Riceviamo e pubblichiamo da Elda Zannini
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Oggi vi voglio raccontare del Dottore di una volta, parlerò di prima della guerra, quando il dottore di condotta era uno solo e doveva pensare a tutti gli ammalati del comune di Castelnovo.
Quello che ho conosciuto io e che ricordo molto bene, si chiamava Azio Vezzosi, state attenti, parlo del padre di quell’Azzio che avete conosciuto voi al bar che vi incantava coi suoi racconti ed è venuto a mancare da poco, difatti il suo nome aveva una sola zeta.
Torniamo al mio dottore che arrivava a cavallo coi capelli tutti bianchi mossi dal vento, era alto slanciato, teneva le briglie con una mano sola, all’altra mancavano tre dita le aveva perse durante la guerra del 15/18. Era stato arruolato nell’esercito come Maggiore di Complemento e fu inviato subito al fronte, ferito gravemente alla mano sinistra perse pollice indice e medio.
Anche mio padre aveva avuto una ferita da baionetta su una spalla durante un attacco austriaco all’arma bianca dentro alla trincea, mi rammento che un giorno gli chiesi come s’era fatto quella grossa cicatrice, lui me lo spiegò, ma i suoi occhi azzurrissimi che di solito ridevano, diventarono scuri come un mare in tempesta, quando mi disse che colui che l’aveva ferito non era tornato a casa.
Da quel giorno non gli chiesi più niente della guerra, capii che era una cosa orribile e dolorosa da non nominare mai. Solo molto più tardi seppi che mio padre era stato decorato con la medaglia d’argento al “Valore Militare” e poteva fregiarsi dell’araldica del “Nastro Azzurro”. Soldato del 51 gruppo batterie bombarde numero di matricola 29807 quota 1050 Macedonia Serba 9 marzo del 1918. “Capo pezzo di una bombarda portata allo scoperto e violentemente controbattuta con sprezzo del pericolo faceva fuoco con la massima celerità dando esempio di calma e di coraggio agli altri serventi”. Era l’unico rimasto illeso nell’attacco degli Austro Ungarici al suo avamposto e lui dopo aver messo al riparo i feriti dentro alla trincea li difese per tre giorni e due notti in quel modo fino all’arrivo dei rinforzi. Il suo capitano lo propose per la medaglia d’oro, ma poi perì prima della fine del conflitto così non ha potuto testimoniare di persona.
Anni dopo fu chiamato in caserma dal maresciallo dei carabinieri che a un certo punto gli chiese: “Zannini come avete fatto a resistere per tanto tempo”.
Lui semplicemente rispose: “Iò resistì, perché in m’an mea masà” .
Ho resistito, perché non mi hanno ammazzato.
Scusate la solita evasione, torniamo al mio dottore, che riconosciuto invalido e mutilato di guerra, nel 1921 si laureò in medicina presso l’università di Modena e iniziò subito ad esercitare la professione di medico nel comune di Castelnovo ne’ Monti.
Quel giorno che è rimasto impresso nei miei ricordi, uno dei miei fratelli lo aveva avvisato che io avevo un’altra volta la febbre altissima. Lui era arrivato con già in tasca la medicina che me la faceva abbassare, me la dava sciolta in due dita d’acqua, ma prima mi faceva aprire la bocca e mi schiacciava la lingua col manico di un cucchiaio. Faceva una smorfia e mi faceva bere quello che aveva preparato, poi si sedeva vicino a me tirava fuori dalla tasca “Il Corrierino dei Piccoli” e si metteva a leggerlo solo con gli occhi, mentre io lo guardavo trepidando, perché sapevo che dopo me lo avrebbe lasciato.
Difatti dopo un po’ mi metteva una mano sulla fronte che sembrava una carezza “anche lui aveva due bambini” e se n’è andava facendo finta di scordarsi lì sui miei piedi il giornalino.
Partiva col cavallo al galoppo, durante il resto della giornata, passava da una borgata all’altra curando i suoi ammalati, se qualcuno aveva un mal di denti insopportabile, lui glielo levava senza tante storie: “I fèma nà perfȇusa cavà al dent a gh’è rmagn la bȇusa”.
Vecchio proverbio contadino traduco “Facciamo un piccolo intervento leviamo il dente e ci rimane il buco”.
Poi se c’era qualche ferita da medicare lo faceva lui e se ce n’era bisogno ci metteva anche qualche punto. Lui era il dottore di condotta, c’era sempre per tutti coi suoi modi un po’ bruschi, ma genuini e sicuro di ciò che faceva e tutti lo ammiravano.
Finito il giro ripassava a vedermi, si affacciava dietro l’inferriata della finestra della cucina, mi vedeva ancora sdraiata su due sedie una di fronte all’altra, divise da una nel mezzo, formavano un lettino, perciò immaginatevi quanto ero piccola, mi faceva aprire la bocca e me la scrutava un’altra volta poi diceva a mio padre.
“Quando verrà il professor Fiore all’ospedale devi fargliela vedere, bisogna togliere quelle tonsille se vuoi vederla crescere forte come gli altri”.
Poi senza aggiungere altro risaliva a cavallo e se ne andava e forse neanche quella notte avrebbe riposato, forse l’avrebbe chiamato in suo aiuto la Levatrice, perché un bimbo faceva già i capricci prima di nascere e non voleva uscire, allora lui lo avrebbe aiutato a venire alla luce.
Naturalmente mi portarono da questo specialista nominato dal dottore, ma non mi fece niente, perché avevo ancora la febbre, ricordo solo che mia madre mi riportava a casa “cavaciosa” sulle sue spalle e non ci tornai più, non so perché, ma le mie tonsille sparirono all’improvviso e io sono ancora qui. Tempo fa un
dottore che esplorò la mia gola con mia grande sorpresa sentenziò gola pulita tonsille operate, “selezione naturale”?
Comunque Vezzosi Azio che era stato anche il mio dottore, si preoccupava di tutti, faceva tutto ciò che vi ho raccontato e molto di più, era molto stimato per le sue doti professionali non solo dai suoi numerosi pazienti, ma anche dai suoi colleghi. Era un uomo colto saggio e virtuoso sempre disponibile e generoso verso i più bisognosi, purtroppo qualcuno non lo aveva capito e una brutta sera che usciva da una casa dopo aver visitato un ammalato nei pressi di Burano di Castelnovo ne’ Monti gli spararono a bruciapelo nel petto. Era il 28 giugno 1944.
Non sto a spiegare chi l’aveva fatto e perché lo aveva fatto, quando in casa mia si è saputo si è pianto.
Elda Zannini
Grazie Elda per questo tuo racconto, che mi ricorda altri due medici a cavallo… Mio nonno Pasquale Marconi, il cui ultimo cavallo si chiamava Tiberio e il dott. Pietro Azzolini di Vetto. Anni fa, sono andato apposta a Vetto e più volte, per parlare coi più anziani e farmi raccontare di Pietro (Peder) di cui mi aveva parlato spesso anche mia madre. Di quest’uomo, dir che mi sono innamorato, è dire poco… Ancora grazie ?
(Umberto)
Complimenti per il bel racconto.
P.s.: sarebbe interessante sapere chi lo ha fatto e perché, non fosse altro per ribadire che la verità storica non sta mai tutta da una sola parte, come troppo spesso si vuole far credere.
(Ivano Pioppi)
Caro Ivano, non l’ho fatto per non suscitare inutili polemiche i miei sono solo lontani ricordi sussurrati, però due anni fa è uscito un libro molto contestato che parla chiaro di questi delitti. Nel Reggiano sono stati uccisi ben 35 medici, lì sono riportati nomi e cognomi anche degli assassini. Ho avuto modo di conoscerne l’autore e il suo coraggio, che mi ha aiutato a riconoscere l’innocenza di mia sorella, mandandomi dalla persona giusta.
(EldaZannini)
Dalla descrizione-testimonianza che ne fa la Sig.ra Elda, la vita del “dottore” non meritava certo l’epilogo che gli hanno invece riservato, e penso che anche Ivano Pioppi si chieda perché mai possa essersi arrivati a tanto (se qualcosa, allora o dopo, è stato appurato in merito, nel senso che è noto).
Ho motivo di credere che non interessi il nome di chi ha portato a compimento quell’atto, bensì il movente, anche perché in quegli anni tormentati, oltre ad “esecuzioni” dallo sfondo politico, altre ve ne furono fatte semmai passare come tali ma che avevano ben altra natura, origine, e motivazione.
P.B. 18.10.2021
(P.B.)