alcuna, senza nessun annebbiamento che possa derivare dal tempo trascorso (ormai siamo quasi a 70 anni) o da contingenze e/o convenienze politiche particolari.
Ecco, queste persone, questi “martiri” (e ripeto: faccio sempre salva la pietà per chi non c’è più) combattevano o erano comunque organici o funzionali – convinti o conformi – a questi “ideali”, lottavano per questa bandiera, per la persecuzione e la sottomissione dell’uomo.
Tanto più fuori luogo (per non dire altro… “odioso”, ad esempio, da quel termine, odio, tanto trendy nella dialettica politica del momento) appare quindi oggi questo “nascondersi” dietro il simbolo della pace e della carità universale per antonomasia: la croce cristiana. Brandita secondo me come una clava.
Non sarebbe sufficiente, se davvero lo scopo fosse quello, sacrosanto, di avere una tomba su cui piangere un proprio caro, un semplice cippo e soprattutto meno prosopopea pubblica, decisamente insistente e insistita (e pure di dubbio gusto, dato che il rischio di speculare su dolori e ferite ancora aperte è piuttosto forte)? Così, tanto per far tacere i pensieri maligni che sussurrano che tutto questo ambaradan sia solo il mezzo di una campagna politica di bassa lega e piccolo cabotaggio finalizzata a sostenere ambizioni personali di carriera (tutte le strade, si sa, portano a Roma… magari in Parlamento). E si sa anche che a pensare male…
(Il pronipote di un caduto nella campagna di Russia voluta dal duce, il cui corpo non è mai stato ritrovato)
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Correlati:
- "Amara scoperta" (6 agosto 2010)
- A Cervarolo rialzata la croce per ricordare soldati italiani e tedeschi (14 agosto 2010)
Parole intelligenti e sacrosante
Condivido e plaudo a questo scritto di rara sobrietà, equilibrio ed efficacia; l’unica cosa di cui mi rammarico è che purtroppo non conosco personalmente l’autore, con il quale penso sarebbe un piacere scambiare opinioni a questi “livelli”.
(G.M.)
Grazie. Condivido
Grazie a questo pronipote per la chiarezza del sentire e dell’esporre. Condivido.
(Anna)
Parole eccellenti
Caro “pronipote”, credo di conoscere il tuo nome, ma non lo svelerò per ovvia correttezza. Posso però dirti che nel seguito del mio primo romanzo (in libreria il prossimo anno se tutto andrà bene) c’è un cenno a due ragazzi in partenza per la Russia: mi sono ispirato a racconti di quando ero bambino e uno di quei due credo proprio sia il tuo parente mai tornato.
Dirti che condivido dalla prima all’ultima parola mi sembra superfluo: sono parole che testimoniano di un animo sgombro da rancori e pregiudizi e di una capacità di analisi non comune. Se un giorno deciderai di uscire allo scoperto e di parlare (o scrivere) di questo fatto drammatico, sappi che accorrerò ad ascoltarti. Un caro saluto.
(Armido)
Carissimo pronipote, vorrei tanto incontrarti per stringerti la mano e congratularmi con te per come hai saputo esprimere con chiarezza ed educazione quello che senti e che condivido. Io non ne sono stata capace nel mio commento all’articolo del 14 agosto, perchè provo una rabbia indescrivibile quando vedo e sento certe cose, soprattutto perchè non capisco per quale motivo si vogliano mettere sullo stesso piano i fatti accaduti. Leggere sulla croce… massacrati dai partigiani… oppure parole tipo… non hanno rispettato i patti… convenzione di Ginevra… ed altro, mi fa ribollire il sangue. Ti ringrazio quindi per ciò che hai espresso con una capacità che non è da tutti e spero un giorno di riuscire anche io a controllarmi. Ancor di più vorrei non dover mai più assistere a questa mancanza di rispetto da parte di persone che giocano su questi fatti solo per esibizionismo ed avere un articolo in prima pagina perchè in fondo in fondo, sappiamo benissimo, che non gliene frega niente… Cercano solo l’attimo di celebrità!!!
(Nipote di un nonno partigiano disperso in Russia)