Per Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, "la posizione assunta dai vescovi nel comunicato è corretta": "Ci sono due aspetti da considerare. Il primo riguarda le limitazioni che vengono apportate ai diritti costituzionali. Non solo devono essere limitate nel tempo (e in questo caso non lo sono) ma anche ragionevoli e proporzionali rispetto al sacrifico che viene richiesto. Sembra si ecceda nella limitazione. L’altro aspetto riguarda l’attività del governo".
“Il mio suggerimento è che si trovino modalità e soluzioni capaci di tutelare la salute fisica e spirituale dei cittadini”. Interviene così Cesare Mirabelli in merito al comunicato dei vescovi italiani reso noto la sera di domenica 26 aprile dopo le dichiarazioni del presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, sull’attuazione della Fase 2.
Come valuta la posizione dei vescovi?
La posizione assunta dai vescovi nel comunicato è corretta. Ci sono due aspetti da considerare. Il primo riguarda le limitazioni che vengono apportate ai diritti costituzionali. Non solo devono essere limitate nel tempo (e in questo caso non lo sono) ma anche ragionevoli e proporzionali rispetto al sacrifico che viene richiesto. Sembra si ecceda nella limitazione. L’altro aspetto riguarda l’attività del governo.
All’esecutivo infatti spetta ovviamente stabilire tutte le condizioni necessarie per garantire la tutela sanitaria dei cittadini, ma non vietare o escludere la possibilità di esercitare in pubblico il culto e la celebrazione eucaristica, con le cautele necessarie. Cosa questa che i vescovi avranno provveduto ad elaborare.
Non siamo, comunque, anche in materia di Concordato?
Il Concordato mantiene la distinzione delle competenze dello Stato e della Chiesa e prevede la reciproca collaborazione, che in questo caso mi sembra si sia avviata ma non concretizzata. E sembra che lo Stato intenda stabilire quali atti di culto si possono fare e quali no.
Cosa si sente di suggerire …
Il mio suggerimento è che si trovino modalità e soluzioni atte a garantire da una parte un controllo sanitario adeguato, capace di prevenire eventuali contagi o diffusione del virus, dall’altra ci sia la possibilità per i sacerdoti di poter celebrare la messa, feriale o festiva, sempre nel pieno rispetto delle indicazioni del governo a cominciare dalla distanza sociale e dal numero di presenze in rapporto alla dimensione della chiesa, per evitare affollamenti. In questo modo sarà possibile tutelare la salute fisica e spirituale dei cittadini. Credo che due le cose non siano incompatibili.
Da Agensir 27 aprile 2020
dato che stiamo andando verso la stazione di buon tempo di caldo perché non accogliamo i fedeli gli spazi aperti non penso che per voler celebrare una messa bisogna per forza rinchiudersi dentro quattro mura è sufficiente adeguarsi anche alla distanza di 2 m l’uno dall’altro in un luogo aperto dove chi deve celebrare la funzione religiosa riesce con tutti i criteri di mascherine adeguati a poterla cerebrale
[email protected]
Mi sembra ragionevole, eventualmente anche in auto come già sperimentato in altri paesi.
Andrea
Ma si…perchè non fare messe “drive in”, già che ci siamo…
FN
Se la Santa Messa era una cosa che interessava a chi detta le leggi si poteva benissimo celebrare; bastava imporre le distanze di sicurezza, un banco si e uno no; due o tre persone per banco, come stanno disponendo sui mezzi pubblici di trasporto. Forse il problema è sentito in città, sui paesi montani a causa dello spopolamento e della mancata partecipazione alle funzioni religiose il problema non si porrebbe, vedo le chiese sempre più vuote; stiamo cadendo sempre più in basso. Ai miei tempi le lezioni in classe iniziavano con il segno della croce e la preghiera, ma allora vigevano certi valori; valori che qualcuno ha voluto cancellare; di quei valori e di tanti altri è rimasto ben poco e non mi riferisco solo a quelli della chiesa.
Lino Franzini