Il 27 giugno 2012 l’ANPI ha pubblicato alcuni stralci di una raccolta di testimonianze di partigiani ancora viventi a quella data: queste sono le parole del partigiano Emo Ghirelli pronunciate 10 anni fa quando aveva 88 anni di cui il nipote Gabriele conserva buona memoria: oggi più che mai attuali.
Emo Ghirelli, 88 anni, CXLIV Brigata Garibaldi Antonio Gramsci, si rivolge direttamente al nipote: “Con noi collaborava il popolo migliore. Tante donne hanno contribuito alla lotta di Liberazione e senza il loro contributo la lotta sarebbe stata molto più dura. E’ stata sempre dura, abbiamo dovuto combattere contro un nemico che la guerra la faceva di mestiere ed era armato di mezzi potenti, mentre noi avevamo in dotazione armi leggere che ci permettevano appena di difenderci. Spero che tu, Gabriele, non abbia mai più bisogno di fare i sacrifici che abbiamo dovuto sopportare noi. Che tu possa vivere sempre in pace, mai più guerre. Questo messaggio vorrei che potesse giungere nelle mani di tutti i pronipoti e i nipoti del mondo, perché capiscano che impegnandosi per costruire la pace si possono evitare tutte le guerre”.
Parole sante e che Dio lo benedica e l’accolga tra gli onesti.
Se n’è andato in silenzio proprio in questi giorni Emo Ghirelli, il comandante Pino che, mitra alla spalla, ha combattuto la guerra di Liberazione a Casina mentre tutta la montagna era presidiata dalle truppe naziste. Apparteneva a quei personaggi importanti della nostra storia, ma che in vecchiaia un po’ li dimentichiamo, salvo riscoprirli nel momento in cui ci lasciano per raggiungere altro mondo.
Nei suoi ultimi giorni di vita il comandante Pino, alias Emo Ghirelli, sempre molto attento agli eventi importanti, avrà sicuramente capito qualcosa della tragedia dell’Ucraina invasa dalla Russia.
Una guerra impari molto simile a quella che anche lui ha combattuto con tanti volontari armati solo di coraggio e buona volontà, contro le truppe tedesche: avrà ricordato le vittime e in fine la vittoria.
La guerra di Liberazione combattuta dai partigiani in Italia, garibaldino e cattolici, è la stessa che in questi giorni sta combattendo il popolo dell’Ucraina. Il messaggio che Emo ha lasciato al nipote Gabriele e che nessuno a 80 anni di distanza ha compreso, sarà lo stesso che domani padri e nonni dell’Ucraina trasmetteranno a figli e nipoti, a tutti quei bambini che oggi, senza sorriso, passano da braccia in braccia per salvarli dalle bombe e dai razzi lanciati inconsapevolmente dai soldati russi.
Mentre i padri e i giovani, ragazzi e ragazze, restano a difesa delle loro case rischiando la morte, mamme e bambini lasciano i loro affetti per seguire una maratona di sangue verso un traguardo immaginario che appare sempre più lontano. Tutti costretti ad una marcia di resistenza dove la paura offusca nella loro mente tormentata, persino l’immagine dei propri genitori: uno vale l’altro.
Famiglie unite nel sacrificio che per difendersi si disgregano. In tanto sacrificio sperano un giorno di trovarsi nuovamente tutti a tavola insieme.
Prima o poi questo giorno arriverà, ma a tavola purtroppo ci saranno diversi posti vuoti. Le immagini che vediamo scorrere ogni ora alla televisione come film dell’orrore, ci addolorano e ci rendono incapaci di capirne i motivi dell’immane tragedia.
Completamente inutili i dibattiti di esperti che dai salotti televisivi trovano tutte le soluzione mentre sul ‘campo’ vengono uccisi in ogni momento, uomini, donne e bambini.
Quelli che riusciranno a salvarsi, domani racconteranno. Intanto gli studiosi diranno, con la loro saggezza che questa è la guerra e a chi chiederà, perché è guerra?
La risposta la darà la storia che nulla insegna.
Settimo Baisi