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L’Elda racconta: Manenti il vagabondo

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Sinceramente non so se vi ho già raccontato di questo personaggio, sapete invecchiando si ricordano soltanto le cose di una volta e ci si dimentica spesso e volentieri di quelle recenti.

Molti di voi che avete una certa età avrete conosciuto questo vagabondo, che girava per il paese vestito come i pastori di una volta e parlava da solo senza alcun senso gesticolando, ma sempre sorridente.

I bambini lo additavano da lontano, perché sapete le persone diverse ti mettevano sempre un po’ di timore, i più grandicelli lo apostrofavano con frasi beffarde.

Lui si muoveva col suo sorriso sdentato stampato in viso, con l’abito di fustagno dal colore verdastro ormai sbiadito dal tempo, raccoglieva ogni foglio di giornale che trovava per la strada o vicino ai cassonetti, poi magari gliene allungava qualcuno Muzio il giornalaio e con quelli si imbottiva il panciotto che portava abbottonato sopra una camicia scozzese dal colore poco individuabile.

Da sotto l’ala di un cappello ormai senza forma, gli uscivano i capelli biondastri, poi dal momento che questo copricapo veniva portato alla ventitrè gli lasciava scoperta la fronte piena di righe orizzontali, la barba incolta e un paio di baffi non curati che però non gli nascondevano quel suo sorriso.

Raccontavano che il suo paese d’origine fosse Collagna, ma quando l’ho conosciuto io abitava a Bondolo. Era una persona originale che non aveva mai fatto male a una mosca, però questa diversità ti incuteva un po’ di timore.

Ricordo una sera d’autunno ero molto giovane 17 o 18 anni, erano le prime volte che mi recavo a Reggio a consegnare il lavoro di cucito nel quartiere di “Regina Pacis” e poi riportavo a casa quello da confezionare ben chiuso in una grande valigia, naturalmente viaggiavo sempre in pullman. Quel giorno eravamo in molte a consegnare e il controllo era stato molto minuzioso, si era fatto molto tardi, ma riuscivo a prendere l’ultima corsa, altrimenti avrei dovuto chiedere asilo alla mia grande amica e protettrice, l’insegnante Giuseppina Bertolotti (poi un giorno vi racconterò anche di lei) e di questo ne avevo già parlato con la mamma, perché non si preoccupasse se non arrivavo: il telefono in casa mia non esisteva.

Arrivavo a Castelnovo   che erano circa le 8,30 e scendevo dalla corriera all’ospedale, ora “fontana di San Pancrazio”, era già notte e c’era anche un po’ di nebbiolina

Con sta valigia pesante mi accingevo a intraprendere la salita del cimitero, quando sentivo una voce alle mie spalle che faceva:

“Signorina mi aspetti che l’aiuto”.

Era Manenti, io trovandomi in quella strada allora ancora deserta, c’erano solo tre case all’inizio del bivio, poi aperta campagna. Ebbi paura non so di cosa, ma letteralmente terrorizzata cominciai ad arrancare su per la salita, con questa valigia ingombrante, la gonna lunga e stretta che mi legava le caviglie, sapete ero andata in città e da brava campagnola mi ero vestita elegante con un tailleur azzurro e i tacchi a spillo che in quel momento mi si torcevano di qua e di là.

Non gli risposi mai, mentre lui continuava ad offrirmi il suo aiuto, poi fra bene e male cominciai ad intravedere le luci di casa e un ombra nera che mi veniva incontro.

Era mia madre che vista l’ora e con l’intuito che solo le madri hanno, mi veniva incontro, e con calma rispondeva a Manenti:

“Igh  sun me, adesa igh pens me”.

Traduco per chi non ha studiato il dialetto:

“Ci sono io, adesso ci penso io”.

Allora lui zittiva mugugnando qualcosa come, volevo solo darle una mano e rallentava il passo, poveretto voleva solo aiutarmi, ma quel personaggio di notte certamente mi aveva terrorizzato.

Poi qualche anno dopo, sposata e con dei figli ebbi modo di conoscerlo meglio. Mio marito com’era suo solito, quando trovava persone in difficoltà, si fermava volentieri a parlare con loro e qualche volta se lo trovava per la strada gli dava un passaggio e lo portava fino a Bondolo. Alle volte era di mattina, forse la notte l’aveva passata sotto qualche portico in paese e si era lavato sotto una delle tante fontane che allora c’erano sparse qua e là e saliva in macchina felice come un bambino.

Quando passava a piedi davanti a casa nostra si fermava dietro la siepe e si metteva sull’attenti con la mano alla visiera per salutare il “comandante” come lo chiamava lui, che se era in casa, subito si affacciava per salutarlo e lo faceva parlare facendogli varie domande.

Io però più che un cenno con la mano non riuscivo a fare, poi col passare degli anni ho capito che la mia era solo ignoranza   giovanile, cosa vuoi che facesse un povero vecchio abbandonato da tutti, cercava solo amicizia e nessuno gliela dava. I bambini lo guardavano da lontano, i ragazzini lo prendevano in giro, gli adulti non gli davano confidenza, per paura di trovarselo fra i piedi troppo spesso.

Pensare che lui non disturbava nessuno, non mi risulta che chiedesse l’elemosina o si ubriacasse, certamente se gli offrivano un panino non lo disdegnava, del resto il suo cognome e la provenienza mi faceva pensare a qualche famiglia benestante di lassù, ma di certo non ve lo so dire. Si parlava di un fratello affermato professionista in città, ma questo lo raccontava lui e non so dirvi quanto di veritiero ci fosse. Come non si sa se era vero o frutto della sua fantasia quando raccontava che si era ridotto così dopo essersi innamorato di una donna sbagliata.

Lui cercava solo giornali per imbottirsi bene i vestiti, chissà forse lo riparavano dal freddo o gli davano un senso di protezione certamente gli davano l’apparenza di un uomo robusto, invece mi hanno raccontato che quando è stato ricoverato in ospedale per un malore, quando lo hanno svestito, togliendogli di dosso tutta quell’imbottitura fasulla si presentò loro una persona solo pelle e ossa.

So che gli ultimi tempi li ha trascorsi nella casa di riposo a Busana, chi lo ha visto in quel periodo, diceva che era irriconoscibile, pulito e vestito con abiti normali, mi hanno raccontato che parlava volentieri e in modo corretto del suo passato, forse lì accudito nel modo giusto, dalle brave suorine, avrà trovato ciò che nella sua vita forse aveva sempre cercato, ma mai avuto, solo un po’ di amore.

     Elda Zannini

 

8 COMMENTS

  1. Ma Grazieee Egregia Signora Elda,
    che stupendo ricordo mi ha fatto riaffiorare… avevo 7 o 8 anni non ricordo bene. Al sabato pomeriggio con mio Nonno Gino si a andava in paese a girottolare… Mio Nonno gli dava sempre qualcosa…e bevevano un quartino, erano Amici di lungo corso.
    Ricordo perfettamente questo Stupendo Personaggio… IL MANENTI. alcune volte mi chiedeva con estrema gentilezza di andare a raccogliere i giornali vecchi al Bar Italia … dicevano… possedesse una Intelligenza superiore alla media. Beh… era sempre bello vederlo… ed è stato UN ONORE Conoscerlo.
    Nota:
    I giornali li metteva sotto la camicia per proteggersi dal freddo e dal caldo … così diceva…
    Massimo Pinelli

    • Firma - Massimo Pinelli
  2. Grazie Elda per i tuoi racconti che leggo sempre perché mi fanno tornare alla mente storie di taaanti anni fa…. Quando ero piccola, dalle mie parti, girava un signore che chiamavano Ce’duluv e noi bambini avevamo paura di lui mentre i più grandicelli lo prendevano in giro proprio come nel tuo racconto! Qualcuno sa qualcosa di questo signore?
    Maurizia Caselli

    • Firma - Maury
  3. Complimenti signora Elda, ritratto perfetto.
    Manenti, era spesso nella piazza delle corriere, quando -più di 40 anni fa- frequentavo l’IPSIA a Castelnuovo. Ricordo un giorno che pioveva a dirotto e Manenti era bagnato fradicio… io con un po’ di timore, gli ho offerto metà gnocchino con la mortadella che mi era avanzato dalla pausa del mattino a scuola (li preparava la bidella). Lui l’ha preso volentieri e mi ha ringraziato con un sorriso, dicendo “grasia” e qualcos’altro che non ricordo bene. Sicuramente, come dice lei, aveva solo bisogno di qualche amico e un po di amore. Che bel racconto.
    Sandro Beretti

    • Firma - Sandro Beretti
  4. Vado avanti con la storia: Pietro era dei Manenti di Valbona una ricca e importante famiglia che aveva in casa anche un prete e un notaio. E’ vero che è diventato “originale” per aver dovuto lasciare l’amata non approvata dalla famiglia. Andava a Bondolo, dai Parisoli da la Torra, che erano suoi primi cugini. Li, alla Torretta, aveva una stanza costruita apposta per lui dove riposare e rifugiarsi a suo piacimento, ma soprattutto trovare sempre un piatto di minestra. E vero anche che a Bondolo possedeva un buon numero di terreni tra prati e boschi. Il Manenti vagabondo è scomparso quando gli è venuto quello “scarabocchio” che lo ha costretto prima in ospedale poi alla casa di riposo. Chi lo è andato a trovare lo ha descritto come irriconoscibile, un distinto, serio, elegante uomo che ragionava a filo. Riposa a Valbona

    • Firma - Davide
  5. Ringrazio questa persona che ha fatto un po’ di luce sul mio racconto, tutte cose che io non sapevo, le potevo solo immaginare, grazie ancora a Lei e a tutti i miei lettori che hanno conosciuto questo strano personaggio e saranno felici di leggere tutto questo Elda Zannini

    • Firma - EldaZannini