Riceviamo e pubblichiamo.
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La parte della provincia reggiana classificata territorio montano sfiora i 1000 kmq. In questa fetta di montagna ci sono tredici comuni e circa 40.000 abitanti. Un tempo raggiungevano anche i 63/65.000. Nel corso degli anni del dopoguerra questa fetta di provincia si è trasformata in un grande zoo senza recinto. Un tempo non lontano vi regnava qualche lupo, la volpe, il tasso, la lontra la faina, la martora, la puzzola, lo scoiattolo, la lepre, il riccio, la donnola, la poiana e tante varietà di uccelli. Fiumi e torrenti erano ricchi di pesci e gamberi. Regnavano branchi di starne, pernici rosse, coturnici.
Ora quel territorio si è arricchito di cinghiali, caprioli, cervi, marmotte, mufloni, lupi, linci, istrici, daini. Manca solo l’orso, la zebra e il castoro.
Analizzando tutto questo nuovo impatto animale è quasi impossibile, occorrerebbero vari studi e ricerche mirate. Io al momento, per quello che vivo ogni giorno sul territorio, da ecologista senza emblema di riconoscimento, mi limito ad alcune osservazioni.
Ad esempio, a proposito del cinghiale, le reazioni di chi vive sul territorio dicono che è incompatibile con l’attività agricola, ed è più che vero. Io aggiungerei che è incompatibile con il complesso ecosistema del territorio. Vediamo il perché: questo animale ha distrutto buona parte degli antichi muretti a secco, un pezzo di storia del nostro paesaggio agrario, sin da tempi antichi. Tutto questo per ricavarne famiglie di vipere, bisce, ramarri, topi, rospi, rane.
Girando per boschi e campi, raramente ci si imbatte in un rettile, un tempo cosa normale. Nella parte alta, sopra le faggete, nelle praterie e mirtillaie, ogni varietà di uccelli depongono le uova a terra: allodole, coturnici, ecc. si vedono distruggere i nidi, bere le uova, divorare covate di piccoli. Nelle praterie dei nostri monti, Cusna, Ventasso, Cavalbianco, La Nuda, Casarola, non si trova più una giunchiglia. Così per il giglio rosso (Leucosium sillo), i crochi la musiaria e tutti i fiori col bulbo.
Sarebbe bene, una volta per tutte, che si smettesse col pressapochismo e si affrontasse il problema in modo serio con studi e ricerche su basi scientifiche.
La presenza del capriolo si stima in almeno 20-22.000 esemplari, una quantità incompatibile con la turnazione delle foreste, perché brucando i nuovi germogli i caprioli impediscono al bosco di riprodurso. Altrettanto dicasi per i castagneti. Ugualmente dannosi sono poi i cervi, sia per il sistema agricolo che per la forestazione.
E infine gli istrici, molto attenti alle piantagioni di patate, sono la disperazione delle famiglie che si ostinano ancora a seminare patate nei propri campi. Tali coltivazioni vengono distrutte da questo grazioso animale che in cambio lascia sovente lunghi aghi come ricompensa.
Per quanto mi riguarda personalmente, intendo far causa agli enti preposti perché, abitando io sulle nostre montagne, precisamente a Marmoreto di Busana, da ben prima dell'esorbitante presenza di cinghiali, caprioli e cervi, voglio poter continuare a curare boschi e castagneti, frutteti e l'orto. Voglio vedere alzarsi le allodole in volo, voglio sentire il profumo delle giunchiglie, voglio vedere la poiana piombare sul rettile portandolo in alto, inchiodato ai suoi artigli.
Questa è a mio parere vera ecologia o, come direbbe il mio amico Paride Allegri, “rispetto del Creato”.
(Giacomo Notari)
Specie
Tante specie, tanti problemi. Tutto risolto se l’ente che vuole la presenza di questi animali risarcisce il danno provocato da essi unitamente ad una selezione capillare da parte dei cacciatori. Ma dall’esempio più lampante degli incidenti stradali che con la scusa del cartello col cerbiatto non vengono pagati capiamo in quale direzione ci si sta movendo. In assenza di predatori naturali è l’uomo che deve intervenire per rendere sostenibile il numero di certi ungulati nel territorio. Tutto questo è però ostacolato da tanti che nel nostro Appennino parlano inutilmente.
(Alessio Zanni)
Appennino rubato
L’Appennino purtroppo ci è stato sottratto pian piano; prima da un progetto demenziale dell’associazione cacciatori, che ha avuto la bella trovata di “spalmare”, su tutto il territorio montano, i cinghiali e qualche anno dopo i caprioli. Poi, nel’92, è nato il Parco, che si è dimostrato infruttuoso e vincolante per l’agricoltura e la selvicoltura e gli abitanti hanno il disagio delle zecche infette, dei lupi, dei raccolti devastati, delle macchine ammaccate, delle parcelle al pronto soccorso e così via.
Mi chiedo: si può vivere in montagna?
(Lilia)
Complimenti
Complimenti a Giacomo Notari per la precisa e attenta valutazione della realtà montana. Si è però dimenticato delle zecche e di tutte le problematiche ad esse collegate. In questi anni ho infinite volte segnalato, scritto, interpellato attraverso organi di stampa, sedi consiliari ed istituzionali, lo stato di grave degrado del territorio causato dall’abbandono e da una gestione fallimentare dell’ambiente e degli animali che in esso vivono, compreso l’uomo, qui da noi specie in via di estinzione. Ho altrettante infinite volte rivolto appunti al Parco nazionale, che mai ha tenuto conto dei nostri usi e costumi legati ad un’economia rurale e contadina. Hanno persino premiato chi è emigrato e non premiano chi, anche ostinatamente e con grande sacrifici, è rimasto a vivere nelle nostre montagne. Visto che le mie segnalazioni e i miei suggerimenti mai hanno ricevuto risposte o attenzioni, partendo da una persona che non condivide la gestione del potere locale, mi auguro che le parole del signor Notari suscitino un interesse maggiore nelle sedi dove vengono prese le decisioni riguardanti la montagna.
(Fabio Leoncelli, consigliere di minoranza a Busana)