“Il piacere dell’onestà” è il titolo di un’opera teatrale scritta nel 1917 da Luigi Pirandello. Ma potrebbe essere stato benissimo anche il titolo dell’incontro (del ciclo “Duemiladieci”) svoltosi l’altra sera nella bella chiesetta di S. Andrea posta su cocuzzolo del monte Antoniano su cui si erge quel che rimane dell’antico castello di Carpineti. Sì, perché l’ospite era un personaggio di sicuro richiamo e interesse: Umberto Ambrosoli, figlio di Giorgio, assassinato nel luglio 1979 da sicari di quel Michele Sindona di cui aveva scoperchiato gli intrallazzi finanziari e le coperture altolocate.
Umberto, che aveva 7 anni quando perse il papà, oggi fa l’avvocato penalista e il passaggio generazionale non ha modificato di una virgola la stoffa morale. Basti sentire queste sue parole: “Quando viene un cliente nel mio studio che mi chiede, al momento del pagamento, di limare la parcella… chiedendo se non si può togliere questo 20%... quel 4%... bene, ci litigo e quasi voglia mi viene voglia di metterlo alla porta senza tanti complimenti…”. Le tasse (non l'esosità di un carico fiscale insopportabile, va da sè) servono al mantenimento dei servizi per l’intera collettività, non sono un furto perpetrato ai danni dell’inerme cittadino, nei confronti del quale – come sostiene certa vulgata– è bestemmia “mettere le mani nelle tasche”...
Il luogo sacro è silenzioso come durante una Messa. Il pubblico segue con grande attenzione l’elegante eloquio di Ambrosoli, che, a partire dal suo libro di ricordi famigliari (Qualunque cosa succeda, uscito nei mesi scorsi, un testo "da leggere nelle scuole", qualcuno ha asserito), spazia su temi vari dell’attualità, sul malcostume dilagante, su ministri che neppure sanno che terzi gli pagano casa… “I 'Micheli Sindona' – per sintetizzare – continuano ad essere tra noi”. Sindona, come forse noto, descritto come persona molto intelligente, fu bancarottiere “di prim’ordine”, che grazie ad appoggi influenti fece pagare alla collettività le sue manovre spericolate (illegali) nel mondo della finanza; che fu collegato a personaggi equivoci (ancora oggi viventi) come Licio Gelli, a politici di primo piano (anch’essi ancor oggi esistenti, e che allora erano a capo dell’esecutivo) come Giulio Andreotti, coetaneo di Gelli, classe 1919…
La tempra dell’oratore, sollecitato sull’altare che fa da palco dal giornalista che coordina gli incontri Patrick Fogli, è quella del combattente, di chi intende bene il legittimo orgoglio di aver avuto un padre (sostiene) del tutto normale, che ha inteso svolgere semplicemente (sottolineiamo l’avverbio “semplicemente”) il proprio dovere sapendo che lo faceva a rischio della vita. Rifiutando corruttele, sopportando minacce, proteggendo i famigliari riparandoli il più possibile sotto l’ombrello di una vita “normale”. “Non posso insegnare ai miei figli che non si deve compiere il proprio dovere per paura”. Per tutto questo comportamento (che, uno direbbe, dovrebbe essere l’ordinario di ogni onesto cittadino), soprattutto in questo disastrato Paese, un essere si innalza e diventa, senza volerlo, un “eroe”.
Infatti, di Giorgio Ambrosoli, prima di questo libro del figlio, già aveva lasciato un’opera importante Corrado Stajano (Un eroe borghese. Il caso dell’avvocato Giorgio Ambrosoli assassinato dalla mafia politica, Einaudi, 1991). Dal libro era stato tratto nel 1995 un film omonimo diretto da Michele Placido e interpretato dallo stesso e da Fabrizio Bentivoglio e Omero Antonutti.
Ambrosoli - che ha sfoderato anche simpatia ed ironia nel successivo dialogo col folto pubblico - sta facendo opera meritoria girando per tutta l’Italia a portare la sua testimonianza. Sono già 123 gli incontri fatti quest’anno. Una vera “politica del fare”, in quanto aiuta ad aprire gli occhi sul malaffare imperante, a scuotere un bel po’ di persone e a far ritrovare in loro l’orgoglio - che dovrebbe, ancor prima, essere appunto piacere - dell’onestà.
Piccoli “poteri” per cambiare in meglio la società, a beneficio generale, li abbiamo tutti, nel nostro quotidiano, e dovremmo imparare ad esercitarli: chiedere scontrini e fatture a chi vediamo che nicchia, rifiutare di timbrare il cartellino marcatempo al collega “che sta arrivando”… “E’ possibile resistere alla corruzione – esorta Ambrosoli – è possibile vivere nel rispetto dei diritti e della legalità. Storie di esempi buoni ce ne sono tanti ma spesso rimangono misconosciuti, forse anche dell’interesse di certi gestori dell’informazione”. “Purtroppo rilevo rassegnazione e impotenza nel nostro Paese, che sono il contrario dell’impegno”. “Non si deve tanto pensare a se stessi quanto piuttosto preoccuparci di ciò che lasceremo di noi”. Il ricordo del padre risuona spesso nelle parole di Umberto. “Sarebbe solo anche oggi”, ha titolato il Corriere della sera un proprio articolo del maggio dello scorso anno.
Politica? Giorgio era monarchico. Ma il figlio non ne fa una questione partitica: “Le differenze sono sui valori che portiamo dentro di noi, non su distinzioni destra-sinistra”.
Citazione di S. Ambrogio, vescovo di Milano, la sua città, nel IV secolo: “Se i tempi sono cupi cominciate a vivere meglio; e i tempi cambieranno”.
Bravi gli organizzatori.
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U. Ambrosoli, Qualunque cosa succeda, Sironi editore, 2009.
Una serata che spazza via l’ombra di programmi come “Amici”, “Il grande fratello” e similaria dando la certezza che la possibilità di solleticare la curiosità e l’intelligenza dello spettatore c’è e, grazie all’iniziativa carpinetana, vicino a noi. Complimenti agli organizzatori ed al relatore.
(c.c.)