SocialMonti
Questa rubrica vuole essere un luogo di spunti per stimolare una riflessione corale e collettiva su temi di attualità. L’idea è quella di partire dal nostro territorio verso cerchi più ampi, o vice versa ascoltare gli echi lontani e portarceli vicini.
Ho la fortuna di vivere in una piccola frazione in Appennino e di avere una bici da montagna, molto fruibile in questa stagione.
Stamattina avevo delle commissioni di fare nel nostro capoluogo montano e ho optato per salire in bicicletta, per fortuna con la pedalata assistita, per cui è un piacere muoversi anche se le strade sono ripide.
Ero quasi arrivata a destinazione quando ho visto una fila di auto ferme, in bici tranquillamente superabili. Con la coda dell’occhio ho intravisto dentro un’auto la signora che ha causato il rallentamento, respirava a fatica ed era in lacrime. Mi sono fermata, chiedendole se avesse bisogno di aiuto. Lei continuava a ripetere che non è capace di fare nulla, che non riusciva a guidare e le scoppiava il cuore da tanto che non respirava.
Sono una psicologa, col tempo ho imparato a riconoscere l’ansia, e la signora presentava tutti i segnali di un attacco di panico in atto. Nel frattempo le altre auto stromabazzavano, ho fatto in tempo a sentire qualche imprecazione del tipo “te pareva fosse una donna”, qualcuno sghignazzante e sprezzante ha fatto gestacci denigratori aggiungendo “se non sei buona di guidare stai a casa tua”.
Non ho replicato al guidatore di cui sopra perché ho ritenuto più urgente tranquillizzare la signora. L’ho invitata a scendere, e mentre cercavo di distrarla, ho applicato la procedura classica di contenimento, sperando facesse effetto, poiché in alcuni casi è necessario chiamare il medico.
Piano piano, per fortuna, il respiro è ritornato nella norma.
La signora mi ha raccontato un po’ di sé, dicendo che è un brutto momento, che si sente spesso incapace e che guidare le fa paura, le sembra che tutti la giudichino, ha il terrore di fare un incidente e di non avere i soldi per aggiustare la macchina. Inoltre ha paura che il marito le impedisca di guidare, piangendo disperata mi ha detto che è una “buona da niente”, che a casa non la capiscono, la deridono e la prendono in giro.
Non era proprio la sede per improvvisare un colloquio psicologico di sostegno, per strada in fondo sono una cittadina e non era un setting dove poter fare nessun tipo di intervento. Decido quindi di raccontare alla signora di me e di confidarle come ho superato io, persona, situazioni difficili in cui avevo la paura di essere incapace e presa in giro. Lei era tra il meravigliato e il divertito che una psicologa vestita da ciclista le avesse tenuto compagnia, facendole tornare il respiro regolare con poche parole e ora le raccontasse addirittura di sé.
Io non sono una “panicosa” per natura, ma nessuno è immune a provare ansia e paure. E di salite nella vita ne ho affrontate, ben più difficili del nostro Ponte Rosso che porta a Castelnovo. Così, le ho detto di quando all'asilo avevo visto la maestra preparare un foglio con un pesce pieno di pallini da colorare di rosso. Avrò avuto 5 anni e me lo ricordo ancora, sono stata sveglia tutta la notte con l’ansia di non riuscire a riempire quei pallini senza andare fuori dai margini. Mia mamma non sapeva più come rassicurami, e al mattino mi ha accompagnato a scuola, raccontando tutto alla maestra. Mi aspettavo di essere derisa e piangevo ancora più forte. Invece la maestra ha tirato fuori il compito del pesce, ha preso un pennarello rosso dicendo: vieni, ti tengo io la mano mentre colori fino a che non ti passa la paura. E se usciamo dai pallini ti do un altro foglio, fino a quando impariamo bene a colorarli. Io ero stupita, e grazie al suo aiuto ho capito che potevo stare dentro ai pois, e che mi ero preoccupata perché non mi sentivo “capace”. Ogni volta che ho dovuto superare prove molto più dure mi sono ricordata del pesce coi pallini rossi e della maestra che mi teneva la mano rassicurandomi: hai visto?
E mi ripeto “riuscirò anche stavolta”.
La signora, pensierosa, mi ha confessato che lei si sente così tutti i giorni. Dopo avermi ringraziato, se n’è andata dicendo di voler ricordare come le è tornato il respiro con le frasi che le ho insegnato, e che è un po’ come la storia della maestra e del pesce, insomma.
Il tutto si sarà svolto in dieci minuti, ma mi offre l’ennesima opportunità di riflessione.
Oggi è capitato a quella signora per strada in auto e chissà quante altre persone ancora si sentono spesso bloccate in mezzo al loro cammino.
Chi prova ansia anticipa la vita, segue un tipo di pensiero che inizia con “e se...?”, catapultando sé stesso perennemente nel futuro. E prova angoscia nell'immaginarsi inadeguato e impotente a fronteggiare l’eventuale situazione temuta. Se questo timore viene alimentato, le emozioni scaturiscono di conseguenza, fino a sfociare in manifestazioni fisiche importanti. Perciò, per poter cambiare le reazioni emotive occorre intanto osservare i pensieri e modificarli, portandovi un’attenzione vigile e costante.
Nel contenimento dell’ansia è molto utile ripetersi:
- a cosa mi serve fare questo pensiero adesso?
- dove mi porta pensare così?
- adesso non sta succedendo niente.
- è solo un pensiero.
E così via.
Ovviamente in caso di ansia permanente e ricorrenti attacchi di ansia generalizzata, o panico conclamato, è necessario consultare uno specialista. Talvolta è compito dello psichiatra prescrivere una terapia farmacologica idonea, spesso affiancata da una psicoterapia o da un percorso di sostegno per il disagio psicologico.
Tutto ciò può essere vissuto senza vergogna.
Perché qui si apre un altro capitolo: quello, vigente nel collettivo, di reputare chi avverte un malessere esistenziale e va dallo psicologo “non a posto”.
In realtà, chi si rivolge a un terapeuta ha senz'altro riconosciuto di aver bisogno di aiuto, e quindi è molto più “a posto” di chi pensa di non averne bisogno e deride a caso le persone.
Un suggerimento per tutti noi: prima di partire con un “ahaha, guarda quello/a lì” ricordiamoci:
1) deridere gli altri indica una grande insicurezza. Spesso si cerca di sminuire per elevare sé stessi, segno di forte inadeguatezza, celato da spavalderia per dissimulare la vergogna di chi si è.
2) su quella macchina bloccata per strada potremmo trovarci tutti un giorno o l’altro: noi stessi, nostro padre, nostra figlia o nostra sorella. Perciò meglio sospendere il giudizio e pensare che per qualcuno in questo momento vivere può essere complicato.
3) prima o poi potrebbe accadere a tutti di attraversare un momento di difficoltà. Chiedere aiuto non è segno di “malattia” da nascondere o di cui provare imbarazzo, ma di maturità e presa di coscienza, oltre che volontà di stare meglio.
Ci sono contesti molto poveri culturalmente, dove le emozioni e le fragilità vengono rifiutate, prese di mira, denigrate e derise. E chi è in difficoltà si sente ancora più in ansia di dover performare per non essere escluso dal “branco” o criticato.
Tutti noi possiamo fare qualcosa: smettere di inseguire una perfezione che non esiste, rinunciare all'illusione di voler essere migliori degli altri, includere nelle nostre vite le manchevolezze, far pace con le nostre imperfezioni.
Smettere di negare le proprie paure per apparire più forti non risolve il problema. Sminuire chi viene percepito meno prestante, nemmeno.
Meglio evitare di farsi caso degli altri e badare ognuno al proprio foglio da riempire e colorare, occupandoci di noi stessi invece di criticare e beffarsi di chi è in difficoltà.
(Ameya Canovi *)
*Ameya Gabriella Canovi è PhD, docente e psicologa, si occupa di relazioni e dipendenze affettive. Da poco ha terminato un dottorato di ricerca in ambito della psicologia dell’educazione studiando le emozioni in classe. Ha un sito e una pagina Facebook “Di troppo amore”.
Grazie Ameya per i suoi articoli che leggo sempre volentieri perché io stessa, spesse volte, sperimento quanto viene descritto. “E se…” è un mantra che mi ripeto di frequente, provando di conseguenza angoscia. Non è sempre facile modificare i propri pensieri, proprio in questo modo di vivere che poco invita al silenzio interiore e alla contemplazione; inoltre mancano gli “anziani” di un tempo che rassicuravano e consigliavano sulla vita, così come si fatica anche a trovare ” un prete per chiacchierar..”. Ancora grazie.
Rosaria