Questo ciò che è accaduto negli ultimi lustri nei corsi d’acqua d’Appennino. Ormai estinto il Barbo Canino, unico al mondo a vivere qui. In difficoltà o scomparsi: il Cobite, il Ghiozzo, il Gobione e, più in alto, la Sanguinerola e lo Scazzone
Che esista un emergenza climatica e ambientale a livello planetario è chiaro a tutti, o così dovrebbe essere. In questo articolo però lo sguardo sarà rivolto solo sugli ambienti acquatici della nostra provincia, ragionando sul declino che negli ultimi tempi hanno subito. Non c'è bisogno di essere ultranovantenni per averlo constatato, anche un trentenne di oggi ha potuto cogliere i segnali del cambiamento.
Quello che spinge chi scrive a parlare di pesci e di altre forme di vita acquatiche già scomparse o che rischiano di esserlo, è la loro invisibilità per i non addetti ai lavori. Tutti ci siamo accorti del drastico calo di rondini e passeri; un fatto che ci rattrista e ci impegna in preoccupate discussioni. Quanti, sempre per fare un esempio, sanno del barbo canino o della lasca?
Dal punto di vista idrico la nostra provincia è caratterizzata da una zona di pianura occupata dal Po e dai suoi canali, e una di collina-montagna comprendente la parte reggiana dei bacini dell'Enza e del Secchia e quello minore del Crostolo. È proprio in questi corsi d'acqua e nei loro fragili affluenti che la perdita di biodiversità si è fatta più sentire.
Per avere un'idea più precisa delle dimensioni del problema, farò un sommario elenco dei pesci scomparsi o ridotti al limite dell'estinzione nella nostra provincia.
L'Anguilla era un tempo comunissima in pianura, ma popolava anche i nostri torrenti di montagna. È una specie importantissima, ma fortemente minacciata a livello mondiale. Per il suo particolare modo di riprodursi non è possibile allevarla (nelle valli di Comacchio si limitano a catturarle e a farle ingrassare, cosa ben diversa da un allevamento vero e proprio).
Il Luccio era il predatore per eccellenza nelle lanche del Po, un habitat fatto sparire quasi totalmente, e si poteva trovarlo anche nelle risorgive dell'alta pianura, quando queste c'erano ancora.
In Po non si trovano più il Pigo, la Savetta, la Lasca, il Triotto, la Scardola, e anche un pesciolino comunissimo come l'Alborella ha rischiato di sparire. Il fatto curioso è che mentre è in sofferenza nel suo ambiente naturale, al Lago Pranda l'Alborella è infestante. Lì è presente con una miriade di esemplari di piccolissime dimensioni, probabilmente conseguenza del suo uso come esca viva nella pesca della trota.
Non è l'unico pesce che ha trovato rifugio in qualche lago di montagna. Il caso più noto è quello della Tinca, ormai scomparsa in pianura ma presente con una certa popolazione nelle acqua ferme in quota, spesso con popolazioni affette da nanismo e comunque minacciate dall'introduzione di altri pesci. Esemplare in proposito è la situazione del Lago Le Gore, dove ultimamente sono apparsi dei piccoli ciprinidi alloctoni mangiatori di uova. Probabilmente la loro presenza è una conseguenza involontaria dell'introduzione di trote di allevamento perpetrata negli anni per assecondare gli amanti del pronto pesca. Anche al vicino Lago Scuro le trote di immissione hanno causato danni facendo sparire la popolazione di Tritone Crestato. Qualche mente illuminata ha anche pensato di introdurvi alcuni piccoli lucci, non arrivando a capire che un predatore così abile in un ambiente piccolo e chiuso avrebbe finito per divorare tutte le tinche. E’ auspicabile che non siano sopravvissuti.
Altri piccoli pesci scomparsi o in grande difficolta sono il Cobite, il Ghiozzo, il Gobione; poi salendo di quota ricordiamo la Sanguinerola e lo Scazzone. Anche il gambero di fiume, che pretende acque molto pulite, vede il suo areale ridursi sempre più, mentre si estende quello del dannosissimo Gambero della Louisiana, una delle tante specie di animali cosiddetti alieni che stanno invadendo i nostri ambienti acquatici e terrestri.
Il caso che più di tutti ci deve fare riflettere è quello del Barbo Canino, che è una specie endemica dell'appennino settentrionale. Questo vuol dire che quando sarà scomparso da questo territorio, e in provincia di Reggio è già successo, non ci sarà più un solo esemplare sulla faccia della Terra.
Le leggi della Regione impongono limiti sempre più stringenti ai pescatori: periodi di divieto, proibizione di tecniche e di esche particolarmente redditizie, misure minime, numero massimo di pesci catturati, protezione totale per alcune specie. Sperando nel senso di responsabilità delle persone, che purtroppo non tutti possiedono, questi provvedimenti si sono resi necessari per non aggravare la situazione.
Tutto giusto, ma non possiamo pensare che sia questa la strada principale in grado di ripopolare i fiumi e riportarli in condizioni migliori.
Faccio l'esempio del vairone, un piccolo pesce un tempo abbondantissimo nei torrenti dalla collina fino all'alta montagna. Negli anni '60, con la famiglia li pescavamo tranquillamente in Enza e in Secchia e immancabilmente finivano in padella. Come l’autore di questo pezzo c'erano tantissimi altri pescatori e nessuno mollava niente; eppure la settimana dopo c'era ancora da divertirsi.
Questo pesce oggi è giustamente tutelato: non si può pescarlo dall'1 aprile al 30 giugno, la misura minima è 10 cm, e 30 esemplari è il numero massimo di catture giornaliero (nelle zone di Rete Natura 2000 il rilascio è obbligatorio). Eppure non ci sono praticamente più pescatori e ancora meno pesci. Perché?
L'inquinamento è certamente tra i problemi principali. C'è quello sistematico degli scarichi che riversano quotidianamente i loro veleni, ma c'è anche quello occasionale che non è meno pericoloso. Può succedere per un incidente, spesso dovuto a incuria, oppure può essere deliberato. Di solito si sceglie di fare questi gesti incivili dopo un temporale, quando l'acqua è naturalmente torbida, così da evitare che vengano scoperti subito, come è successo quest'estate in Enza appena sotto il ponte che collega con Cedogno. Ha provocato una grave moria di pesci, poi il torrente è ritornato nel suo aspetto normale, e al passaggio non si nota il disastro che è stato provocato.
Vorrei però puntare il dito su altri due aspetti che ritengo fondamentali: la diminuzione della portata e l'escavazione della ghiaia. Il primo è dovuto al sempre maggiore prelievo idrico, oltre che alla diminuzione delle piogge. È intuitivo pensare che un fiume con meno acqua porti meno pesce. Questo è ancor più vero se vengono a sparire le buche e il percorso diventa più rettilineo. Il massiccio prelievo di sassi nell'alveo ha ridotto i nostri fiumi ad un lastricato di piccoli ciottoli nei quali scorre un velo d'acqua che non raggiungere mai un minimo di profondità e nel quale non si formano zone riparate.
Osservando torrenti come il Rossenna, il Tassobbio o la Lonza è facile ricordare che qui un tempo ci si pescava. Oggi, pur volendolo, non sarebbe possibile. Non ci sono i pesci, ma non ci sono neanche le condizioni per appoggiare una lenza in acqua.
Errico Chiari, Guardia Ecologica Volontaria del Gruppo GEV di Reggio Emilia
Avevo 12 anni quando cominciai a pescare sul fiume,accompagnato dai pescatori adulti. Di Enza e Secchia, conoscevo per nome, quasi ogni sasso… Poi, più grandicello, la pesca a mosca e la costruzione degli artificiali. Da qualche anno però, vedendo il Secchia in secca, nei pressi del Pianello ho smesso di pescare… Pensavo : che pesci potrà avere un fiume che d’estate è senz’acqua?? Nel frattempo, camminavo più spesso in montagna, notando una sempre maggiore captazione delle sorgenti.. Ora, se è vero, com’è vero, l’antico motto del Principe Antonio De Curtis (in arte Totó) che È LA SOMMA, CHE FA IL TOTALE, beh questi sono i risultati… Ineludibile…
Umberto
Grazie per aver sollevato un altro grande problema di incuruia e dissesto del nostro appennino.E’ veramente una cosa vergognosa come vengono gestiti i corsi d’acqua.Vorrei segnalare anche una altra cosa: le captazioni nel Secchiello al ponte di Gatta per Toano; secondo ,sempre , la possibilità di risalita dei pesci alla sottostante briglia.Innumerevoli sono le cose da segnalare.
Comunque grazie .Continua . Noi ti seguiremo.
giuse22250
Ottimo articolo scritto magistralmente. Porta a conoscenza di tanti che dei fiumi non sanno quasi nulla, che i nostri fiumi sono vivi, nonostante tutto. E per questo motivo vanno difesi e tutelati; abbiamo torrenti molto belli in Appennino, molti ancora sani, molto selvaggi a volte. La situazione inquinamento è molto migliorata rispetto agli anni 70/80, complice anche lo spopolamento della montagna, ma anche la maggiore attenzione delle amministrazioni e dei cittadini.purtroppo è peggiorata quello della portata idrica, come giustamente ricordato nell’articolo, e questo fa sì che a volte l’acqua non risulti pulita a causa della incapacità del fiume di diluire le sostanze inquinanti. Per quanto riguarda il problema specifico dei pesci, oltre ai motivi elencati nell’articolo aggiungerei il problema causato dagli uccelli ittiofagi (che mangiano i pesci) in particolare i cormorani. Ne esistono stormi consistenti in Secchia ed in Enza nei tratti intermedi. Nel Secchia in particolare se ne trovano grosse colonie lungo tutto l’asse del fiume, soprattutto a monte e a valle di Cerredolo. In inverno, quando non sono disturbati da bagnanti e pescatori, fanno razzia di pesci, in particolare di cavedani e vaironi essendo questi pesci gregari che tendono a non nascondersi in tana come fanno le trote, che comunque vengono predate pure loro, anche se in misura minore. Quando arriva un branco di cormorani in un tratto di fiume, quel tratto viene velocemente ripulito, essendo che ogni cormorano mangia ogni giorno il suo peso in pesce. Sono uccelli migratori, ma negli ultimi anni sono diventati anche stanziali in certe zone, ed essendo protetti a livello europeo, con una legge totalmente anacronistica, si sono riprodotti in maniera esponenziale. In varie regioni vengono fatti piani di abbattimento, ma non in Emilia, con il risultato che tratti di fiume una volta pescosissimi ora sono praticamente senza pesci. Perché proteggere uccelli assolutamente alloctoni che annientano popolazioni di fauna ittica indiscutibilmente autoctona?
Teddy
Vorrei che l’autore dell’articolo elencasse le zone ove si scava ghiaia.
Io vivo in montagna da 53 anni e sono decenni che i fiumi sono abbandonati e non vi sono concessioni di escavazione.
Attendo
Malvolti Roberto
È dagli anni 80 che non sono più permesse le escavazioni in alveo ma quello che è stato fatto negli anni 60 e 70 ha rotto un equilibrio e le conseguenze di questo le stiamo pagando adesso. Un fiume è un “organismo” unico le cui parti sono collegate in modo indissolubile. Le escavazioni nei tratti mediani del fiume, nel punto in cui esso esce dal tratto montano ed entra in pianura, hanno causato danni probabilmente irreversibili che richiederanno decenni perché si ritorni ad un relativo equilibrio. Se i fiumi sono più ripidi e veloci di quel che erano, con tutto ciò che ne consegue, è proprio perché due decenni di escavazioni,successivi lavori in alveo spesso inutili, avere sottratto spazio al fiume per guadagnare terreni ad uso agricolo, la cementificazione degli alvei e via elencando, hanno fatto abbassare anche di metri il letto del fiume. Acqua più veloce significa più erosione, riduzione della granulometria dei litoidi ( ghiaia di dimensione più piccola) quindi l’acqua non viene rallentata e il fiume si raddrizza, fa meno curve e scorrendo più veloce scava ancora di più il letto e Va ancora più veloce. Un fiume non ha bisogno dell’uomo; basta lasciargli spazio e rispettarlo. Quando però l’uomo causa danni come quelli prima elencati bisogna intervenire con costosissime opere di Ripristino. E i soldi non ci sono.
Teddy
Il mio riferimento è soprattutto alla zona dove c’è più ghiaia da prelevare. Faccio un esempio che mi viene in mente: pochi anni fa passando ho visto nel’Enza in Comune di Ciano due ruspe e ho contato otto camion tra quelli che erano in attesa, quelli che caricavano, e quelli che stavano immettendosi in strada, Un’istantanea di un momento che lascia pensare a quale possa esserestato il bilancio finale dell’operazione. Venendo al Secchia ho citato di sfuggita la situazione a La Gatta, e da lì in giù non c’è che l’imbarazzo della scelta.
Errico Chiari