Militare tre volte: la storia di Giannetto (Giani) Benassi
Io sono nato a Carano nel 1925. Sono venuto qui a Casella nel ’65. Mi sono sposato quando avevo 30 anni. A Carano saremo stati in 100. Al Melegaro invece , c’erano in tre: Adelmo di sotto, il sito dei Beretti di sopra e c’era Peppino, il padre di Primo e dell’altro. Peppino aveva due figli. Andavamo al Querceto, avevamo la balera. In due stanzine c’erano in dieci. In una ci si andava a ballare tutti i sabati o le domeniche, che venivano poi giù i Barozzi da Collina, quello del Castagneto…portavano giù qualcosa e lui gli davano la libertà. Suonava Amabile spesso. Andava poi a suonare anche al Costetto. Anche lui è morto giovane. Aveva sposato la “Ciccina”, la figlia di quello che era venuto a stare a Casa Talami, là dal pozzo. Erano poi tutti campi di Toschi. Così come a Ca’ di Pret, a la Calcinera, verso San Romano. Toschi aveva lasciato anche qualcosa a ciascuno della classe 1920.
La prima volta che sono andato a soldato sono partito il 22 di gennaio 1943. Ce l’ho nella mente perché mi ricordo che il 20 era venuta giù mia cugina, che stava a Castelnovo Monti. Una volta si andava a casa per le feste. All’8 di settembre sono scappato, mi ricordo che sono venuto su da Reggio a piedi, sono venuto su da sotto a Visignolo, poi sono venuto a Casale e quando sono stato lì prima di Casale c’era un gruppo di gente e mi son chiesto “Chi ci sarà?”. A Casale c’era “e marii dla Biondi”, lo chiamavano così, era un fascista, e parlava. Io me ne sono accorto, sono andato giù in fondo sopra alla cava. Non ci si passava, ho fatto una fatica a passare dentro a Munt Cùchel. Poi sono andato su a Castelvecchio, sono arrivato tra Castellaro e Castelvecchio. Dopo sono venuto giù che sono andato lì a Carano. Per farci tornare a militare hanno fatto il giro a catturare i vecchi. C’erano poi tanti della milizia. Hanno portato via mio zio Brando, Campani, Lino da Fontanella e uno del Cerreto. Ne hanno portati via una quindicina, li hanno portati in una caserma. Io sono andato, ci hanno rimandato a Firenze, dove eravamo per la prima volta. Da lì, una notte, ci hanno caricati su e ci hanno portato a Mestre, sempre sotto i fascisti. Là facevamo servizio sotto i tedeschi, là i fascisti facevano quello che dicevano i tedeschi. Lì a Mestre c’era un bombardamento tutte le notti.
Mi ricordo una volta che mi hanno dato una pedata… Ho sempre in mente che sono scivolato, per tirare su dei pezzi di lamiera che si erano piegati, mi han dato un calcio che sono caduto dentro la pozza. Dopo sono rimasto a Mestre fino a quando…C’era uno di Carano, a Mestre, un Rivi, fratello d’Erio e di Walter. I suoi due figli e sua moglie erano venuti a Carano, ma lui lavorava a Mestre per una ditta di cui non ricordo il nome. Tante volte andavo a casa sua e mi dava quello che avanzava. Una sera, lì dietro casa sua, c’era uno che veniva qui a caricare, aveva un camion rimorchio, portava della legna. Quel Rivi mi fa “Se vuoi che proviamo a farti caricare, che lui è un mio amico”. Allora mi ha caricato e abbiamo passato il Po. Sentivo quando passavamo nei centri: io ero nascosto sotto i sacchi della legna, sentivo quando fermavano il camion e lo perquisivano. Dopo ce l’ho fatta ad arrivare a casa la sera. Sono venuto a casa da Modena, sono arrivato a Carpi, da Carpi a Modena a piedi, poi da Modena sono andato a Sassuolo con il trenino e poi a Sassuolo uno mi ha detto di andare su da San Michele perché dall’altra parte c’erano i tedeschi. Di fronte a Roteglia c’era un mulino: da lì ho passato il Secchia, ma quando sono stato lì per prendere la via che viene a Baiso, sento un rumore e tutta una fila di camion che poi si ferma all’incrocio che sale. Erano i tedeschi che rastrellavano, allora sono tornato in Secchia. Quei tedeschi lì sono poi venuti su a Baiso, dove hanno fatto la malora. Hanno ammazzato. Mi ha salvato quello là, che altrimenti mi prendono a Sassuolo. Quel giorno lì, dove c’è quella pianta fuori nel mio giardino, i tedeschi uccisero il fratello di Pippo (Guidetti Fernando ndr) e Bruno da Capagnan (Panciroli Carlo ndr); Cucco invece lo hanno colpito in una gamba. Stavano lì a guardare la colonna venire su. Quelli che hanno ucciso erano lì a guardare. Erano quelli di Capagnano. Han trovato lì il fratello di Pippo, Renzo. Si erano messi in strada a parlare, a guardare quando sarebbero passati, invece li hanno ammazzati. Quello che si è salvato si chiamava Rivi Francesco, lo chiamano “Cucco” di soprannome, stava a Capagnano anche lui.
A Cerredolo invece ne avevano ammazzati tre che erano scappati come me. Erano di Sassuolo ed erano scappati pensando di essere salvi: li hanno catturati e li hanno impiccati. Poi hanno ammazzato quello che era un fratello di Merildo da Casa d’Orio. Lì, prima di Carpineti, che c’è un abbassamento. Hanno ucciso Mingulatt o Bigulatt, che hanno ammazzato dietro il monte ad andare in giù. Veniva dalla Villa di Valestra. Lo hanno ucciso in quelle curve lì da Casa Spadaccini. Qui sopra a Castelvecchio, invece, per un mese più o meno, venne un comando intero.
Io rimanevo nascosto a Carano: un giorno un tedesco mi vide proprio, però non mi disse niente.
Quando sono scappato quella volta là da Mestre, arrivato a Roteglia ho capito cosa succedeva, poi tagliai verso la Ca’ d’Ovio: ci arrivarono due smitragliate. Perché c’erano due corriere lì in fondo, da ca’ d’ Lusentun, lì prima di arrivare a Casone e prima dal Ponte. Non ero da solo lì alla Ca’ D’ovio, c’era della gente di Levizzano che guardava cosa succedeva a Baiso. Dopo sono venuto a casa, alla sera, ma poi siamo andati a dormire a San Cassiano. Eravamo io, mio fratello Pietro, Pietro Campani e altri: saremo stati otto o dieci. I partigiani passavano, c’è stata quella volta che i tedeschi sono venuti su da San Giovanni. Sono venuti su da Tresinara e nessuno se ne era accorto. Andò bene a Marconi quella volta là, si vede che lo avevano avvisato, ci mancava poco che lo catturassero nell’Alghera. Dopo è andato a La Mapiana e poi a Magliatica. Mi ricordo Marconi perché poi mi operò dopo la guerra. Aveva un cavallo bianco, forse era stato informato.
Di partigiani a Baiso ce n’erano, ma anche in mezzo ai fascisti. Uno lo hanno ucciso i partigiani a la Maestà. Poi ne uccisero un altro. Poi c’era quello delle Masere, che poi non si fece mai più vedere.
Un partigiano venne ucciso a la Riviera. Lo hanno ucciso lì sopra, prima di arrivare alla Riviera da Baiso. Era stata una pattuglia che veniva su da Roteglia. Venivano, si fermavano dal prete, poi andavano giù da Monte Lusino. Quel partigiano lì ha sparato ai tedeschi, dopo ha provato a risalire verso il bosco. Era lì sopra la casa nuova di Padulini. Il Prete ebbe un ruolo importante. Ne ha salvati tanti. Quando hanno crivellato Castelvecchio, Castellaro, Ca’ d Brugnoli, che hanno provato a sparare a Masòla. Masòla si è salvato, gli è andata bene. Erano stati attaccati dai partigiani, allora hanno iniziato a sparare. Era rimasto un tedesco a cercarlo, è scappato verso il campo ruzzolando verso il basso, si è salvato per miracolo. Era un fratello di Marcatt e degli altri di Capagnano, faceva il muratore, si chiamava Secondo.
A Magliatica invece è caduto un aeroplano. Era presto, doveva essere il ‘43. L’aereo è caduto tra Magliatica di Sopra e Magliatica di Sotto. I partigiani portarono i piloti all’asilo, dove rimasero sette o otto giorni. Mi ricordo che andammo a vederlo: era una cosa esagerata. Dopo è stato portato via tutto, ognuno prendeva un pezzo d’aereo. Ne avevo presi alcuni anch’io.
Di fascisti ce n’erano alcuni anche molto cattivi. A San Romano avevano storpiato uno, stava lì dove stavano i Munarini. Lo avevano massacrato di botte, che dopo andava via tutto storpio. Quello lì lo avevano disfatto: infatti lo trovai dopo che girava con un cagnino quando tagliavo i boschi dei Monti, di fronte a San Romano. Stava lì con noi poi andava a casa, pian piano, lo avevano massacrato proprio.
A Baiso del '25 eravamo in quaranta, adesso siamo in tre: quello del Cerreto, me e quello di Casale. Di Casale ce n’era anche uno che aveva sposato una del Monte, stava in Vai. Era un bel ragazzo, aveva anche una sorella. Lui stava in Vai, così come i Barozzi. Mi ricordo l’ultima volta che è montato in corriera, quando dovevamo tornare via. Dopo non si è più saputo niente. Era tornato soldato prima che finisse la guerra, era lì davanti a casa di Zani, proprio il giorno in cui io e la tribù siamo andati via, a Scandiano, che avevano preso i vecchi. Doveva essere il 9 o il 10 di marzo del ‘44. Che poi la guerra è continuata per un anno. Quel giorno lì eravamo in dodici o tredici. Una parte di quelli del ’25 non li hanno neanche cercati.
A Carano i padroni erano i Rivi, quelli di sopra e quelli di sotto, che erano cugini tra loro. C’era anche il povero Nullo, quello che si è ucciso nell’incidente per Pasqua, colpendo un’auto. Era il più giovane. Suo fratello, il più vecchio, è quello che abitava a Mestre, in un’azienda grossa. Era amico con quel camionista lì. Sul camion eravamo solo io e lui. Lui, una volta ogni due giorni, veniva qua verso la bassa. C’ero solo io nascosto sotto i sacchi di legna, è lunga venire da là fin oltre il Po a Carpi.
Dopo la guerra ho fatto altri diciotto mesi in Sicilia, nel primo esercito che hanno formato, la classe del 1925 è stata richiamata anche dopo la guerra. Era il primo esercito dello Stato, abbiamo tenuto gli abiti borghesi un mese.
Sono stato a Palermo, dove ho fatto quello che chiamavano “C.A.R.”, poi sono andato a Catania e da Catania sono andato a Siracusa. Abbiamo fatto l’addestramento. Le prime due settimane non avevamo neanche i fucili, adesso non mi ricordo come chiamavano questi fucili. Dopo abbiamo fatto addestramento con questi fucili. Da Palermo ricordo che una volta ci hanno portato a cercare il bandito Giuliano, ci tornammo altre due volte. Ci portavano la sera e poi venivano a prenderci al mattino. Mi ricordo tutti questi castagneti, delle volte sembrava essere qui. Ci hanno tenuto perché nel mentre hanno fatto le elezioni. Dovevamo tornare a fine dell’anno, ma poi ci tennero fino alle elezioni. Di Baiso eravamo sette o otto: io, Neo di Magliatica, Ferri Iose, Camillo della Zenaide, il fratello di Mario, quello che era in Comune.