Oggi è la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, indicata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, che ha invitato i governi, le organizzazioni e le ong a realizzare attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica in quel giorno.
Il 25 novembre si organizzano tanti incontri, convegni, flash mob, per ricordare le vittime e per dire basta alla violenza di genere. E' la giornata in cui si leggono i numeri, le statistiche, raccolti e pubblicati da enti, istituzioni, associazioni. E sono numeri che non confortano.
Da inizio anno, in Italia, sono state uccise più di 100 donne; quattro vittime in pochi giorni in Emilia Romagna: basta leggere la fotografia scattata dall’Osservatorio regionale sulla violenza di genere della Regione e i dati resi noti dal tavolo interistituzionale contro la violenza sulle donne di Reggio Emilia, per rendersi conto della portata del fenomeno. Dati che mostrano, poi, come la pandemia e il periodo del lockdown abbiano aggravato la situazione; c' è stato, infatti, un notevole aumento di casi di maltrattamenti e abusi in ambito familiare.
Donne maltrattate, e nei casi più tragici, ammazzate da uomini che non accettano la fine della relazione. Proprio a Reggio Emilia, nei giorni scorsi, l'ultimo femminicidio. Vogliamo che sia l'ultimo. Sono troppe le donne vittime di violenza domestica, violenza on line (dal revenge porn allo sfruttamento di ragazze); troppe quelle che hanno paura di denunciare per non essere giudicate o derise. Tante quelle penalizzate sul lavoro.
Viene da domandarsi se il codice rosso in vigore nel nostro Paese funzioni. Alla luce dei fatti di cronaca, è lecito chiedersi se le donne siano realmente protette. E' chiaro che c'è ancora tanto da fare, soprattutto a livello legislativo. Ma non è abbastanza. Dobbiamo tutti combattere una battaglia culturale. Ci sono ancora pregiudizi. Tanti, troppi. Una questione culturale che interessa tanto gli uomini quanto le donne.
Capita troppo spesso di ascoltare o leggere sui social commenti a un abuso fisico subito da una donna, affermando come sia meno grave perché gli atteggiamenti di lei, il suo abbigliamento o aspetto comunicano una ""sua disponibilità".
Anche qui "parlano" i numeri: "a pensarlo sono in maggioranza gli uomini (30%), ma anche la percentuale delle donne è significativa (20%). La ricerca, realizzata su un campione rappresentativo di mille italiani è stata presentata in Senato. Circa 3 persone su dieci, emerge ancora dalla ricerca, non considerano violenza "Dare uno schiaffo alla partner se lei ha flirtato con un altro"; tra le donne, ne è convinto il 20%, mentre la percentuale sale al 40% per gli uomini. Ancora, un italiano su tre non considera violenza forzare la partner a un rapporto sessuale se lei non lo desidera; lo pensano circa quattro uomini e tre donne su dieci. "Numeri - commentano gli stessi estensori della ricerca - che raccontano di un'Italia patriarcale, in cui c'è ancora tanto da fare in termini di informazione e sensibilizzazione (fonte Ansa, n.d.r).
L’unico modo per dire basta alla violenza sulle donne è dunque educare alla sensibilità. E bisogna iniziare fin da piccoli. Bisogna insegnare alle bambine a dire NO tutte le volte che vogliono farle diventare ciò che non vogliono. Bisogna insegnare che l'amore si costruisce giorno per giorno. Ma può finire. I legami possono spezzarsi.
Lo scorso 13 ottobre, la Regione ha dato il via libera al nuovo Piano triennale contro la violenza di genere. Interventi rivolti al mondo giovanile con particolare attenzione alla violenza in rete per contrastare ogni forma di molestia on line. Progetti in contesti specifici quali le scuole e i diversi spazi educativi, compreso il mondo dello sport, ma anche i luoghi di lavoro, per un tempestivo riconoscimento delle molestie sessuali. Azioni rivolte alle donne che vivono in condizioni di particolare fragilità, sostenendo la loro autonomia abitativa ed economica, e prevedendo, ad esempio, la sperimentazione del reddito di libertà. Un provvedimento con cui si vuole ribadire il proprio impegno di fronte a un fenomeno in drammatica crescita, 'mettendo al centro il rafforzamento della rete dei soggetti impegnati nel contrasto alla violenza: i Centri antiviolenza e le Case Rifugio, i Comuni e gli enti pubblici, e ancora le Forze dell’ordine, i servizi sociali e sanitari, i Centri per uomini maltrattanti, oltre che la scuola e il mondo dell’associazionismo'.
Mettere fine alla violenza contro le donne riguarda tutti noi.
Chi fa violenza ad una donna non può definirsi “uomo”, potrà definirsi “animale” ma non uomo. Purtroppo vediamo che questi eventi tendono ad aumentare e non a sparire, anche per merito di una “giustizia” che definisco “ingiustizia”; mi riferisco al recente caso di quella moglie e mamma marocchina che ha trovato il coraggio di denunciare i maltrattamenti subiti dal marito e il giudice di Perugia lo assolve; è la sua cultura; pazzesco; immaginate in che situazione si trova ora questa donna, convinta di avere giustizia e la giustizia da ragione al marito. Se questo giudice ha una figlia e dovesse sposare un islamico che la maltratta, immagino che direbbe al genero: fai pure, è nella tua cultura. E’ allucinante che si faccia violenza alle donne ma è ancora più allucinante leggere che in “Italia” possono succedere queste cose. E’ il nuovo che avanza, è il nuovo che qualcuno sostiene. Spero che questa notizia che ho letto sia una “bufala”, visto che non ho riscontrato proteste di piazza.
Nel panorama delle diverse “sfumature” in cui può articolarsi e manifestarsi la biasimevole e deplorabile violenza sulle donne, c’è chi vi include anche la dipendenza economica, che toglierebbe loro margini importanti di autonomia e libertà di scelta, sottoponendole di fatto al “potere maschile” (al punto di dover semmai subire vere e proprie violenze, non potendo sostenersi economicamente da sole quale strada per affrancarsi e staccarsi dall’eventuale “prevaricatore”).
A me sembra, francamente, una estensione eccessiva e forzata del concetto di violenza, ma ogni idea è legittima e va rispettata, salvo poi udire madri lavoratrici lamentare che l’impegno occupazionale non permette loro di accudire alla famiglia come vorrebbero, fino a metterle di fronte al dilemma se privilegiare lavoro o famiglia, o fare scelte ancor più esclusive (specie ove non dispongano di supporti familiari atti a fornir loro il necessario aiuto, anche nel far crescere i figli).
Nel senso che l’indipendenza economica della donna, derivante da una propria attività lavorativa, può avere per così dire due facce, anche perché c’è chi la mette tra le cause favorenti in qualche modo la denatalità – considerata problema non irrilevante per il Belpaese – il che fa pensare che quando si parla di “sfumature” occorrerebbe farlo allargando l’obiettivo sull’insieme delle questioni (qui si parla di “reddito di libertà”, ma il discorso a me pare essere più complesso)
P.B. 27.11.2021