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Il racconto di don Creardo Cabrioni sugli undici anni trascorsi al Seminario di Marola

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Don Creardo, giovane missionario diocesano in Brasile (Irecê, Stato di Bahia) nel lontano 1969

In ricordo di don Creardo Cabrioni, scomparso lo scorso 11 novembre, pubblichiamo il suo racconto degli anni giovanili trascorsi al Seminario di Marola, in cui è rimasto undici anni. La sua attività sacerdotale inizia presto quando, ancora giovane, lavora come cappellano all’interno di diverse fabbriche reggiane e, in seguito, come assistente delle Acli e dei ragazzi degli ”Artigianelli”. A metà degli anni Sessanta riceve l'incarico dal vescovo di fondare la nuova parrocchia del “Preziosissimo Sangue” nella zona del Belvedere, con la costruzione della
nuova chiesa e di altre strutture, a supporto soprattutto della pastorale giovanile.

Nel 1968 don Creardo, ubbidendo alla voce dello Spirito e della sua coscienza interiore, oltre che al suo vescovo, decide di partire per il Brasile come missionario, unendosi ala schiera di preti che la Chiesa reggiana aveva inviato in America latina per fondare una nuova e vastissima parrocchia in quelle terre lontane.

In quella nuova realtà don Creardo si muove ben presto liberamente, seguendo l’ispirazione evangelica dello Spirito che lo spinge ad andare a predicare la buona novella ai poveri, completamente spoglio di ogni sovrastruttura e privo di qualsiasi appoggio materiale, armato solamente della propria fede in Cristo e della Sua Parola che va a presentare con amore e semplicità a tutte le “genti”, cristiane e pagane, che incontra sul suo faticoso cammino.

Richiamato in diocesi, diventa stimato e amato pastore di diverse parrocchie, fra cui Febbio, Piolo, Coviolo e Ramiseto, rinunciando poi, ormai ottantenne, a gestire in proprio le realtà ecclesiali locali e dedicandosi completamente alla sua vocazione di “eremita” nella preghiera e nella contemplazione, oltre che all’accoglienza di pellegrini e di anime bisognose di aiuto.

Attualmente si era stabilito nel borgo di Boastra di Marola, nella casa che un tempo era dei suoi avi, dove in un vecchio “metato” ha ricostruito una piccola e accogliente cappella, luogo ideale di ritiro, preghiera e contemplazione per sé e per coloro che desiderano ritrovare serenità e ristoro per il corpo, la mente e lo spirito.

Don Creardo Cabrioni incontra don Ganapini nell’antico borgo di Boastra, dove di recente ha costituito il suo “nuovo eremitaggio” nella casa dei suoi avi (foto A. Vezzani)

"Ho in mente, nel primo giorno di seminario, un grande camerone, con una fila interminabile di letti, tutti
uguali, fra i quali la sera ho avuto difficoltà a ritrovare il mio. Poi sono venuti sette lunghi anni del ginnasio (invece di cinque, perché più volte ripetente) durante i quali ho dovuto imparare e seguire regole a non finire, con punizioni e silenzi assoluti quando eri inadempiente. Ho poi trascorso altri quattro anni a Marola come prefetto, per un totale di undici anni". Inizia così il racconto di don Creando, che ricorda gli anni passati al Seminario di Marola.

"Che cosa ho imparato in tutti questi anni? Innanzi tutto studio e disciplina, come tutti, con regole precise che hanno aiutato a formare il carattere e la personalità. Vorrei sottolineare anche l’importanza della vita di preghiera, fatta di messa quotidiana, meditazione, rosario, novene e visite varie al Santissimo Sacramento, pratiche indirizzate alla ricerca di una propria vocazione e a creare una forte spiritualità, proiettata non solo verso il sacerdozio, ma anche ad una visione cristiana della vita. Su questo punto penso che molti ex alunni, che hanno lasciato il seminario con un certo astio e fastidio per l’eccessivo spazio dedicato alla vita di pietà, col tempo si siano ravveduti e che abbiano ritrovato nel fondo del loro cuore un sentimento religioso che ha avuto le sue origini e il suo fondamento negli anni di seminario".

"Alla fine di queste brevi riflessioni - conclude il don -, vorrei ringraziare i miei compagni di cordata e di viaggio, soprattutto i Superiori monsignor Bronzoni, don Mora, padre Castagnetti e tutti i professori, da monsignor Caliceti a monsignor Milani, che hanno avuto tanta comprensione nei miei confronti; ricordo pure con simpatia i miei compagni di classe, definita talvolta come una “banda” di scavezzacolli e di “ignorantoni”, fra i quali però emergeva
la mente eccelsa del mio grande amico don Giovanni Costi, a cui devo riconoscenza per i tanti aiuti ricevuti a livello scolastico, soprattutto durante i vari esami di passaggio di classe. Il mio rincrescimento era grande, soprattutto quando poteva capitare che un mio compito venisse valutato meglio del suo, nonostante avessi attinto molto da lui: non sempre infatti la giustizia regna sovrana, neppure in ambito scolastico".