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Buon ondulato Natale. Nel segno della Speranza montanara

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Natività a Gottano (di Antonio Pigozzi)

Avrete notato che agli editorialisti dei quotidiani nazionali spesso richiesto di commentare scenari attuali in un’ottica futura. Cosa accadrà alla luce di quanto stiamo vivendo? Fortunatamente, noi lettori, abbiamo la memoria corta e non ricordiamo le tante volte in cui le cose non sono andate come prevedevano gli esperti.

Penso, allora, anche ai giornalisti americani che, nei giorni del mio primo e al momento ultimo viaggio negli States, del marzo scorzo - giusto appena in tempo per rientrare prima del blocco dei voli -, avevano dipinto il nostro Paese come un lazzaretto e, qualche esercente, mi chiese nemmeno troppo garbatamente di lasciare i soldi sul banco, dato che previdentemente non li voleva toccare direttamente. Nessun editorialista del paese a stelle e strisce aveva però previsto quanti morti avrebbero avuto gli Usa 9 mesi dopo, in forza della libertà americana.

Ho sempre sorriso pensando al detto “brindiamo all’anno che verrà, migliore di quello passato”, per la sua ripetitività, per la sua non applicabilità a tutte le persone, per l’oggettiva impossibilità di predire il futuro, al pari degli editorialisti dei quotidiani.

Ascolto con piacere i commenti di molte persone speranzose di un 2021 migliore del 2020. Forse era dai tempi dell’ultima guerra che non ci si trovava davvero così in tanti a valutare negativamente un anno che giunge al termine. Eppure il 2020, nella sua pronuncia, suonava davvero bene. A Parma ne fecero, giustamente, uno slogan per l’Anno della cultura: 20-20 e relativi gadget. Un numero ondulante che, per la decade, si ripeterà nel 3030. Ma noi non ci saremo e, forse, nemmeno Redacon e allora ci dobbiamo accontentare di quanto abbiamo vissuto. Credo che, comunque, la stragrande maggioranza di noi l’anno passato lo lasci volentieri alle spalle, io tra questi.

Addirittura ho titubato, oggi, su un biglietto di auguri. Non ho scritto l’anno, come faccio di solito. Mi sono limitato a un semplice “Buon Natale”. Tanti e troppi lutti portiamo nel cuore. Un famigliare, un’amica o un amico, un/una collega, un/una conoscente del quale avevamo particolare stima: per sempre ricorderemo il loro anno di morte. Il comune denominatore di tutto questo è in larga parte un virus che nemmeno voglio nominare col suo nome proprio accanto alla parola “Natale”.

Nessun virus, grazie al Cielo, può strapparci la gioia del Natale nel cuore. E nessun virus può strapparci la speranza di un anno, davvero, migliore. Non sapremo come sarà, nessun editorialista o infettivologo lo può scrivere, anche se molti ci proveranno. Ma possiamo coltivare la speranza nel cuore. La Speranza è la nostra previsione di un futuro migliore. Sperare, per altro, costa poco, aiuta il pensiero positivo e, di conseguenza, a fare avverare le cose.

Nella speranza dovremo essere bravi a lasciare da parte la rabbia (chi per la crisi, chi per le chiusure, chi per la mancanza della movida….), dovremo sapere custodire il prezioso ricordo di chi non c’è più e dovremo imparare a coltivare non un mondo ma almeno il “nostro orto” migliore.

Infine, una parola sul nostro meraviglioso Appennino che alcuni, come flebili luci di stelle nel cielo, stanno riscoprendo per quello che è. Mentre le folle fanno paura, noi che le folle le vediamo si e no per la Fiera di San Michele non siamo solo un luogo di scomodità, di frane, di anziani, di fuga di giovani laureati o di mancanza di collegamenti. Le nostre montagne, ho sempre pensato, hanno un che di abbraccio materno. Sono come un borgo fortificato che sa proteggere e sfamare nella sua essenzialità: millenni fa gli uomini primitivi, poi le genti del medioevo, poi i nostri nonni, i partigiani… oggi noi che abitiamo e camminiamo qui lontani dalle maggiori preoccupazioni delle città.

Nel segno della Speranza, Buon Santo Natale a tutti i nostri affezionati lettori.

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