SocialMonti
Questa rubrica vuole essere un luogo di spunti per stimolare una riflessione corale e collettiva su temi di attualità. L’idea è quella di partire dal nostro territorio verso cerchi più ampi, o vice versa ascoltare gli echi lontani e portarceli vicini.
La pandemia di coronavirus che sta investendo l'Italia e il resto del mondo ci costringe a fare i conti con emozioni forti quali paura, tensione, angoscia, tristezza, senso di smarrimento e di impotenza nel sentirci vulnerabili, fragili. Ciò che ci sfugge è che, virus o non virus, siamo tutti fragili, ma non lo vogliamo ammettere. Per poter andare oltre alla negazione delle emozioni ritenute negative bisogna comprendere a cosa servono. Innanzi tutto le emozioni, tutte, ci permettono di adattarci all'ambiente, pertanto hanno sacrosanta dignità di esistere e non sono da giudicare o reprimere, ma semplicemente da ascoltare come sistema di segnalazione che qualcosa sta succedendo dentro di noi. Ed è possibile trasformare le emozioni, anche quelle più dolorose, in risorse.
Di fronte a questa emergenza possiamo vedere come le persone abbiano reazioni emotive differenti, reagendo con meccanismi di difesa che permettono loro di proteggersi dal sentire sensazioni spiacevoli. Come funzionano questi meccanismi di difesa? Osservando come il dibattito pubblico sui social si manifesta, potremmo classificare tre tipologie di persone:
- chi responsabilmente segue con serietà le prescrizioni, attenendosi con umiltà e scrupolo alle indicazioni delle autorità e degli esperti scienziati senza polemizzare;
- chi sprofonda nel panico totale, iniziando a inveire contro qualsiasi possibile colpevole: il complotto, il governo e si sente immediatamente vittima di qualcuno o di qualcosa;
- chi si sente superiore a tutto, snobba le regole e si sente speciale. Questa ultima categoria mette seriamente in difficoltà chi ha il compito di proteggere la comunità poiché queste persone sembrano affette da dirittismo, il neologismo che descrive l'atteggiamento narcisistico di chi pretende corsie preferenziali e pone le sue esigenze al di sopra di ogni cosa, pensando di avere solo diritti e niente doveri, a costo di mettere a rischio la propria e l'altrui salute.
Questa ultima categoria ostacola enormemente il contenimento del virus, di per sé già difficile e vicino a scene da incubo, degne dei migliori film di fantascienza. Ciò che appare evidente è un comportamento disorganizzato, incoerente, inconsapevole che finisce per trasformarsi in vero e proprio autolesionismo, oltre che un'arma letale per la collettività. L'incoscienza con cui alcuni reagiscono al pericolo è anche'essa un meccanismo di difesa di chi non vuole vedersi né sentirsi fragile. Al monito di restare in casa, per molti la tensione diventa insostenibile al punto da negare l'evidenza dell'imminente pericolo. Inoltre questa virosi ha dimostrato quanta difficoltà la nostra società abbia nel sostenere l'inattività: siamo una generazione di iperattivi tutti identificati nel fare come prova della nostra esistenza su questa terra. E dimostriamo di avere ben poca dimestichezza invece con la dimensione dell'essere, del non fare e del saper stare con noi stessi.
A complicare le cose è stata anche la poca chiarezza con cui le comunicazioni ministeriali di questi giorni sono state date, risuonando contraddittorie, ambigue e fumose, contribuendo così ad aumentare il senso di ansia, angoscia e smarrimento nel collettivo. Rischiando così di gettare i più in uno stato confusionale e il paese nel caos. La reclusione forzata, gli spazi ristretti sommati alla paura creano una tensione psicologica che può sfociare in aggressività o portare a uno stato depressivo, avvilimento e scoramento.
Come fare per fronteggiare questo caleidoscopio emotivo in cui è facile perdersi?
1- Prima di assolutizzare ciò che leggiamo aspettiamo e valutiamo le fonti di ciò che stiamo leggendo. Non crediamo a catene su WhatsApp, non diffondiamo inutili allarmismi, non cediamo a personalismi e interpretazioni. Atteniamoci alle fonti ufficiali;
2- Affidiamoci alle autorità, ai comunicati degli scienziati senza sprecare energie in polemiche e lamentele. Lagnarsi ci indebolisce, così come mettere il proprio microcosmo davanti al bene delle comunità, della nazione è segno di un'io infantile. Voler perseguire il proprio tornaconto e ottenere eccezioni alle regole in questo momento è totalmente fuori luogo. C'è in ballo il collasso del sistema sanitario nazionale e le autorità stanno facendo il possibile per proteggerci dai nostri stessi errori. In questa fase è necessario decentrarsi, e andare oltre al proprio ego che scalpita per mantenere le nostre comodità.
3- Mettiamoci nei panni degli altri. A partire da chi ci amministra, ci governa, e di chi è in prima linea. I nostri nonni o bisnonni sono sopravvissuti a guerre e campi di lavoro. Riflettiamo sul dover limitare le nostre abitudini per un mese, seduti in casa al caldo sul divano, con TV e internet a disposizione. E chiediamoci se davvero sia un'impresa così infattibile.
4- L'ansia vera e propria scaturisce da un pensiero rivolto al futuro. L'ansioso dice sempre "e se?", ad esempio: e se mi ammalo?, e se non troverò un letto di ospedale? e se mio padre che è anziano si infetta? e così via. L'ansioso vive costantemente in un tempo proiettato in avanti, in un susseguirsi di ipotesi e possibili avvenimenti. Vogliamo contenere l'ansia? Ancoriamoci al presente. Affrontiamo con responsabilità il momento presente, senza indugiare col pensiero in scenari apocalittici che al momento NON stanno accadendo.
5- Il senso di impotenza può scatenare molta rabbia e frustrazione. E se non siamo in grado di gestire queste emozioni facilmente le vomiteremo su qualcuno, dando la responsabilità per come ci sentiamo a qualcun altro. Per contrastare questa angoscia di non poter fare nulla ricordiamoci che possiamo sempre fare la nostra parte con responsabilità. Possiamo utilizzare questa emozione per apprendere a stare nell'incertezza, saper restare in equilibrio nell'ignoto è segno di maturità e adultità.
6- Praticare la solidarietà è possibile e aiuta a dare un senso a questa epoca storica. Ovviamente è necessario osservare sempre le dovute precauzioni, se sappiamo di persone amiche in quarantena, attiviamoci per far loro sentire la nostra vicinanza, l'isolamento è fisico, ma non dev'essere affettivo né psicologico. Pensiamo a chi è ricoverato, in osservazione o distante dagli affetti. Immaginiamoci come dev'essere difficile, e pensiamo a modi di vicinanza. Ognuno di noi può dare affetto e aiutare in qualche modo. E sentire di poter migliorare la qualità della vita di qualcuno in questo momento ci farà sentire meglio.
7- E se fossimo noi ad ammalarci? Le nostre strutture difensive facilmente ci porteranno a pensare che chi si ammala è sempre"l'altro", qualcuno lontano. Il virus non è visibile, non è controllabile per cui se non lo nomino, se non ci penso non esiste e non mi accade. Fino a quando non succede a noi o a qualcuno a noi caro. Allora si scatenano altre reazioni: le nostre emozioni potranno spaziare dal terrore della morte nostra o dei nostri cari, a disperazione e annichilimento. Chi ha una personalità ottimista non si lascerà abbattere facilmente, si farà forza pensando alla guarigione. Se dovessimo essere noi sospetti di aver contratto la malattia abbiamo il dovere di comportarci da persone responsabili. Più staremo calmi e collaborativi meno rischieremo di danneggiare chi sta intorno e quanto prima ne usciremo.
8- Sentirsi tutti i sintomi della malattia è umano e 'normale', siamo tutti sotto pressione e a rischio di ipocondria. Passerà, non diamo troppa importanza a quei brividi se non sono davvero sintomi veri. Non proviamoci la febbre ogni mezz'ora. Cerchiamo di distrarci. Ricordiamoci che ci sono i comuni malanni prima di sentirci spacciati e condannati.
In tutto questo c'è una bella notizia: in situazioni di calamità l'uomo ha modo di sperimentare che è possibile vincere, guarire, ricostruire grazie alla resilienza dell'essere umano.
La resilienza in psicologia è la capacità di fronteggiare eventi difficili della vita senza soccombere. E' resiliente la persona che attraversa un fatto traumatico e apprende dall'esperienza. La minaccia di questo virus mette a dura prova i nostri equilibri. Creare ancoraggi di resilienza significa coltivare fiducia e positività, significa portare pazienza se le restrizioni non sono immediatamente chiare. Possiamo restare in attesa che la situazione si chiarisca senza imprecare e giudicare, imparando a tollerare il senso di impotenza e la frustrazione. Osserviamo laddove ci verrebbe da giudicare e da pretendere e sospendiamo il più possibile i pensieri negativi. Restare sereni in questa tempesta è assai impegnativo. Questa sera un esperto in TV raccomandava una tranquilla paura. Autorizziamoci alle emozioni, non fingiamo di non provarle. Avere paura ci protegge dai rischi, ci conduce alla prudenza, e la cautela ci permetterà di superare questo momento. Essere resilienti implica apprendere e fare tesoro degli eventi traumatici per non ripetere più gli stessi errori. Siamo resilienti quando affrontiamo le difficoltà pensando che andrà tutto bene perché stiamo facendo al meglio la nostra parte con senso civico e responsabilità.
Infine pratichiamo il coraggio che è la capacità di restare sospesi nell'ignoto, in attesa con fiducia, senza fuggire.
(Ameya Canovi *)
*Ameya Gabriella Canovi è PhD, docente e psicologa, si occupa di relazioni e dipendenze affettive. Da poco ha terminato un dottorato di ricerca in ambito della psicologia dell’educazione studiando le emozioni in classe. Ha un sito e una pagina Facebook “Di troppo amore”.
Forse, a tempo debito, sarà salutare l’interrogarci sulla reale o presunta “debolezza” di una società che sembrava, o si credeva, in grado di avere una risposta per ogni problema ed imprevisto, salvo poi scoprirsi smarrita, vulnerabile e fragile, mutuando le parole di questa nota, anche se poi stentiamo ad ammetterlo (pur se con le dovute eccezioni, dal momento che c’è chi, per abitudine, non prende mai le cose alla leggera, e con troppa disinvoltura, né perde la consapevolezza dei nostri limiti).
Ma una domanda potremmo o potremo farcela anche riguardo ad un altro aspetto di carattere generale, ossia al fatto che comunemente chiediamo o pretendiamo di essere sempre tenuti al corrente di quanto succede, in nome della massima trasparenza, salvo poi lamentarci se le informazioni possono semmai creare allarmismi, ansietà, inquietudine … (scordando peraltro che le notizie e comunicazioni sono parte importante degli elementi che servono a modulare e conformare i nostri comportamenti).
Circa la indisciplinatezza – che forse ha qualche attinenza col “dirittismo” che connota la terza tipologia descritta dall’Autrice – ci starebbe forse una ulteriore riflessione, ovviamente ad emergenza conclusa, se cioè non valga la pena di ripensare certi modelli educativi che hanno preso piede nel corso degli anni, vedi l’idea del genitore amico dei figli al punto da non riuscire poi a riprendersi l’autorità per farsi “obbedire”, se e quando servisse (ed altri esempi del genere possono verosimilmente farsi).
P.B. 13.03.2020
P.B.
Ad un certo punto della vita ho scoperto quel piacevole gioco che è il viversi liberi in un mondo che ti ruota intorno libero, un carillon applicato ad una bomba ad orologeria, ma un modo come un altro per guardare al domani, quando ben sai quanto costa il non conoscere gli altri.
Giovanni Annigoni