“Una riduzione della piovosità nell’ultimo trentennio e aumento del numero delle alluvioni sono la prova purtroppo più evidente del cambiamento climatico, di quanto stiamo osservando e di quanto gli abitati del territorio lamentano: fonti che si perdono, falde freatiche che si abbassano”, Fausto Giovanelli, coordinatore della Riserva di Biosfera dell’Appennino tosco emiliano commenta così l’analisi affidata dal Parco nazionale dell’Appennino al Servizio Geologico della Regione Emilia-Romagna per realizzare un quadro conoscitivo sullo stato degli acquiferi e le sorgenti presenti sulla sponda emiliana, nelle province di Parma e Reggio Emilia.
Stefano Segadelli, nel Servizio geologico della Regione Emilia-Romagna, si occupa di cartografia geologica e risorse naturali nel settore montano: “Al 31 dicembre del 2020 abbiamo censito 190 sorgenti nello stretto perimetro del parco (60 non captate e quindi in condizioni naturali; 50 captate a vari usi; 24 non classificate; 56 captate a uso acquedottistico). Se invece di riferiamo ai Comuni dove è comunque presente il Parco le sorgenti salgono a 636 sorgenti (138 non captate e quindi in condizioni naturali; 166 captate a vari usi; 50 non classificate; 282 captate a uso acquedottistico). Si tratta di sorgenti tutte perenni, la cui portata è estremamente variabile. Si va da 0,5 litri al secondo a sorgenti che hanno una portata media annua di 150 l/s (area sorgentizia della Gabellina, la principale dorsale acquedottistica presente nell’area MAB e a livello regionale)”.
“Possiamo affermare – spiega Segadelli – che nell’area Mab Unesco la provincia di Reggio Emilia è un’area strategica, custode di importanti risorse idriche sotterranee da un punto di vista quantitativo”.
Qual è, parlando di ricarica, il dato della piovosità: come (numericamente) questa è cambiata?
“Diversi sono i parametri che contribuiscono a definire la ricarica naturale di un acquifero (pioggia, neve, evapotraspirazione, stile delle piogge…). Se prendiamo come riferimento solo le piogge nell’area Mab Regione Emilia-Romagna e si calcola la differenza tra la precipitazione media annua tra il trentennio di riferimento (1961-1990) e la precipitazione media annua nel trentennio successivo (1991-2020), il saldo nel territorio Mab è prevalentemente negativo (fonte dato Arpae-SIMC). In particolare, il 63% del territorio presenta un saldo in netto calo (settore collinare), nel 24% il saldo è di sostanziale stabilità (area di crinale) e infine il restante 13% concentrato nel settore occidentale dell’alto parmense è in controtendenza. Inoltre, se oltre alla pioggia si considera anche il dato dell’evapotraspirazione, il contributo della ricarica naturale risulta ulteriormente aggravato. Purtroppo tra il 2003 e il 2020, diminuisce anche la precipitazione nevosa e i giorni di permanenza della stessa come evidenziato da sette niviometri, tra 900 e 1500 m slm: si registra nell’area Parco un calo dello spessore medio annuo della neve che passa da 271cm a 65cm e una diminuzione dei giorni di permanenza media annuo della stessa che passa da 126 a 33. Infine, sono in aumento anche il numero massimo di giorni consecutivi senza precipitazione, non solo durante il periodo estivo; le ondate di calore durante il periodo estivo; aumentano alluvioni ed eventi estremi non solo nei mesi estivi, ma anche autunnali, come evidenziato dall’ultima edizione dell’atlante climatico dell’Emilia Romagna di Arpae-SIMC”.
“E’ chiaro – aggiunge Fausto Giovanelli – che sia il Parco nazionale, da un lato, che la nuova Riserva di Biosfera, in quest’ottica possono svolgere un ruolo strategico/fondamentale a tutela delle acque sotterranee, della relativa biodiversità e servizi ecosistemici associati. Infatti, privilegiare una strategia di gestione dell'acqua a livello dei bacini idrografici significa attuare una gestione delle risorse idriche sotterranee a livello di area vasta (e non a livello locale) e da questo punto di vista l’istituzione dell’area Mab Unesco centra in pieno questo aspetto”.
Dallo studio regionale un appello alla “salvaguardia di quelle aree che possono svolgere un ruolo di riserva strategica e di azioni di monitoraggio nelle zone a presente e futura criticità (acquiferi dove è avvenuta una diminuzione della ricarica naturale)2.
APPROFONDIMENTO
Così le fonti tutelano la biodiversità, il perché di questo progetto
Perché si parla di sorgenti come nuclei di biodiversità? Le sorgenti sono ecosistemi in cui le acque sotterranee vengono a giorno, rappresentando una tipica transizione dalle acque sotterranee alle acque superficiali e, quindi, si trovano all'interfaccia tra litosfera, idrosfera e biosfera.
Con le sorgenti si sviluppano habitat di importanza cruciale che sostengono alti livelli di biodiversità ecologica, fornendo rifugi a piante e animali e offrendo servizi ecosistemici essenziali. Un esempio di questo è rappresentato dalle sorgenti che depositano carbonato di calcio per precipitazione a temperatura ambiente, le cosiddette “sorgenti pietrificanti” presenti all’interno dell’area Mab. Queste sorgenti sono habitat prioritari secondo la direttiva 92/43/CEE. Tuttavia, le sorgenti sono spesso trascurate, minacciati o addirittura distrutti dalle attività umane. Per queste ragioni, localizzare, inventariare e monitorare le sorgenti sta diventando strategico.
Le sorgenti sono quindi ampiamente riconosciute come habitat chiave per le loro caratteristiche ecologiche che supportando alti livelli di biodiversità e forniscono rifugio a flora e fauna. Tra le ragioni principali della biodiversità degli habitat sorgivi vi sono la marcata varietà di condizioni geologiche, geomorfologiche e di portata, la variabilità della chimica e della temperatura dell'acqua sorgiva. Inoltre, le sorgenti sono ecosistemi particolarmente rilevanti perché forniscono una moltitudine di contributi culturali, storici e socio-economici positivi e molti servizi ecosistemici essenziali come, ad esempio, l'approvvigionamento di acqua potabile e l'irrigazione dei terreni coltivabili; inoltre, forniscono il fabbisogno idrico degli ecosistemi, soprattutto durante le siccità.
Tuttavia, le sorgenti sono fragili e, nonostante il loro valore ampiamente riconosciuto, rappresentano un tipo di habitat altamente minacciato da molteplici attività umane, come il drenaggio da scavi sotterranei, l'attività estrattiva e la distruzione degli habitat.
Fonti degne di nota
Tra le fonti più particolari rilevate dallo studio quelle di Poiano, con una portata media di circa 400 l/s. Le fonti di Poiano sono le più grandi sorgenti carsiche dell'Emilia-Romagna – le uniche non potabili ndr - e non sono captate a uso acquedottistico. La loro caratteristica principale è l'alto contenuto salino e quindi non potabili. Altra sorgente importante da segnalare è la sorgente “Mulino delle Vene” nel comune di Carpineti. Si tratta di una sorgente in condizioni naturali caratterizzata da una portata media di 90 l/s che per il contesto appenninico è notevole. Da un punto di vista qualitativo, se prendiamo la conducibilità elettrica (indicatore della mineralizzazione di un’acqua) a 20°C come parametro di classificazione, all’interno dell’area di studio sono presenti acque di elevato pregio come quelle oligominerali, fino alle acque minerali di Poiano.
Senti chi parla, verrebbe da dire. Colui che, per interessi di una minoranza, ha detto di no alla costruzione della diga sul fiume Enza. Acqua pura per uso irriguo, per crescere I foraggi, i cereali, le vigne della collina e della pianura Reggiana. Prodotti alimentari in gran parte della pianura, fatti crescere con le acque inquinate, prelevate dal fiume Po, pompate da enormi idrovore al costo di diversi milioni di euro all’anno. Il grave danno, l’errore politico lo paghiamo noi cittadini, della montagna in primo luogo. Oltre all’acqua per uso agricolo, avremmo avuto energia elettrica pulita, “sostenibile”, come amano dire nella loro falsa neolingua alcuni pseudo ambientalisti di sinistra. Energia elettrica che sarebbe stata fornita ai cittadini dei comuni montani, tra i quali Ventasso, Vetto, e quelli della riva sinistra parmigiana, a prezzi scontati. Ora guardate bene la bolletta dell’elettricità, aumentata ancora per i cosiddetti “oneri di sistema”, “dispacciamento” ecc, tutti costi autorizzati dalla sinistra negli anni di governo. Ogni due mesi le nostre famiglie sborsano sempre più euro: grazie presidente Fausto Giovanelli. Grazie per questo e tanto altro. Allargamento area MAB? “Ma ci faccia il piacere”, come avrebbe detto il grande Toto’.
Un saluto ai lettori,
Alessandro Raniero Davoli
Consigliere comunale, capigruppo Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia e UDC
Consigliere Unione Montana dei comuni dell’Appennino reggiano
(Alessandro Raniero Davoli)
Beh visto che sono state tolte tutte le accise sui carburanti, come promesso in campagna elettorale da salvini, cosa che ha fatto appena andato al governo i soldi lo stato li deve pur incassare da qualche parte! Ma ci faccia il piacere!
(AG)
Egr.e/i Lettrici e Lettori, oggi è un triste giorno per l’Italia, muore Alitalia, chi ha la mia età è un colpo al cuore, tanti ricordi per noi e per tanti emigrati Italiani legati a questa Bandiera. Ma in questi ultimi decenni abbiamo visto morire tanti settori che nel passato hanno reso grande l’Italia, prima il settore auto Italiano, eravamo primi al mondo, poi il Siderurgico, sempre primi a livello mondiale, tra non molto a morire toccherà il grande settore Agroalimentare dell’Emilia Romagna, e temo che succederà presto, basterà che qualcuno metta in dubbio le acque non proprio limpide del PO. Da parte mia sono certo che dietro la morte di questi settori ci sono delle responsabilità di qualcuno, il tempo farà giustizia.
Ringrazio il Presidente del Parco Fausto Giovanelli per aver affrontato questo argomento, non sarà stato facile per lui. E’ giunto il momento che tutti devono capire che i cambiamenti climatici non si affrontano con le ideologie, ma con fatti concreti, con gli invasi. Già nel 2005 il Dipartimento di Ecologia della Calabria denunciava la vulnerabilità dell’Italia al rischio desertificazione, nel 2010 L’Espresso in copertina indicava l’Emilia Romagna tra le Regioni Italiane a maggior rischio desertificazione; pertanto gli allarmi vengono da lontano. Ma mentre tante Regioni hanno già molto o hanno fatto molto, pur avendo meno bisogno di acqua di noi, in Emilia grazie ai NO a tutto e a chi li ha protetti, si è impedito l’unica opera che avrebbe dato speranza alle terre del Parmigiano Reggiano e ai rubinetti di Reggio Emilia e Parma, la Diga di Vetto. Ora temo che sia tardi, il danno è stato fatto, una diga non si costruisce dalla sera alla mattina; se si ripartisse con i lavori della diga di Vetto si avrebbe l’acqua tra otto anni, se poi parliamo di un nuovo progetto parliamo di 16/20 anni. Ma ora la Regione piuttosto di ammettere che fu un errore non far ripartire i lavori della Diga di Vetto, proporrà un nuovo progetto di un invaso da 20 milioni di metri cubi, costerà come quella di progetto e non servirà a nessuno, anzi ai paesi montani farà solo dei danni enormi, Un nuovo progetto sarebbe un errore molto più grande del primo. Ma questa è l’Italia di oggi che va a braccetto con i fautori del “No a Tutto”; e i risultati li vedremo, purtroppo.
(Franzini Lino)
Energia elettrica a prezzi scontati ?! Ma dove vive questo signore con i baffi? A Ligonchio produciamo energia elettrica dal 1920… Sconti ? Zero
(Mario riatti)
Egr. Sig. Riatti, non me ne voglia, a volte rispondo a commenti solo per chiarire le cose e non lasciare la gente nel dubbio di dove sta la verità. Il Sig. Davoli ha riportato un dato vero. Per esempio in Val di Sangro quando fu realizzata la Diga di Bomba, una fotocopia identica in tutto alla Diga di Vetto, fu fatto un accordo che chiunque andasse ad investire su questa valle avrebbe avuto benefici sui costi dell’energia elettrica prodotta dalla Centrale idroelettrica della Diga. Questo ha fatto si che centinaia di industrie, compreso la stessa FIAT, andassero a costruire le loro attività in Val di Sangro.. Ma a parte questi accordi, i grandi benefici che darebbe la Diga di Vetto in termini di lavoro, sviluppo per i paesi montani, turismo, viabilità, usi irrigui e idropotabili con acque limpide, energetici, laminazione delle piene, riduzione del prelievo da falda e da Po, DMV garantito 365 giorni fino a Po, ecc. li vede anche un cieco; non li vede chi parla per voce di parte o di partito e chi non usa il “computer” che madre natura ha dato ad ognuno di noi. Questo è facilmente dimostrabile dal fatto che se una certa politica dicesse di si alla Diga di Vetto, costoro il giorno dopo direbbero tutti di si.
(Franzini Lino)
Che sorpresa, leggere che serve acqua, è incredibile, mi sono riletto varie volte il comunicato, ma mi sono detto: meglio tardi che mai. Certo che per chi per anni si è attaccato ai terremoti e alle frane per dire di no alla diga di Vetto, non sarà stato facile, ma in questo caso è da ammirare, ammettere che serve acqua è segno di intelligenza, cosa a mio avviso quasi impossibile da trovare in chi persiste a dire di no ad un’opera che solo grazie a madre natura si può realizzare e che darebbe benefici enormi a tutti. Bene ha fatto Giovanelli ad ammettere questo, tante volte l’ho criticato per la telenovela del Mab Unesco e del Parco, che a mio avviso portano solo dei vincoli ai montanari, è solo un simbolo. Ma ammettere che serve acqua a causa dei cambiamenti climatici è una considerazione che fa onore a chi lo comprende, si sappia che l’acqua si risparmia solo se ci sono gli invasi, altrimenti se ne va.
(Pierluigi)
Stando al suo commento, sembra che Pierluigi veda in questa dichiarazione una sorta di ripensamento riguardo alla diga di Vetto, ripensamento che io non riesco a scorgervi, a meno che l’ammettere che serve acqua non sia interpretabile come un primo passo verso una retromarcia o inversione di marcia – da parte di chi ha sempre osteggiato l’invaso – così da ritornare sui propri passi in maniera graduale, per non dare l’dea di aver cambiato parere di “punto in bianco” (solo il tempo ci dirà se e cosa sta maturando in proposito).
Al momento io vi leggo che la nostra provincia è particolarmente ricca di sorgenti e che le stesse sono importanti ecosistemi configurabili come nuclei di biodiversità, e su quest’ultimo aspetto non si può che essere d’accordo, ma da quanto posso saperne nessuno pensa di modificarle o “manometterle”, nel senso che non c’è alcun bisogno di “tutelarle” e salvaguardarle, anche perché molte delle non captate sono andate in disuso o quasi, da quando l’approvvigionamento idrico avviene tramite il “rubinetto” di casa.
Quanto all’uso irriguo, le sorgenti – una volta fornitrici di acqua potabile alle famiglie – potevano semmai servire per innaffiare l’orto, ma dai miei ricordi non venivano invece impiegate per l’irrigazione dei coltivi, che avrebbero richiesto una quantità d’acqua fuori dalla potenzialità di una sorgente, perlomeno quelle di mia conoscenza, e quelle dell’alto Appennino, di maggiore portata, si trovavano verosimilmente in aree prive di campi coltivati, oppure con colture non bisognose di irrigazione (a differenza della pianura).
Per concludere, oltre agli utili dati numerici, di cui poter anche andar orgogliosi, mi parrebbe francamente un’ovvietà – e nessuno me ne voglia – il ribadire la positività delle sorgenti, sul piano ecologico, culturale, storico, ecc., nonché la loro fragilità, salvo che tale “reclamizzazione” sia un preludio al proporre azioni concrete, vedi ad es. il ripristino di sorgenti che si sono “spente”, oppure il risorgere di acquedotti rurali, o vada intesa come “marcia di avvicinamento” alla Diga visto che qui si parla delle plurifunzioni dell’acqua (attendo pertanto di vedere se vi sarà una seconda “puntata”, e con quale impostazione).
P.B. 17.10.2021
(P.B.)