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Lo SPI CGIL della montagna chiede di ridiscutere la situazione della sanità sul territorio

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Riceviamo dal Sindacato Pensionati della CGIL della zona montana e pubblichiamo

La pandemia dovuta al covid 19 ha contagiato tanti, troppi  individui  e la conseguente emergenza ,più che dovuta,  ha prodotto gravi ritardi in tutti i settori ed in particolare nella Sanità evidenziando le differenze e contraddizioni  già preesistenti tra regione a regione, ma anche da territorio a territorio.

Il virus ha sì contagiato le persone anziane e non solo ed a tale proposito e stato un grave errore lasciare filtrare il messaggio che il virus avrebbe colpito quasi esclusivamente gli anziani, ipotizzando una quasi incolumità per le giovani generazioni.  Ma, il virus, non ha intaccato minimamente le malattie, anzi, aggravato una situazione sanitaria che, per alcuni individui, era già instabile e precaria alimentando in loro  insicurezza ed incertezza  di cui non ce n’era assolutamente bisogno.

La Sanità del Distretto dell’Appennino Reggiano ha riscontrato e riscontra  tuttora un rallentamento, se non quasi un fermo   nella prevenzione, terapia e cura delle patologie tra le più degenerative che col passare del tempo diventano e possono diventare altamente invalidanti. I reparti di Neurologia, Cardiologia e Diabetologia, interessate a tali patologie, rinviano in continuazione i controlli periodici e gli aggiornamenti delle terapie idonee, creando nei pazienti incertezze, dubbi e timori sulla effettiva tutela della propria salute.

Probabilmente, oltre alla naturale emergenza causata dal virus, esiste anche  un problema organizzativo nella sanità del distretto, forse una limitata conoscenza del territorio e dei propri abitanti che mostrano caratteristiche diverse dal resto della provincia  da qui l’esigenza di una lettura puntuale ed attenta   dei bisogni sanitari nel distretto montano  e che mostra attualmente  evidenti carenze nella erogazione dei servizi  alimentando la percezione  di importanti limiti nel rispondere con la dovuta efficienza ai bisogni di una popolazione residente particolarmente anziana e con una concreta difficoltà ad usufruire dei servizi presenti nel distretto difficoltà  dovute  sia ad una organizzazione dei mezzi di trasporto, che al timore di recarsi personalmente nelle strutture sanitarie.

Occorre ripensare al ruolo dei Medici di Medicina Generale non sufficientemente coinvolti ad assumere un ruolo centrale nella tutela della salute del cittadino, la carenza di Servizio Infermieristico Domiciliare atto a ridurre l’ospedalizzazione o  la presenza di operatori socio-sanitari altamente qualificati che rafforzino la domiciliarità e siano un concreto aiuto nei programmi di recupero e sostegno  sia agli ammalati che alle famiglie.  Certo ed indubbia l’esigenza di Strutture protette per anziani  che  con la dovuta professionalità accolgano persone non autosufficienti  nei casi in cui l’assenza di famigliari o famigliari assenti  non consenta loro la permanenza nel proprio domicilio o che  per i più  svariati e diversi motivi siano impossibilitati ad accudirli ed allora, occorre ripensare  un giusto sostegno sociale ed economico  se non anche previdenziale che riconosca il lavoro di cura. Non sarebbe solo una risposta al diritto alla vita ma un civile diritto alla qualità della vita. La struttura protetta, indispensabile per i casi più gravi, non può essere considerata una cura ma una semplice risposta ad una situazione che con  tutta la sua gravità incrina la dignità delle persone più fragili e delle famiglie coinvolte.

Il Sindacato da sempre ha dimostrato una forte  sensibilità rivolta alla  prevenzione  anche come  un lungimirante metodo di risparmio economico  nel medio periodo dei  costi della Sanità sulla quale mai come ora vediamo esserci speculazioni  che poco hanno a che vedere con la salute ed il benessere dei cittadini. Prevenire con la adeguate risorse economiche e professionali il mantenimento dell’autosufficienza  oltre che un bene per l’Appennino è un dovere del quale tutti noi dobbiamo farci carico, un atto di responsabilità  nei confronti di quei nuclei famigliari già fortemente provati dall’emergenza virus e che ha apportato  ulteriori incertezze   e timori per il prossimo futuro.

Alberto Tondelli SPI-CGIL Distretto Montagna

1 COMMENT

  1. Se non ne ho frainteso il senso, la seconda parte di questa nota sembra dire che va sostenuta quanto più possibile la “permanenza nel proprio domicilio” delle persone che si trovano in difficoltà, causa gli anni o per motivi di salute, e i cui famigliari sono nella condizione di non riuscire ad accudirli, “per i più svariati e diversi motivi”, vedi allorché risiedono altrove (senza contare i casi delle persone che si trovano a vivere sole in quanto prive di famigliari, o coi famigliari non più in grado di dar loro aiuto e supporto).

    Il problema che qui viene opportunamente sollevato è già molto attuale, nonché destinato verosimilmente ad acuirsi nel tempo, stante il progressivo invecchiamento della nostra popolazione – salvo inversioni di tendenza che trattengano o riportino in montagna giovani generazioni – e merita pertanto una generale attenzione per vedere come provvedervi nel modo più appropriato, dovendosi considerare una pluralità di situazioni, che possono richiedere e comportare risposte articolate e differenziate.

    E proprio a quest’ultimo riguardo, a me sembrano esservi non di rado circostanze cui si potrebbe far fronte con strumenti “a portata di mano”, e sono quelle di persone che non necessitano di essere assistite in maniera continuativa, ma possono farcela con l’ausilio fornito per alcune ore giornaliere, semmai distribuite nell’arco della giornata stessa, il che potrebbe avvenire ad opera di qualcuno, di fiducia, residente nelle vicinanze e che, giusto in virtù della prossimità, riesce a dividersi tra tali incombenze e quelle di casa propria.

    Dovrebbe comunque trattarsi di un lavoro a tutti gli effetti, ossia disciplinato da apposita norma, ancorché concepita in maniera da rendere facile e semplice il poter attivare detta collaborazione, il cui costo ricadrebbe su chi vi ricorresse, salvo il non averne la possibilità economica; io non so se la materia sia già regolamentata, ma se non lo fosse credo che una Organizzazione come SPI-CGIL, qualora condividesse questa “impostazione” o “soluzione”, potrebbe farsene interprete e portavoce presso i decisori politici.

    P.B. 05.08.2020

    P.B.

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