Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Ottavio Tarabelloni, un contributo alla riflessione sull'eutanasia legale, oggetto della raccolta firme (fino al 30 settembre) . E' un tema che riguarda la cosa più importante che ciascuno di noi ha: la vita, di cui il fine vita è parte essenziale.
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Domenica 5 settembre, su la Gazzetta di Reggio Emilia l' on. Castagnetti si è detto “colpito dalla durezza di alcune reazioni alla presa di posizione del vescovo Camisasca sul referendum sull' eutanasia legale” e ha aggiunto che “la vicenda investe tutta la città , che pare aver perso la capacità di discutere civilmente di questioni difficili. Sembra che i reggiani non siano più capaci di farlo”.
Poiché sono reggiano, mi sono sentito coinvolto e vorrei provare a discutere civilmente, come chiesto da Castagnetti.
Alcune affermazioni del vescovo Camisasca sono sembrate a tanti sbagliate, fuori tema, medievali e qualcuno l' ha anche scritto, intervenendo nel merito. Dove sta lo scandalo, l'estrema sinistra, l'anticlericalismo? Se un tifoso iuventino scrive che la terra è piatta, chi lo contesta è anti-iuventino?
Nel merito.
Dice Camisasca: “l’uomo non è padrone della propria vita” e aggiunge Castagnetti “...talune sofferenze possono essere insopportabili...ma perché non confidiamo nella possibilità che la scienza possa metterci a disposizione in un futuro non lontano terapie antidolorifiche ancora più potenti delle attuali?”
Sono d'accordo di confidare, ma nel frattempo?
Giovanni Nuvoli all' inizio del 2000 prese la SLA, malattia terribile e senza ritorno, che provoca la paralisi degli arti e dei muscoli deputati alla deglutizione e alla parola. Per comunicare usava il movimento degli occhi. Poi toccò ai polmoni e venne tracheotomizzato.
La Sla distrugge il corpo, ma lascia il cuore e il cervello sanissimi. Nel 2003 Giovanni decise e comunicò alla moglie di voler morire, ma mandarono perfino i
carabinieri per impedire che il dottor Ciacca staccasse il respiratore. La moglie Maddalena descrive così la sua fine: “E lasciarono che un uomo che aveva già subito tanto, un uomo che pesava venti chili e che la malattia aveva sfiancato, logorato, consumato, sopportasse altri sette giorni di calvario. ….Ma la sua volontà rimase sempre ferma, granitica: chiese perfino che la sedazione gli venisse somministrata senza l' della fisiologica, perché non si prolungasse neppure di un'ora, neppure di pochi minuti, la sua sofferenza. Eppure, anche per sedarlo, si aspettò il terzo giorno, quando i dolori erano ormai atroci ….. Neppure quando lo sedarono, sempre per non rischiare che morisse, gli diedero una dose sufficiente a farlo dormire fino alla fine. Ogni tanto Giovanni si risvegliava fra dolori atroci, perché lo stomaco, divorato dagli stessi succhi gastrici, aveva emorragie terribili. Allora gli davano una nuova dose di sedazione, ma intanto quei minuti di ritorno alla lucidità comportavano sofferenze indicibili. Infine il cuore cessò di battere. Erano le dieci e mezzo della sera del 23 luglio 2007”.
On. Castagnetti e vescovo Camisasca, parlate di Vita Sacra e vi dimenticate del vivente, della persona in carne e ossa; vi ergete a difensori del Sabato e dimenticate il Vangelo: “...allora Gesù prese a dire ai dottori della Legge e ai Farisei ... "Se il figlio di uno di voi o anche un vostro bove cade in un pozzo, chi non lo tira subito fuori, anche in giorno di sabato? ” (Luca 14,3.5) . "Il sabato è fatto per l' uomo e non l' uomo per il sabato" (Marco 2,27)
On. Castagnetti, lei dice che si tratta di questioni difficili. A me sembra che la difficoltà stia solo nel fatto che alcuni vogliono imporre a tutti il proprio credo, le proprie idee, perfino sulla cosa più personale che esista: la vita.
Se lei ritiene che la sua vita non le appartenga è libero di crederlo, così come è libero di soffrire quanto vuole (molte eminenze sostengono che bisogna rivalutare il dolore), ma non cerchi di espropriarmi della mia vita. Umberto Veronesi, che ha dedicato la vita a salvare vite, diceva: “il diritto a disporre della propria vita e della propria morte è il più sostanziale e importante dei diritti individuali, inalienabile per definizione”.
L' eutanasia è un diritto di ciascuno, non un dovere. Affermarlo come diritto, codificarlo come tale nella legge, lascia ciascuno libero di fronte all' eutanasia, non impone nulla a nessuno. Chi vorrà porre fine a una vita di torture sarà libero di farlo, chi vorrà bere l' amaro calice fino all' estremo sarà altrettanto libero.
Mi rimane un dubbio. Io non condivido quasi nulla di quello che ha scritto, ma anche se potessi non vorrei zittirlo; la ringrazio invece per il suo intervento, che può favorire, attraverso il confronto, una crescita di consapevolezza sul problema.3
Lei però ha avuto un atteggiamento opposto verso quelli che hanno criticato Camisasca.
Questo è un problema serio.
Ottavio Tarabelloni
L’onorevole Castegnetti forse faceva meglio a non esternare. Condivido in pieno il parere del sig. Tarabelloni, con un unica annotazione: attenzione che l’eutanasia non diventi un eccesso di libertà riducendo la vita ad un interruttore da spegnere al bisogno. Per il resto condivido in pieno e non condivido in pieno ne Castagnetti ne Camisasca.
(MA)
Il tema del “fine vita”, come è stato a lungo definito, oltre ad essere per sua natura oltremodo delicato e complesso, è da sempre controverso e divisivo, e forse non poteva che essere così giacché si confrontano visioni tra loro molto diverse, se non opposte, in una con principi e valori che per qualcuno possono ritenersi “non negoziabili”.
A me non stupisce che possa esservi una tale rigidità, né reputo negativo che in un mondo apparentemente frastornato, e disorientato, vi siano pezzi della società ancorati a posizioni solide e ferme, e di fronte alle tenaci e legittime contrapposizioni non vedo che la politica a poter individuare la possibile mediazione, ossia un qualche punto di equilibrio.
Forse lo avrebbe già fatto, visto che il problema torna a riproporsi ciclicamente, ma non va tuttavia dimenticato che da diversi anni ormai la politica è stata insistentemente bersagliata dall’antipolitica, che potrebbe averne indebolito le potenzialità decisionali, inducendola di riflesso a “prender tempo”, specie nelle materie più spinose e discusse.
Se qui riuscirà adesso a “trovare la soluzione”, riprenderebbe di fatto il suo importante ed “alto” ruolo, ma sarà comunque una prova impegnativa perché i rischi non mancano, ivi compreso quello segnalato da (MA) laddove avverte “attenzione che l’eutanasia non diventi un eccesso di libertà riducendo la vita ad un interruttore da spegnere al bisogno”.
P.B. 19.09.2021
(P.B.)
Sono completamente d’accordo con P.B.
Aggiungerei, se mi è concesso, che ad indebolire le potenzialità decisionali della politica, oltre all’antipolitica, ha contribuito il crollo di credibilità che negli ultimi decenni la nostra classe dirigente, a torto o a ragione, ha subito.
In effetti, se si ripensa alle capacità, all’onestà e al livello culturale dei politici della Costituente e del primo dopoguerra, è legittimo pensare che al giorno d’oggi si siano fatti davvero tanti passi indietro.
Andrea
(Andrea)
Mi sono perso la presa di posizione del vescovo mons. Camisasca, le critiche che gli sono state rivolte e la difesa dell’on. Castagnetti. Ma quanto argomentato dal prof. Ottavio Tarabelloni mi basta per dire qualcosa anch’io, perché non solo il tema ma anche l’imminente termine per la consultazione referendaria meritano larga attenzione.
Mi è capitato di leggere su quotidiani nazionali interventi di mons. Camisasca su argomenti disparati e non mi è mai parso persona che si possa nemmeno lontanamente paragonare a un terrapiattista. Tuttavia il caso esemplare di Giovanni Nuvoli, per come Tarabelloni lo ha descritto con incisiva lucidità, è secondo me pregnante e cogente. L’assistenza al suicidio data da Marco Cappato a Dj Fabo ha aperto una questione che non si può eludere e che verte sul principio di autodeterminazione di ogni persona. Qualunque sia la nostra più intima convinzione riguardo a vita e morte, oggi è divenuto impossibile precludere questo diritto individuale.
Ammettere il diritto di autodeterminare la propria morte: oggi è possibile rimuovendo dall’articolo 579 del Codice Penale la qualifica di reato penale per chiunque cagioni la morte di una persona con il suo consenso, a condizione che la determinazione sia libera e accertata. Questo è quanto il promotore del referendum, l’Associazione Luca Coscioni, rivendica: “attualmente, l’articolo 579 prevede che «chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni». Il referendum vorrebbe che l’accusa di omicidio, e quindi la reclusione, venisse applicata solo se il fatto fosse commesso contro una persona minorenne, incapace di intendere per condizioni di infermità mentale o abuso di sostanze, o nel caso in cui il consenso fosse stato estorto con la violenza o con l’inganno”. Così afferma l’Associazione (https://referendum.eutanasialegale.it/wp-content/uploads/2021/06/Scheda-Il-fine-vita-in-Italia-ALC.pdf )
L’introduzione nell’ordinamento italiano della Dat (Determinazione anticipata di trattamento) non ha esaurito la questione: i casi simili a quello descritto da Tarabelloni, in cui la sopravvivenza è (penosamente) garantita dalle macchine, persino contro la volontà del paziente, saranno anche pochi ma non eccezionali. La Corte Costituzionale ha richiamato il Parlamento a legiferare riguardo alla lacuna che il caso Dj Fabo ha aperto. Dallo scorso 12 maggio c’è una proposta di legge in discussione (contestata dall’Ass. Luca Coscioni).
Purtroppo vedo anch’io, come tanti, il rischio che il Parlamento non sappia far di meglio che emanare una normativa “garantista” più nei confronti di tutte le posizioni ideologiche e dottrinarie attive nel panorama politico che verso l’intimo interesse di ciascuna persona. Questo significherebbe interporre nel fatto personale del cosiddetto “fine vita” l’ingombrante e, spesso, non utile azione della macchina dello Stato, fatta di istanze, uffici, comitati, il classico mostro spersonalizzante che deve far rientrare ogni caso reale nella casistica prestabilita e piegarlo alle sue ragioni. La giusta esigenza di difendere i deboli e i meno capaci potrebbe venire superata dalle logiche di schieramento.
Ora però, al possibile cerchiobottismo della nostra politica potrebbe subentrare la leva referendaria. A mio avviso, ciò non è senza pericolo. È proprio il meccanismo del referendum, interpellato ancora una volta per supplire alla politica parlamentare, ad agire spartendo l’elettorato in opposte schiere e quindi imponendo (o non imponendo) a tutti l’opzione vincente. Ritengo giusto e importante quanto sottolineato da Ottavio Tarabelloni, che la possibilità dell’eutanasia data a tutti non obbligherebbe nessuno. Ma il percorso normativo che è stato intrapreso non è privo di rischi. Fra quanto mi è capitato di leggere, io condivido l’argomento messo in risalto da Davide Ferrario su “La lettura” del Corriere della sera del 29 agosto scorso, che muove dall’esame dello slogan che ha preso piede nell’opinione pubblica repubblicana negli Stati Uniti: “my body, my choice”. “Non siamo fatti – osserva Ferrario – per vivere da soli e nemmeno per morire da soli. La morte è stata a lungo un fatto pubblico (…) l’ultimo atto della vita piuttosto che la sua negazione”. Oggi il dolore appare ai più non solo inspiegabile ma anche insensato e questo ci spinge a volerlo allontanare dall’esperienza, come è già stato fatto con l’evento della morte. Secondo Ferrario, “sarebbe necessario, insieme al diritto all’eutanasia, costruire anche una consapevolezza del soffrire e del morire. Ma temo – conclude Ferrario – che le motivazioni di molti che hanno firmato per il referendum siano invece un effetto di quella surdeterminazione della libertà individuale che caratterizza lo spirito dei tempi e di cui tanti esempi vediamo ogni giorno. In questo senso la morte finisce per essere una sorta di commodity definitiva: l’ultima prova di essere padroni di qualcosa piuttosto che la definitiva ammissione di non possedere davvero nulla per sempre”.
Sono profondamente d’accordo con queste considerazioni e credo che solo lo sviluppo di una prassi medica più motivata e attrezzata, più attenta alle cure palliative e alla necessaria attenzione al rapporto con il paziente, possa aiutare, nei casi reali, sia il malato terminale che i suoi familiari ad affrontare l’ineffabile. Non escludendo l’ultima ratio dell’assecondare la richiesta di eutanasia che il paziente lucidamente determinato desideri.
Le voci di quanti partecipano al dibattito pubblico sono preziosi contributi a riflettere. Mi auguro che non manchino persone informate che vogliano dedicare la fatica di scrivere per Redacon su questo argomento.
(Roberto Carriero)
Se il cerchiobottismo della nostra politica evocato da Roberto Carriero – e che sembrerebbe non essergli granché gradito – significa la ricerca di una soluzione intermedia, che possa comporre o ridurre in qualche modo le distanze tra punti di vista opposti, o quasi, io non lo censurerei e respingerei a priori, anche perché potrebbe evitare quei pericoli o rischi che intravvede lo stesso Carriero.
Chi ora punta sulla “leva referendaria” per far valere il “principio di autodeterminazione di ogni persona”, considerandolo un diritto individuale non più precludibile, vorrebbe di fatto arrivare ad un finale di “vincitori e vinti”, il che non mi pare essere l’ideale in una materia tanto delicata, che richiederebbe invece di poter arrivare idealmente a determinazioni quanto più possibile condivise e “pacificatrici”.
Esito che richiederebbe, a sua volta, qualche “passo indietro” da ogni parte in causa, pur se ciascuna può avere buone ragioni da spendere, e se da un lato è rispettabilissimo il principio dell’autodeterminazione, non lo è sicuramente di meno quello ispirato da fede e religiosità, che da secoli ha dato luogo ad entità, vedi gli Ordini Ospitalieri medioevali, tese ad alleviare le sofferenze dell’uomo.
P.B. 24.09.2021
(P.B.)