Ora che il lievito è tornato a essere un bene reperibile sul mercato e che il pane non si fa più (o almeno non sempre) in casa, Lapam Alimentazione commenta con favore la decisione della Corte di Cassazione che ha detto stop al pane precotto venduto sfuso, come se fosse fresco di panificio. La sentenza respinge il ricorso di una società della grande distribuzione, considerata responsabile per aver violato le norme sulla panificazione e venduto nel supermercato di una grande catena pane acquistato da una ditta estera e ‘ottenuto dal completamento, previa cottura, di prodotto parzialmente cotto e surgelato’, privo di etichetta e di confezione. Secondo la Suprema Corte, se l'obbligo di confezione ed etichetta è un limite alla libertà di impresa, questo è comunque giustificato dall'utilità sociale, che è quella di informare il consumatore delle caratteristiche del prodotto, come previsto dall'articolo 41 della Costituzione.
“Plaudiamo a questa sentenza della Cassazione – spiega Daniele Casolari, referente sindacale Lapam Alimentazione - che favorisce la trasparenza e aiuta il consumatore ad acquistare con consapevolezza. Una decisione importante per i panificatori artigiani, per il loro lavoro e la qualità di un prodotto d'eccellenza. Siamo molto soddisfatti perché viene riconosciuto l’impegno quotidiano dei panificatori di qualità, e questo è un ulteriore passo avanti verso la trasparenza nei confronti dei consumatori e nella tutela della qualità. Ora – conclude Casolari - serve una legge nazionale che riguardi le etichette e i paesi d'origine del pane precotto per tutelare i consumatori e dare l'opportunità di capire con un colpo d'occhio se stiamo acquistando pane fresco o qualcos'altro".